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Problemi con bolletta telefono alta

17 Febbraio 2019
Problemi con bolletta telefono alta

Contestazione dei consumi telefonici quando la fattura è eccessiva ed errata: cosa fare se la Telecom o altra società telefonica deposita i tabulati e cosa se non li deposita.

A tutti capita, almeno una volta nella vita, di avere problemi con la bolletta del telefono. Anche chi si disinteressa delle utenze e ha l’addebito automatico sul conto (la cosiddetta “domiciliazione bancaria”) fa prima o poi i conti con una spesa eccessiva rispetto all’uso fatto della linea fissa o mobile. In queste ipotesi l’utente si trova in una posizione di debolezza per due ragioni. La prima è dettata dalla sua incapacità di contestare, con i propri mezzi, le contabilizzazioni effettuate dalla società, titolare dei contatori e dei sistemi di rilevazione del traffico. La seconda è per via del fatto che, anche quando le ragioni del consumatore dovessero essere fondate, la compagnia del telefono ha, dalla sua parte, un’arma di ricatto molto forte: la disattivazione del servizio. Così, per non vedersi staccato il telefono, l’utente è portato a pagare o, al massimo, a cambiare operatore.

I mezzi di contestazione delle bollette alte

La legge cerca di venire incontro al cittadino che ha problemi con la bolletta del telefono al fine di scongiurare il ricorso al tribunale (che sarebbe un’ulteriore sconfitta per questi). Innanzitutto si prevede che le contestazioni debbano essere preventivamente inoltrate, con raccomandata scritta o con fax, al servizio clienti in modo da ottenere una risposta in tempi brevi e l’eventuale rettifica della fattura in contestazione.

Se ciò non dovesse sortire effetti, prima di fare causa è necessario tentare una conciliazione presso la Camera di Commercio locale o presso i Co.Re.Co., i comitati regionali per le comunicazioni. Lo scopo è quello di trovare una soluzione bonaria mediante un mediatore qualificato che possa invitare le parti a comprendere le ragioni dell’altra.

Solo se dovesse fallire anche la conciliazione, l’utente potrà ricorrere in tribunale o al giudice di pace (a seconda del valore della controversia) e, in quella sede, far valere la richiesta di sgravio della bolletta ed eventuali pretese di risarcimento del danno.

Nel momento in cui si impugnano le armi, è bene però sapere in anticipo come difendersi. Chiarimenti questi ultimi forniti da una recente sentenza della Cassazione [1]. La Corte ha infatti stilato una vera e propria guida su come si atteggia l’onere della prova in una eventuale causa contro la compagnia telefonica. Vediamo dunque cosa è stato detto.

Che valore ha la bolletta del telefono?

Contestare una bolletta del telefono per servizi extra rispetto a quelli di base è piuttosto facile: spetta infatti alla società fornitrice dimostrare che l’utente ha chiesto l’attivazione del servizio ulteriore rispetto alla normale utenza (si pensi al servizio di “richiamata su occupato”). Se non esce fuori il consenso del consumatore, l’addebito è illegittimo.

Il discorso si fa invece più complicato quando c’è da contestare la contabilizzazione delle chiamate. Se, ad esempio, dovessero risultare, dall’estratto della fattura, delle telefonate dall’estero o delle connessioni a rete internet ulteriori rispetto ai limiti contrattuali, è onere dell’utente dimostrarne la falsità. Ma come? Ecco le istruzioni fornite dalla Cassazione in favore di chi ha problemi con la bolletta del telefono alta.

Il primo punto da cui partire è chiedersi quale valore legale ha una bolletta telefonica. In altri termini, se dovesse arrivare una bolletta molto alta, le contabilizzazioni fatte – in modo unilaterale – dalla società fornitrice possono essere contestate o si devono presumere necessariamente corrette? Se non avessi la possibilità di dimostrare l’errore commesso da Tim e soci, saresti costretto a corrispondere gli importi esosi eventualmente richiesti?

Siamo nell’ambito del diritto privato, per cui dobbiamo prendere le mosse dal contratto che hai sottoscritto. Ebbene, tutte le condizioni generali di abbonamento stilate dalle società fornitrici di servizi di pubblica utilità (come luce, telefono, acqua e gas) stabiliscono che, con la firma del contratto, l’utente accetta la veridicità degli importi indicati sulla bolletta per come calcolati dal fornitore. Tali dati però non sono “oro colato”: possono cioè essere sempre contestati a patto però che sia il cliente a dimostrarne gli errori; egli deve cioè fornire quella che viene tecnicamente chiamata “prova contraria”.

Qui si pone il vero problema: atteso che l’utente non dispone di propri contatori, di strumenti tecnici o di registri per verificare se i calcoli della compagnia sono corretti come può contestare la fattura?

Il problema dell’onere della prova

In una eventuale causa, a fronte della contestazione dei consumi da parte del consumatore, cosa spetta fare alla compagnia per difendersi? È sufficiente che depositi i tabulati? Cosa invece spetta fare al consumatore, e nel caso di deposito, e anche nel caso di mancato deposito dei detti tabulati?

Queste le domande cui la Corte risponde nell’ordinanza in commento.

Secondo la giurisprudenza, posta la difficoltà che incontra l’utente nel fornire la dimostrazione di non corretto funzionamento dei contatori della società del telefono, egli può dare la prova contraria anche con semplici “presunzioni”, ossia indizi.

Ad esempio, un indizio potrebbe essere il fatto che, negli orari in cui i tabulati telefonici indicano l’effettuazione delle chiamate, l’utente era invece al lavoro o stava dormendo (circostanza da confermare con una eventuale prova testimoniale). Oppure potrebbe essere assunta la dichiarazione del coniuge dell’utente il quale confermi che la rete internet non era funzionante.

Ecco dunque il principio sancito dalla Cassazione: «A fronte di una presunzione di corretta contabilizzazione dei costi, in caso di contestazione, spetta al consumatore provare, anche per presunzione, la presenza di elementi anomali idonei ad inficiare e annullare la garanzia di corretta contabilizzazione. In caso di mancato deposito dei tabulati da parte del gestore telefonico, spetta al consumatore chiedere l’ordine di esibizione della documentazione».

Stesso indirizzo era già stato fornito dalla Cassazione nel 2003 [2]: «A fronte di una presunzione di corretta contabilizzazione dei costi, è onere del cliente dare prova, anche per presunzioni, della possibile presenza di elementi anomali, idonei ad inficiare ed annullare «la garanzia di corretta contabilizzazione» (elementi quali ad esempio, la prova di avere custodito con diligenza l’impianto), «elementi indiziari sicuri idonei a far ragionevolmente presumere la probabile inesattezza delle rilevazioni del contatore».


note

[1] Cass. ord. n. 4323/19 del 14.02.2019.

[2] Cass. sent. n. 1236/2003, n. 4323/2019.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 8 gennaio – 14 febbraio 2019, n. 4323

Presidente Amendola – Relatore Gorgoni

Fatti di causa

B.M.C. propone ricorso per la cassazione della decisione n. 440/2017, depositata il 20/03/2017, del Tribunale di Reggio Calabria, formulando due motivi di ricorso, corredati di memoria.

Resiste con controricorso Telecom Italia S.p.A..

La ricorrente conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Gallina (RC), Telecom Italia S.p.A., di cui era cliente, affinché accertasse la non debenza delle somme indicate nelle fatture n. 3/07 e n. 4/07, l’immediato ripristino della linea telefonica e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni causati dall’illegittimo distacco della linea telefonica.

Il Giudice adito, accogliendo la domanda attorea, condannava la convenuta a disporre l’immediato ripristino della linea telefonica, dichiarava che l’attrice non aveva effettuato le telefonate e le connessioni attribuitele da Telecom Italia e condannava quest’ultima a corrispondere all’attrice Euro 4.500,00 a titolo di risarcimento dei danni ed a pagare le spese processuali.

Lamentando il mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza per territorio e per valore del Giudice di Pace di Gallina, l’errato accertamento in negativo del proprio credito e l’erroneo riconoscimento del diritto dell’attrice al risarcimento dei danni, Telecom Italia impugnava la decisione di prime cure dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, il quale, son la sentenza n. 440/2017, oggetto dell’odierna impugnazione, dichiarava l’incompetenza del Giudice di Pace di Galina in favore del Tribunale di Reggio Calabria, rigettava tutte le domande propose da B.M.C. e la condannava alla refusione delle spese di lite, relative ad entrambi i gradi di giudizio, sostenute da Telecom Italia.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente imputa al giudicante di non avere tenuto in debito conto tutto il corredo probatorio a supporto della propria richiesta – prove documentali e testimoniali (queste ultime relative al momento in cui dopo la prima fattura, ma prima della seconda, non sarebbe stato più possibile il collegamento a internet, essendo stato isolato il modem), la denuncia alla polizia postale – dal quale sarebbe stato possibile evincere l’erroneo addebito dei consumi telefonici. Telecom Italia, invece, non avrebbe soddisfatto la sua richiesta di fornire il dettaglio delle connessioni e non avrebbe provato che sulla linea telefonica non si fossero inseriti dei pirati informatici.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi della ricorrente è che Telecom Italia avrebbe dovuto informarla tempestivamente anziché attendere il termine del periodo di fatturazione, dell’impennata dei consumi consentendole di intervenire prima che il sommarsi delle spese raggiungesse un importo così elevato, ovvero sospendere precauzionalmente il servizio e, data la sua consapevolezza della possibile provenienza illecita del traffico anomalo, avrebbe dovuto adottare iniziative di tipo cautelare per non incorrere nei reati di ricettazione in relazione alla frode informatica, di omessa denuncia della notizia di reato da parte di un incaricato di pubblico servizio.

3. Il ricorso non merita accoglimento per le seguenti ragioni:

a) La violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo ove si denunci che il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), ma non per lamentare le modalità attraverso cui ha raggiunto il proprio convincimento;

b) non è ammissibile denunciare per cassazione la violazione dell’art. 116 c.p.c., allo scopo di dare rilievo unicamente all’asserito omesso esame delle prove a sostegno della propria richiesta;

c) la valutazione delle prove non legali è rimessa al prudente apprezzamento del giudice.

3.1. La censura della ricorrente si risolve, dunque, in una pretesa inammissibile di diversa valutazione delle risultanze che il giudice ha posto alla base della propria decisione.

3.2. Vale la pena di aggiungere che:

– da nessuna delle prove asseritamente non valutate dal giudice emerge l’impossibilità tecnica per la ricorrente, dato l’avvenuto isolamento del modem, di accedere ad internet, atteso che l’operazione di distacco del modem non è stata collocata precisamente nell’arco temporale antecedente la seconda fatturazione, come preteso dalla ricorrente; al contrario, come è ben messo in rilievo nel controricorso, è la stessa B.M.C. a collocare tale distacco a fine maggio 2007, cioè in epoca successiva al periodo di fatturazione (p. 7 ricorso), a nulla rilevando la data di recapito della fattura, certamente posteriore;

– la condanna di Telecom da parte dell’Antitrust invocata dalla ricorrente è inconferente nel caso di specie, perché attiene a servizi non oggetto dei fatti per cui è causa, cioè a connessioni a numerazioni satellitari o numeri speciali non geografici; mentre nel caso in questione è pacifico che i costi siano dipesi da un elevato numero di ore di navigazione on line;

– la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente – Cass. 28/01/2003, n. 1236 – non le giova. La decisione invocata infatti ha ritenuto che, a fronte di una presunzione di corretta contabilizzazione dei costi, spettasse al cliente fornire la prova, anche per presunzioni della ricorrenza di elementi, logici e tecnici, in ordine al possibile intervento di fattori anomali, idonei ad inficiare e annullare la garanzia di corretta contabilizzazione; a tal fine è stato esemplificato che il cliente, al fine di invalidare le misurazioni, avrebbe dovuto provare di aver esercito con diligenza la custodia degli impianto e di aver, quindi, adottato le cautele atte ad impedire che soggetti, non autorizzati oppure autorizzati, potessero fare uso anomalo o illecito degli apparecchi; offrire elementi indiziari sicuri idonei a far ragionevolmente presumere la probabile inesattezza delle rilevazioni del contatore, per inefficienza tecnica degli impianti esterni o per azione di terzi o per altri fattori.

3.3. Non possono ritenersi presunzioni, ex art. 2729 c.c., le congetture della ricorrente circa la presenza di dialer, inidonee ad inferire da un fatto noto, secondo le leggi naturali o logiche o di esperienza, la probabilità del verificarsi del fatto ignoto (nella specie errori di contabilizzazione o incursioni di terzi sulla linea).

3.4. Tantomeno è stata ritenuta, proprio dalla giurisprudenza invocata dalla ricorrente, idonea prova presuntiva la omessa esibizione da parte del gestore telefonico dei tabulati analitici contenenti il dettaglio dei siti visitati.

3.5. Nel caso di specie, Telecom ha prodotto i tabulati telefonici riferiti al periodo 1/04/2007-31/05/2008, da cui emerge l’origine delle voci oggetto dei servizi fatturati e la regolarità della contabilizzazione. La ricorrente, al fine di dimostrare che le connessioni erano dipese dai dialer, avrebbe potuto, avvalendosi dello strumento di cui all’art. 210 c.p.c., come statuito dal Tribunale, ordinare a Telecom Italia l’esibizione dei documenti comprovanti il dettaglio analitico dei siti visitati durante la navigazione e non limitarsi a ipotizzare, sulla scorta di un’impennata dei consumi raffrontata a due fatture, errori nella contabilizzazione, il non corretto funzionamento del contatore centrale e l’inadempimento da parte del gestore telefonico dell’obbligo di garantire la sicurezza delle linee da possibili intrusioni ed attacchi da parte di terzi.

4. Quanto al comportamento asseritamente scorretto tenuto da Telecom Italia, denunciato con il secondo motivo, non risulta a questa Corte che la ricorrente abbia formulato tale contestazione ne(precedenti gradi di giudizio, né tale questione risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni epigrafate. Tantomeno la ricorrente ha allegato l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito o ha indicato in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto. (Cass. 15/01/2018, n. 715).

4.1. Il motivo presuppone, in particolare, una domanda a titolo diverso, con diversa causa petendi e petitum, fondata non sulla non ricorrenza del credito, ma sul comportamento tenuto da Telecom Italia. Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. 22/10/2013, k) n.23913; Cass., 26/03/2012, n. 4787).

5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.


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