Contratti di convivenza: cosa sono, cosa contengono e come si fanno. A cosa servono? A quali coppie sono adatti? Quali sono i vantaggi?
La legge Cirinnà nel 2016 ha regolamentato per la prima volta le unioni civili e le convivenze di fatto. Il fenomeno riguarda persone legate da affetto reciproco e che vivono insieme stabilmente, senza però sposarsi: perché non possono (ad esempio se sono dello stesso sesso) o perché non vogliono. Per le coppie in questa situazione la legge Cirinnà ha previsto anche la possibilità di stipulare i contratti di convivenza. Sono una facoltà, non un obbligo; si può convivere anche senza, ma è consigliato farli se si desidera regolamentare in maniera certa i rapporti patrimoniali derivanti dalla vita in comune. Ad esempio, si potrà decidere il regime di comunione dei beni (altrimenti vigerebbe la separazione, al contrario di quanto accade nel matrimonio), oppure i modi e le quantità in cui ciascuno contribuisce alla vita della coppia, la sorte della casa dove si convive e degli altri proventi e beni acquistati insieme o da ciascuno, in caso di scioglimento del rapporto. Infatti bisogna tener conto che la convivenza, anche se solida e sorta sotto i migliori auspici, potrebbe prima o poi cessare: perciò è meglio stabilire in anticipo e di comune accordo come dividere i beni comuni, in modo da prevenire discussioni, litigi e cause se la convivenza finisce. Per stipulare un valido contratto di convivenza occorrono delle formalità indispensabili: serve una scrittura privata autenticata da un avvocato o da un notaio, che si preoccuperà anche di trascriverli nei registri del Comune. Vediamo ora chi può stipulare questo tipo di contratti, cosa possono contenere e qual è la loro convenienza pratica ed il modo più adatto per redigerli.
Indice
Contratti di convivenza: cosa sono?
I contratti di convivenza sono accordi attraverso cui la coppia convivente decide come regolamentare i propri rapporti patrimoniali.
Sono previsti dalla recente Legge Cirinnà [1] e servono a regolare i rapporti patrimoniali tra i conviventi. Se vuoi sapere come funziona la convivenza di fatto – nel cui ambito questi contratti si inseriscono – puoi leggere questo articolo.
Sono dei veri e propri contratti perché fissano obblighi che entrambe le parti concordano liberamente tra loro e che poi, una volta sottoscritti, sono tenute a rispettare per tutto il periodo della convivenza e, in alcuni casi, come vedremo, anche oltre.
Si tratta quindi di un vincolo giuridico e non semplicemente morale. I patti e le regole fissate nel contratto di convivenza costituiscono un obbligo che ha forza di legge tra le parti che lo hanno assunto: in caso di inadempimento la parte lesa potrà ricorrere al giudice.
Stipularli è comunque una facoltà e non un dovere: il rapporto di convivenza può svolgersi anche in assenza del contratto di convivenza.
E’ opportuno farli se si hanno beni patrimoniali consistenti oppure quando si vuole regolamentare il menage della coppia tenendo conto di quanto debba essere l’apporto di ciascuno alla vita in comune.
Contratti di convivenza: chi può stipularli?
I contratti di convivenza possono essere stipulati da tutti i conviventi di fatto.
Non si tratterà di un’unione civile tra persone dello stesso sesso (che ha una sua specifica disciplina, stabilita dalla stessa Legge Cirinnà: per conoscere la differenza tra unione civile e convivenza di fatto puoi leggere qui) bensì di una situazione in cui due persone maggiorenni – che possono essere anche dello stesso sesso – sono unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
Deve esserci, quindi, una situazione di convivenza stabile; non è necessario un periodo di tempo predeterminato, ma occorre la serietà dell’impegno delle parti a convivere in modo duraturo.
La convivenza non deve essere dovuta a fattori contingenti (come ad esempio la necessità pratica di dividere un’abitazione e dunque coabitare), ma dovrà essere motivata da un legame affettivo di coppia tra due persone maggiorenni che sono disposte a scambiarsi reciproca assistenza morale e materiale.
Questa convivenza è una situazione di fatto perché sorge semplicemente con la stabilità del legame; non richiede il requisito formale della dichiarazione all’ufficiale dello stato civile e l’iscrizione al registro delle unioni tenuto dall’anagrafe del Comune.
I conviventi di fatto, per essere tali e dunque per poter stipulare un valido contratto di convivenza, non devono essere vincolati tra loro da rapporti di parentela, di affinità o di adozione e neppure essere impegnati in un matrimonio o un’unione civile.
Come si fa un contratto di convivenza
La legge richiede, perché il contratto sia valido, la forma scritta a pena di nullità.
Non basta una semplice scrittura privata tra le parti: occorre un atto pubblico oppure una scrittura privata autenticata nella sottoscrizione da un notaio o da un avvocato. Questi professionisti attesteranno espressamente che il contratto è conforme alle norme imperative ed all’ordine pubblico.
Questa attestazione è indispensabile: occorre un controllo di un professionista qualificato sulle clausole e sui contenuti del contratto di convivenza che le parti potranno aver predisposto loro stesse e sottoscritto davanti al notaio o all’avvocato.
Il controllo è invece implicito se si sceglie la forma dell’atto pubblico, perché il notaio non potrebbe rogare un atto contenente clausole non conformi alle discipline imperative e all’ordine pubblico.
Le parti, quindi, dovranno andare dal notaio se intendono stipulare il contratto nella forma dell’atto pubblico; potranno invece decidere se rivolgersi a un notaio o a un avvocato se preferiscono redigerlo nella forma della scrittura privata autenticata.
Una volta stipulato il contratto, il notaio o l’avvocato provvederà, entro i dieci giorni successivi, a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi: il contratto sarà così iscritto nei registri dell’anagrafe comunale.
In questo modo chiunque sia interessato potrà verificare se tra quei due soggetti esista una convivenza di fatto registrata e, soprattutto, come questo rapporto sia stato regolamentato nei profili patrimoniali.
A cosa serve questa pubblicità? Ai fini pratici, i conviventi otterranno, ad esempio, il risultato che gli acquisti compiuti durante il periodo di convivenza saranno considerati comuni, se hanno stabilito nel contratto il regime di comunione dei beni.
In questo modo la convivenza di fatto, attraverso i contratti, riceve tutele analoghe a quella delle coppie unite in matrimonio.
Bisogna ricordare che anche le modifiche successive o la risoluzione del contratto devono avere la stessa forma del contratto originario (dunque almeno scritta con sottoscrizione autenticata), altrimenti non saranno valide.
In altri termini, una volta stipulato un contratto di convivenza non sarà possibile modificarlo o eliminarlo se non attraverso un successivo atto stipulato anch’esso per iscritto, con sottoscrizione autenticata oppure con atto pubblico.
Contenuti dei contratti di convivenza
I contratti di convivenza possono disciplinare solo ed esclusivamente rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune dei conviventi di fatto; non dunque altri tipi di rapporti, come quelli personali o successori.
In questo ambito patrimoniale comunque i contenuti possono essere i più vari in relazione al tenore di vita, alle esigenze ed ai beni posseduti da ciascuno dei conviventi. Le parti potranno decidere liberamente e nel modo più opportuno cosa mettere in comune e cosa invece tenere separato; quale sarà la casa comune e la sua sorte se la convivenza cessasse; quanto ciascuno può e intende versare per la vita di coppia e quanto invece desidera tenere esclusivamente per sé.
La Legge Cirinnà fornisce uno schema esemplificativo [2] di cosa può contenere un contratto di convivenza. Si tratta di un’indicazione: le parti potranno aggiungere anche altro, purché si tratti sempre di rapporti patrimoniali e non di altro genere.
I conviventi potranno decidere:
- il luogo nel quale intendono risiedere; è infatti possibile stabilire una residenza comune, come i coniugi nel matrimonio;
- i modi della reciproca contribuzione di ciascuno per fronteggiare le necessità della vita in comune. Si deciderà, cioè, quali e con quante risorse economiche ciascuno dei conviventi vorrà apportare. Nello stabilire ciò, bisognerà tener conto delle sostanze economiche di ciascuno ed anche alle rispettive capacità di lavoro, professionale o casalingo;
- l’adozione del regime patrimoniale della comunione dei beni.
A tal proposito va precisato che per i conviventi di fatto non si instaura automaticamente il regime di comunione dei beni, contrariamente a quanto accade ai normali coniugi uniti in matrimonio ed anche ai componenti di un’unione civile che sono equiparati ad essi.
Per i conviventi di fatto il regime predefinito, in assenza di scelte diverse, è quello della separazione, mentre nel matrimonio (o nelle unioni civili registrate) è la comunione.
Con i contratti di convivenza diventa quindi possibile derogare al regime di separazione e scegliere espressamente quello della comunione dei beni, se lo si preferisce.
Quale utilità ha optare per questa soluzione? Nel regime di separazione dei beni l’acquisto effettuato da uno dei due entra nel patrimonio di chi lo ha compiuto; al contrario, nel regime di comunione ne beneficia anche l’altro componente della coppia, che diventerà automaticamente comproprietario del bene acquistato dal suo convivente.
Dunque se i conviventi preferiscono quest’ultima soluzione devono indicarla espressamente nel contratto di convivenza. Quando il contratto sarà iscritto nell’anagrafe comunale, anche i terzi potranno prenderne conoscenza e l’acquisto in comune sarà loro opponibile, cioè non potranno dire di non aver saputo che il bene comprato da uno dei due ricadeva poi in comunione dei beni tra entrambi.
Effetti e conseguenze dei contratti di convivenza
Stipulando un contratto di convivenza sorgono dei precisi obblighi giuridici a carico delle parti: ciò che esse hanno stabilito nell’accordo sottoscritto diventerà vincolante.
Questo significa che se uno dei due dovesse successivamente violare gli impegni assunti, l’altro potrà rivolgersi al giudice per ottenere ciò che gli spetta ed eventualmente richiedere anche il risarcimento dei danni provocati dall’inadempimento.
I conviventi particolarmente previdenti che hanno un intenso legame affettivo potranno anche prevedere nel contratto di convivenza l’impegno all’assistenza reciproca in tutti i casi di malattia fisica o psichica ed anche la designazione del convivente ad amministratore di sostegno.
Di solito gli impegni assunti nel contratto durano quanto il rapporto di convivenza – che può cessare liberamente in qualsiasi momento – ma ve ne sono alcuni particolari che permangono o addirittura possono prodursi anche oltre la sua cessazione e partendo da essa.
E’ questo il caso degli accordi che abbiano fissato proprio le modalità per definire i rapporti patrimoniali dei conviventi nel caso di cessazione della convivenza: in tale ipotesi il contratto servirà proprio per disciplinare come dividere i beni comuni e separare patrimoni che prima erano uniti.
Oppure, se nel contratto era stata individuata una casa familiare di comune residenza, che però era nella proprietà esclusiva del convivente che in seguito esercita il recesso, si dovrà concedere all’altro un termine non inferiore a 90 giorni per lasciare l’abitazione.
Come interrompere un contratto di convivenza
Quanto dura un contratto di convivenza e come interromperlo o modificarlo?
Di regola un contratto di convivenza dura quanto il rapporto di convivenza che ne costituisce la base. Se la convivenza di interrompe, il contratto si risolve, cioè cessa di produrre effetti per il futuro.
I contratti di convivenza, comunque, non sono mai “definitivi”: possono essere modificati o risolti in qualsiasi momento, con un successivo accordo che regolamenta in maniera diversa i rapporti, purché si rispetti sempre il requisito della forma scritta con atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità.
Questi contratti possono interrompersi per volontà di entrambe le parti o anche di una sola, attraverso il recesso, oppure per circostanze di fatto come la morte di uno dei conviventi. Vediamo ora meglio tutti questi casi.
La legge [3] stabilisce che il contratto di convivenza si risolve per:
- l’accordo delle parti. Questo significa che la convivenza può anche protrarsi, ma i conviventi decidono di porre fine al contratto, rimanendo liberi nei loro futuri rapporti.
- il recesso unilaterale: anche uno solo dei conviventi può liberarsi dal vincolo contrattuale esercitando il recesso, cioè la volontà di liberarsi dal rapporto. Questo dovrà avvenire con un atto formale che il notaio o l’avvocato notificherà all’altro contraente affinché si producano gli effetti di tale dichiarazione;
- matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona. La convivenza è una situazione di fatto ed abbiamo visto che il contratto di convivenza non può mai regolamentare rapporti diversi da quelli patrimoniali né può essere contrario a norme imperative e di ordine pubblico; dunque ciascuno dei conviventi rimane libero di sposarsi e in tal caso cesseranno gli effetti del precedente contratto di convivenza;
- morte di uno dei contraenti. In questo caso dovrà essere cura del convivente superstite, oppure degli eredi del defunto, notificare al notaio o avvocato che aveva ricevuto il contratto l’estratto dell’atto di morte per consentire l’annotazione sui registri anagrafici del Comune ove il contratto era stato iscritto.
Infine bisogna ricordare un effetto della cessazione della convivenza di fatto che si produce indipendentemente dal contratto di convivenza: se l’ex convivente versasse in stato di bisogno e non fosse in grado di provvedere al proprio mantenimento, avrà diritto a ricevere dall’altro gli alimenti [4].
Questo è un effetto della cessazione della convivenza di fatto e non del contratto che la regolamenta; in altre parole, gli alimenti spetteranno – se sussistono i requisiti di bisogno – al convivente anche nei casi in cui non fosse stato stipulato alcun contratto di convivenza.
Anzi, il contratto di convivenza non potrebbe disporre diversamente, trattandosi di un diritto indisponibile e dunque la relativa clausola che non li riconoscesse sarebbe nulla.
Di Paolo Remer
note
[1] L. n.76 del 20.05.2016 intitolata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze“. La legge è composta da un unico articolo; la disciplina dei contratti di convivenza è contenuta ai commi da 50 a 63.
[2] Art. 1 co. 53 L. n.76 del 20.05.2016.
[3] Art. 1 co. 59 e 60 L. n.76 del 20.05.2016.
[4] Art. 1 co. 65 L. n.76 del 20.05.2016.