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Certificazione dei contratti di lavoro

16 Marzo 2019 | Autore:
Certificazione dei contratti di lavoro

Il contratto di lavoro certificato. Effetti, procedura ed eventuale impugnazione.

Ti è stato proposto di sottoscrivere un contratto di lavoro ma hai paura di non capirne al meglio il contenuto e di incorrere, successivamente, in questioni legali. Oppure, hai un’azienda o un’attività commerciale ed hai la necessità di assumere uno o più lavoratori ma temi che, durante l’esecuzione del rapporto di lavoro, possano sorgere discussioni che ti potrebbero portare in tribunale; o, ancora, sei un lavoratore o datore di lavoro con contratto già in essere e vuoi tutelarti da possibili e successive cause davanti al giudice del lavoro. In tutti questi casi, sappi che hai la possibilità di utilizzare lo strumento della cosiddetta certificazione del contratto di lavoro. Il contratto di lavoro certificato, infatti, ti consente di rivolgerti ad un organismo in grado di assisterti e consigliarti nella valutazione del contratto che dovrai sottoscrivere (o che hai sottoscritto) e capace di controllare la conformità, dello stesso, alla legge. I benefici della certificazione sono molteplici: puoi usufruire di un’attività di assistenza e consulenza e, se la procedura di certificazione va a buon fine, il contratto di lavoro non potrà essere oggetto di successive controversie innanzi al Giudice, se non in casi specifici e predeterminati. Il tutto, con un costo, compreso – all’incirca – tra i 200/300€.

Cos’è la certificazione del contratto di lavoro?

La certificazione del contratto di lavoro è un procedimento introdotto nel 2003 [1] che ha lo scopo di attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere possiede tutti i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge.

In sostanza, mediante la certificazione, un’autorità dichiara che il contenuto del contratto corrisponde a quanto previsto e richiesto dalla legge e, in particolare, dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) di riferimento. Lo scopo di questa procedura è, allora, evidente: l’analisi preventiva del contenuto del contratto, delle sue clausole e dei suoi elementi, da parte di specifici organi a ciò deputati (e che saranno esaminati nei prossimi capitoli), ha – come conseguenza – quella di limitare le controversie in materia di lavoro.

Si tratta, comunque, di una procedura non obbligatoria in quanto non costituisce un obbligo di legge. Essa, infatti, è effettuata consensualmente e volontariamente dalle parti. Un contratto di lavoro non certificato, pertanto, è assolutamente valido.

Ambito applicativo della certificazione

La certificazione può avere per oggetto qualsiasi tipologia di contratto di lavoro: contratti di lavoro subordinato ma anche contratti di lavoro autonomo, parasubordinato e contratti di somministrazione. Può intervenire, inoltre, non solo al momento della stipulazione del contratto ma anche successivamente e, dunque, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro.

La certificazione può essere utilizzata non solo per dichiarare la conformità del contenuto di un contratto ai requisiti previsti dalla legge, ma anche per:

  • avallare rinunce e transazioni, allo scopo di controllare l’effettiva volontà delle parti. Supponiamo, per esempio, che tra datore di lavoro e lavoratore emerga una discussione in merito alla quantificazione della retribuzione dovuta e che, secondo il lavoratore, il datore di lavoro risulti debitore, nei suoi confronti, di una determinata somma di denaro. Supponiamo, poi, che lavoratore e datore di lavoro raggiungano un accordo, nel quale il datore s’impegna a corrispondere, al lavoratore, una parte di quella somma di denaro. Si tratta, pertanto, di un atto transattivo (o transazione). Questo atto può, dunque, essere oggetto di certificazione, con conseguente maggiore tutela del lavoratore. Con la certificazione, infatti, un organo competente verificherà la sussistenza, o meno, dell’effettiva volontà del lavoratore di sottoscrivere l’atto di transazione;
  • per il deposito dei regolamenti interni delle cooperative di lavoro, relativamente ai rapporti di lavoro attuati (o che s’intendono attuare) con i soci lavoratori;
  • la stipulazione di un contratto di appalto al fine di distinguerlo dalla cosiddetta somministrazione di lavoro;
  • la stipulazione dei cosiddetti patti di demansionamento, nell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro;
  • dimissioni o risoluzione consensuale del contratto di lavoro.

A quali organi rivolgersi per la certificazione?

La procedura di certificazione è eseguita da apposite commissioni di certificazione che possono essere costituite ad iniziativa di diversi organi:

  • degli enti bilaterali, costituiti a livello provinciale o nazionale. Si tratta, cioè, di enti privati costituiti dai sindacati e dai datori di lavoro nell’ambito di determinati settori di lavoro. Un esempio è dato dall’Ebm (Ente bilaterale del settore metalmeccanico);
  • delle sedi territoriali dell’Ispettorato del lavoro e delle province;
  • delle università pubbliche e private;
  • dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro. In tal caso, la loro competenza è limitata – esclusivamente – ai contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento.

Le Commissioni di certificazione operano sulla base di un proprio regolamento interno che deve essere trasmesso al Ministero del Lavoro ai fini della valutazione della sua conformità alle disposizioni di legge.

Come avviene la certificazione del contratto di lavoro?

La procedura di certificazione inizia con un’istanza che deve essere presentata alla commissione di certificazione competente e redatta per iscritto nonché sottoscritta da entrambe le parti del contratto di lavoro (datore di lavoro e lavoratore). Qual è la commissione territorialmente competente?

Se le parti intendono rivolgersi a commissioni istituite presso gli enti bilaterali, allora dovranno inoltrare l’istanza alla commissione costituita dalle associazioni e dai prestatori di lavoro cui aderiscono. Per esempio, se il contratto di lavoro appartiene alla categoria “metalmeccanici”, datore di lavoro e lavoratore dovranno rivolgersi alla Commissione istituita presso l’ente Ebm (Ente bilaterale metalmeccanici) nella cui circoscrizione si trova l’azienda per la quale il lavoratore presta la sua attività.

Se le parti vogliono avvalersi delle commissioni istituite presso le sedi territoriali dell’Ispettorato del lavoro o delle province, sarà competente la commissione nella cui circoscrizione si trova l’azienda alla quale è addetto il lavoratore.

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia sedi in due o più province o, addirittura, in due o più regioni diverse, la competenza spetterà, invece, alla commissione di certificazione costituita presso il ministero del Lavoro.

L’inizio del procedimento deve essere comunicato alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) che provvede ad informare le autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti: Inps e Inail, Agenzia delle Entrate e Riscossione ecc.

Una volta ricevuta l’istanza, la commissione procede ad una vera e propria attività di consulenza ed assistenza delle parti. La commissione competente, infatti, deve sentire le parti svolgendo, in tale sede, compiti di consulenza ed assistenza. In questa fase le parti hanno la possibilità di farsi assistere dalle rispettive organizzazioni sindacali o di categoria o da un avvocato.

Dopo aver udito le parti, la commissione verifica se l’atto, per il quale è richiesta la certificazione, rispetta tutti i requisiti previsti dalla legge. In caso negativo, la commissione rigetta l’istanza di certificazione (con atto di diniego) ed indica, alle parti, le modifiche necessarie per adeguare l’atto alla legge e, conseguentemente, ottenere la certificazione richiesta.

Se, invece, la Commissione verifica che l’atto risponde a tutti i requisiti previsti dalla legge termina la procedura con il cosiddetto atto di certificazione. Questo atto deve contenere l’esplicita indicazione dei suoi effetti civili, amministrativi, fiscali o previdenziali e deve essere redatto in triplice originale (un originale rimane alla commissione, uno al lavoratore ed uno al datore di lavoro).

Sia l’atto di diniego (in caso di rigetto della richiesta) sia l’atto di certificazione (in caso di accoglimento) devono essere adeguatamente motivati.

Il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di trenta giorni che decorrono dal momento in cui la commissione competente ha ricevuto l’istanza dalle parti. Tale termine, tuttavia, non è previsto a pena di nullità pertanto, il suo eventuale mancato rispetto, non comporta alcuna invalidità.

Quali sono gli effetti della certificazione?

Gli effetti della certificazione sul contratto di lavoro si producono in modalità diverse a seconda che la certificazione intervenga a rapporto di lavoro in corso di esecuzione o in fase di stipulazione del contratto. In particolare:

  • se il contratto è in corso di esecuzione, gli effetti della certificazione retroagiscono fino all’inizio del contratto, nel senso che si applicano dal momento della stipulazione dello stesso anche se il rapporto è già in corso;
  • se le parti non hanno ancora sottoscritto il contratto di lavoro, gli effetti della certificazione si producono solo se datore di lavoro e lavoratore sottoscrivono, effettivamente, il contratto.

I contratti di lavoro che sono stati certificati, inoltre, hanno un valore particolare perché i loro effetti si ripercuotono anche nell’eventuale fase giudiziale, ossia davanti al giudice. In caso, infatti, di controversie riguardanti la qualificazione del rapporto di lavoro o l’interpretazione delle sue clausole, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione.

Facciamo un esempio: se, in sede di certificazione, avete qualificato il rapporto di lavoro come “subordinato” non sarà possibile, davanti al giudice, sostenere che, invece, il rapporto di lavoro è di tipo “autonomo”.

Si può agire in giudizio dopo la certificazione?

Il contratto di lavoro certificato può essere oggetto di ricorso dinnanzi al giudice ma solo per determinati motivi:

  • erronea qualificazione del contratto;
  • difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione;
  • vizi del consenso.

I soggetti che possono presentare ricorso davanti al giudice sono le parti del contratto di lavoro certificato ed i terzi destinatari degli effetti di tale certificazione.

Prima di rivolgersi al tribunale (giudice del lavoro) è, però, obbligatorio promuovere un tentativo di conciliazione extragiudiziale [2] davanti alla stessa commissione che ha provveduto alla certificazione. Solo in caso di mancata conciliazione, le parti potranno rivolgersi al tribunale.

E’ possibile, infine, rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale (Tar) in caso di violazione della procedura di certificazione o di eccesso di potere da parte della commissione di certificazione.


note

[1] D. Lgs. n. 276 del 10.09.2003.

[2] Art. 410 cod. proc. civ.: “Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale”.


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