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Cosa succede se l’assegno è scoperto?

13 Marzo 2019 | Autore: Paolo Remer
Cosa succede se l’assegno è scoperto?

Cosa succede se un assegno risulta scoperto? Quali sono le conseguenze e le sanzioni? Si può rimediare pagando in ritardo? Ecco quello che puoi fare se hai emesso oppure hai ricevuto un assegno scoperto.

Hai venduto un oggetto e ti sei fatto pagare con un assegno; vai in banca per incassarlo scopri però che l’assegno è scoperto. Cosa succede se l’assegno è scoperto? Innanzitutto non puoi ricevere la somma: la banca rifiuta di accreditartela. Ha ragione,  perché sul conto di chi ti aveva dato l’assegno non ci sono soldi sufficienti a coprirlo, nel momento in cui tu lo porti all’incasso. E’ il fenomeno dell’assegno scoperto, detto anche “a vuoto”. Accade abbastanza spesso, non soltanto nei casi di vera e propria truffa o di insolvenza preordinata (la volontà del debitore di non pagare), ma anche semplicemente per la disattenzione di chi ha emesso l’assegno, che non si è preoccupato di mantenere sul suo conto corrente la necessaria provvista, cioè i soldi disponibili a pagare quell’assegno. Le conseguenze sono gravi perché la legge e le regole commerciali fanno leva sul principio della fiduciosa accettazione dell’assegno come normale mezzo di pagamento: chi ha emesso un assegno scoperto incorre in pesanti sanzioni pecuniarie, viene inserito nella Cai (Centrale allarmi interbancaria) e per un lungo periodo non può emettere altri assegni. Per evitare queste sanzioni e l’iscrizione nella Cai si può pagare l’assegno in ritardo – comunque entro 60 giorni da quando viene contestata dalla banca la scopertura – ma con una penale del 10% della somma riportata sull’assegno e farsi rilasciare dal creditore una dichiarazione liberatoria.

Chi ha ricevuto un assegno scoperto potrà elevare il protesto, se l’assegno è passato di mano attraverso girate, oppure agire direttamente in via esecutiva contro chi lo ha emesso inviandogli l’atto di precetto: in questo modo potrà soddisfarsi velocemente e ottenere il pagamento di quanto gli spetta senza dover fare una normale causa. Vediamo quindi cosa succede se l’assegno è scoperto, quali sono le severe conseguenze previste dalla legge a carico di chi lo ha emesso ed i rimedi a disposizione di chi lo ha ricevuto per ottenere il pagamento.

Cos’è un assegno scoperto?

L’assegno scoperto è quello che quando viene posto all’incasso non trova disponibilità economiche sufficienti a pagarlo sul conto corrente del soggetto che lo aveva emesso.

L’assegno si chiama scoperto perché non ci sono abbastanza soldi per coprirne l’intero importo; è anche denominato assegno senza provvista oppure assegno a vuoto.

La provvista è la somma che devi ricordare di tenere a disposizione sul tuo conto corrente per fronteggiare i pagamenti, soprattutto quelli degli assegni che avevi emesso e consegnato e che quindi vengono portati all’incasso prelevando l’ammontare dal conto corrente.

In ogni momento il tuo conto corrente presenta un saldo contabile della cifra disponibile: è la differenza tra i movimenti accreditati in entrata e quelli in uscita, con riferimento alla data di valuta di ciascuna operazione.

Può accadere che venga presentato all’incasso un assegno che tu avevi precedentemente emesso, ma in quel momento sul tuo conto corrente non si trova la cifra sufficiente a coprirlo, cioè a pagarne l’intero importo al beneficiario.

Attenzione: l’assegno è considerato scoperto anche se manca solo una parte della somma.  Ad esempio, se sul tuo conto ci sono 1.000 euro nel momento in cui viene portato all’incasso un assegno di 1.200 euro, quell’assegno sarà considerato scoperto, perché la cifra riportata in esso supera la disponibilità presente sul conto.

La banca quindi non lo pagherà perché non è tenuta ad anticipare o a coprire quell’importo (tranne che nei casi di fido bancario precedentemente concesso e comunque entro i limiti della somma affidata).

A questo punto parte, d’iniziativa della banca prima ancora che del creditore che ha l’assegno scoperto in mano, la procedura che ora esamineremo.

Cosa succede quando l’assegno è scoperto?

La banca, non appena ha constatato che l’assegno presentato all’incasso è scoperto, informa il soggetto che lo ha emesso inviandogli una comunicazione mediante lettera raccomandata (se il correntista è conosciuto in quanto cliente abituale, probabilmente lo contatterà anche telefonicamente o con messaggi ed e-mail, a titolo di cortesia).

Nella comunicazione la banca informerà il soggetto dell’accaduto e delle conseguenze previste dalla legge. In particolare rappresenterà questi due elementi fondamentali:

  • la possibilità di regolarizzare, pagando entro 60 giorni la somma indicata sull’assegno più una penale fissa del 10% nonché gli interessi legali maturati e le spese di eventuale protesto; è il c.d. “pagamento tardivo“, che, se sarà realizzato, eviterà le pesanti conseguenze sanzionatorie che vedremo tra poco;
  • il preavviso di revoca dell’autorizzazione ad emettere altri assegni.

Il pagamento tardivo: come funziona?

Il termine di 60 giorni decorre non dal momento in cui l’assegno è stato materialmente portato in banca bensì dalla data di scadenza del termine di presentazione dell’assegno.

I termini di presentazione degli assegni al pagamento sono di 8 giorni se vengono incassati “su piazza”, ossia nello stesso Comune di emissione, e di 15 giorni se “fuori piazza”, cioè in luogo diverso.

Questo significa che i termini per effettuare il pagamento tardivo sono, rispettivamente, di 68 giorni (60 + 8)  nel primo caso e di 75 giorni (60 + 15) nel secondo caso, partendo  dalla data di emissione che è riportata sull’assegno.

Il pagamento tardivo può essere effettuato nei seguenti modi, purché per l’intera somma dovuta compresa la penale del 10% dell’ammontare dell’assegno e le eventuali spese ulteriori che la banca avrà comunicato:

  • versando la somma sul proprio conto corrente, che in questo modo avrà i fondi sufficienti a pagare l’assegno;
  • pagando la somma direttamente al beneficiario dell’assegno, ad esempio facendogli un bonifico.

In quest’ultimo caso, il beneficiario dovrà rilasciare un’apposita dichiarazione liberatoria, che dovrà essere redatta nella forma di scrittura privata autenticata e consegnata poi alla banca.

Puoi scaricare un modello di dichiarazione liberatoria cliccando qui.

Se il pagamento non avviene o non si ottiene la quietanza liberatoria, la banca, al termine dei 60 giorni concessi, deve effettuare due adempimenti:

  • segnalare il nominativo alla Cai (Centrale di allarme interbancaria);
  • informare il prefetto del luogo di pagamento dell’assegno, che si occuperà di formalizzare le sanzioni contestando al trasgressore la violazione.

Vediamo innanzitutto cos’è la Cai e quali sono le conseguenze dell’iscrizione in essa.

Segnalazione in Cai: cosa comporta

La Cai è un archivio gestito dalla Banca d’Italia. In esso confluiscono tutti i nominativi degli emittenti di assegni a vuoto (oltre che quelli di chi abbia emesso assegni senza autorizzazione o con autorizzazione revocata).

L’iscrizione in Cai comporta automaticamente la revoca di sistema, cioè l’impossibilità di emettere assegni per un periodo di sei mesi; contemporaneamente, dovranno essere restituiti alla banca tutti gli assegni ancora non utilizzati.

Il divieto è generale: riguarda tutti gli istituti di credito, dunque non solo quello da dove è stato tratto l’assegno.

La presenza di un nominativo in Cai precluderà anche l’accesso al credito (finanziamenti, mutui e prestiti di ogni tipo) ed ostacolerà l’apertura di altri conti correnti.

L’archivio Cai è infatti consultabile da tutte le banche ed istituti finanziari; ogni istituto di credito deve obbligatoriamente effettuare una ricerca in esso prima di stipulare qualunque convenzione con autorizzazione all’emissione di assegni.

Il protesto: quando serve e quando non è necessario

Il protesto è un atto formale redatto da un pubblico ufficiale (che può essere il notaio, l’ufficiale giudiziario o il segretario comunale) che accerta la mancanza di pagamento e dunque la scopertura constatata dell’assegno.

Serve farlo quando si vuole ottenere il pagamento dell’assegno dagli eventuali giranti, se l’assegno ha circolato in diverse mani; altrimenti, cioè in tutti i casi di assegni privi di girate, non è necessario.

L’assegno rimasto impagato infatti costituisce già un valido titolo per ottenere il pagamento da chi lo ha emesso: il beneficiario che lo ha portato all’incasso e non è stato soddisfatto potrà direttamente notificare al proprio debitore, cioè all’emittente dell’assegno risultato scoperto, un atto di precetto.

In questo modo si instaura direttamente la procedura esecutiva (che potrà portare al pignoramento di beni o di somme) saltando a piè pari la causa di cognizione: il debito è già accertato e l’assegno stesso rappresenta il suo riconoscimento.

Si eleva invece il protesto quando, a seconda dei casi, è opportuno estendere la responsabilità anche nei confronti dei giranti e degli eventuali avallanti (come accade nella cambiale tratta) ed agevolare il recupero delle somme avendo un maggior numero di soggetti verso cui esercitare la pretesa.

Con il protesto infatti diventa possibile esercitare l’azione esecutiva – quella che come abbiamo visto è già possibile contro l’emittente – anche verso i giranti e gli avallanti senza necessità di fare una causa nei loro confronti per accertare il credito.

Però da quando è stata estesa la clausola di non trasferibilità agli assegni di valore superiore a mille euro non è più consentito farli circolare mediante girate.

Del resto la stessa Legge sull’assegno [1] prevede che al protesto sia equiparata la dichiarazione di mancato pagamento fatta dalla “stanza di compensazione” che è lo strumento operativo utilizzato dalle banche per pagarsi reciprocamente gli assegni presentati a ciascuna di esse (il beneficiario può portare all’incasso l’assegno presso la sua banca, ma la somma sarà pagata dalla banca dove ha il conto l’emittente dell’assegno stesso).

Tutto ciò ha fatto sì che l’utilizzo del protesto oggi sia molto meno frequente rispetto al passato.

Rimane ora da esaminare l’aspetto sanzionatorio, di competenza del Prefetto.

Assegno scoperto: quali sanzioni?

Il prefetto, ricevuta la segnalazione della banca, aprirà un procedimento amministrativo in cui l’interessato potrà difendersi presentando le sue eventuali deduzioni.

Se non le avrà presentate, o se il prefetto non le riterrà valide, sarà emessa un’ordinanza ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria che sarà compresa – tenuto conto della gravità della violazione e di tutte le circostanze emerse – tra un minimo di 516,34 euro ed un massimo di 3.098,74 euro.

Se l’importo dell’assegno scoperto era superiore a 10.329,14 euro o se c’è recidiva e dunque il soggetto era già responsabile di precedenti emissioni di assegni a vuoto, la sanzione raddoppierà: da un minimo di 1.032,92 euro a un massimo di 6.197,48 euro.

A queste sanzioni, se l’importo dell’assegno scoperto supera i 2.582 euro (o anche inferiore, se si sommano due o più assegni di importo più basso purché emessi nell’ambito di un’unica operazione economica o finanziaria) si aggiungerà la revoca dalla possibilità di emettere assegni per un periodo da un minimo di 2 ad un massimo di 5 anni.

Infine, se l’assegno scoperto fosse superiore all’importo di 51.645,69 euro sarà applicata anche l’ulteriore sanzione dell’interdizione dall’esercizio della professione, che è molto grave per imprenditori, commercianti e lavoratori autonomi.

Assegno scoperto: le conseguenze penali

L’emissione di assegni a vuoto è stata depenalizzata da molti anni [2] una volta constatato che le sanzioni penali erano praticamente inefficaci a scongiurare un fenomeno largamente diffuso.

Il legislatore ha deciso così di percorrere la via delle pesanti sanzioni civili ed amministrative che abbiamo esaminato.

Il reato rimane però possibile in tutti i casi in cui l’emissione di un assegno scoperto non sia dovuta al semplice fatto di non avere soldi sul conto corrente sufficienti a pagarlo ma piuttosto rientri in un disegno criminoso di truffa o di insolvenza fraudolenta.

Si pensi al caso in cui il rilascio dell’assegno rientra in un disegno preordinato di artifizi e raggiri compiuti in danno del beneficiario, in modo da indurlo in errore facendogli credere che chi ha rilasciato l’assegno è solvibile ed affidabile.

In questo caso l’emissione dell’assegno – che si sa e si vuole che rimanga scoperto, in modo da evitare il pagamento ottenendo intanto la consegna del bene – costituirà un elemento del reato di truffa.

E’ la c.d. truffa contrattuale: si inganna il creditore facendogli apparire ingannevolmente che il pagamento in suo favore è avvenuto proprio con la consegna di quell’assegno che invece, quando verrà posto all’incasso, risulterà scoperto.

La cartina al tornasole per capire se in questi casi c’è reato oppure no è la risposta a questa semplice domanda: la vittima avrebbe concluso ugualmente il contratto, anche in assenza dei raggiri operati e in particolare del rilascio di quell’assegno? Se la risposta è sì, l’assegno scoperto sarà solo un illecito civile, altrimenti rientrerà nel disegno ingannatorio volto a ottenere un ingiusto profitto (ad esempio facendosi consegnare subito i beni oggetto della vendita in cambio di quell’assegno dato in pagamento)  e ci saranno gli estremi del reato.

La consegna di quell’assegno, che si rivelerà poi scoperto, dovrà insomma essere l’elemento determinante (unito ad altri artifici e raggiri) che ha indotto la vittima a concludere il contratto che altrimenti non avrebbe accettato.

Allo stesso modo, si configurerà il reato di insolvenza fraudolenta quando si è pagato con assegni scoperti nascondendo il proprio stato di difficoltà economica e avendo già in quel momento il proposito di non adempiere la prestazione, cioè di effettuare il pagamento; ad esempio rassicurando e tranquillizzando il creditore sul fatto che ci sia la copertura dei fondi quando invece si sa bene che manca e mancherà nel momento in cui l’assegno verrà portato all’incasso.

In tutti questi casi l’assegno scoperto sarà uno degli elementi costitutivi e probanti dei reati che abbiamo descritto e si potrà sporgere denuncia querela per avviare il procedimento penale a carico di chi ha emesso l’assegno rimasto impagato.



Di Paolo Remer

note

[1] Art. 45 R.D. n.1736 del 21.12.1933, modificato dal D.L. 13 maggio 2011, n.70, convertito in L. n.106 del 12.06.2011.

[2] D. L.  n.507 del 30.12.1999 che ha riformato la L. n.386 del 15.12.1990.

Autore immagine: assegno di Andrey_Popov


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