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Estratto conto corrente: è prova

22 Marzo 2023 | Autore:
Estratto conto corrente: è prova

Che valore legale ha l’estratto conto corrente bancario o postale nei rapporti tra privati, con la banca e con l’Agenzia delle Entrate: come dimostrare un pagamento?

Immagina di aver versato, come ogni mese, le quote del condominio tramite un bonifico bancario e di aver tuttavia perso le ricevute di pagamento cartacee. Se l’amministratore dovesse esigere di nuovo le stesse somme quale prova potresti utilizzare a tuo favore? Oppure immagina di avere la bolletta della luce e del telefono addebitate sul conto e di volerti disfare delle numerose fatture che la società fornitrice ti invia mensilmente: l’estratto conto potrebbe essere sufficiente a dimostrare, un giorno, il puntuale adempimento del debito? Tutte queste domande portano a un unico quesito: l’estratto conto corrente è prova?

La questione è interessante anche sotto un profilo fiscale. Immagina di acquistare una casa con i soldi avuti in regalo da tuo padre, soldi che questi ha accreditato sul tuo conto corrente. Il bonifico riporta la causale «donazione». Dopo qualche anno, però, l’Agenzia delle Entrate ti notifica un avviso di accertamento: dai dati in suo possesso, il tuo tenore di vita – determinato proprio dalla titolarità dell’immobile – è superiore rispetto ai redditi dichiarati. Ti viene chiesto perciò di spiegare la provenienza del denaro con cui sei riuscito a pagare l’abitazione. Giunge in tuo soccorso l’estratto del conto corrente dal quale si evince il trasferimento dei soldi dal conto di tuo padre al tuo. È sufficiente per contrastare il controllo fiscale?

A tutti questi problemi cercheremo di fornire una risposta qui di seguito. Ti spiegheremo, dunque, sulla base della nostra legge, che valore ha l’estratto conto e se può essere utilizzato come prova di un pagamento. Ma procediamo con ordine.

Prova del pagamento: qual è?

Come dimostrare un pagamento? Di solito, quando il denaro viene consegnato in contanti, è sufficiente la quietanza rilasciata dal creditore. Il rilascio dello scontrino o l’emissione della fattura sono solo degli indizi, essendo dei documenti che, di norma, devono essere emessi solo dopo che i soldi sono stati consegnati.

In assenza di documenti scritti, può risultare molto più complicato dimostrare l’avvenuto pagamento di un debito. Per questo, interviene la legge in vario modo.

Limiti alla prova testimoniale

In primo luogo, a fronte di un generale divieto di utilizzare i testimoni per dimostrare l’adempimento di un contratto di valore superiore a 2,58 euro (le vecchie 5mila lire, limite risalente al 1942 e mai aggiornato), il Codice civile [1] concede al giudice di derogare a tale limite, tenendo conto della particolarità del caso concreto. Quindi, in base alla qualità delle parti, ai rapporti intercorrenti tra di esse e alla natura del contratto, il magistrato può anche autorizzare il debitore a chiamare, a proprio sostegno, una persona che testimoni in suo favore e dichiari di averlo visto corrispondere il denaro al creditore.

Prescrizioni presuntive

In secondo luogo vengono previsti dei termini di prescrizione molto brevi per tutte quelle obbligazioni che, nella prassi comune, vengono adempiute immediatamente o comunque non dopo molto tempo (si pensi al pagamento della parcella dell’avvocato o del medico). Sono le cosiddette prescrizioni presuntive. In questi casi, quando decorre tale termine, non spetta più al debitore dimostrare di aver adempiuto anche se ha perso le ricevute di pagamento.

Il comportamento delle parti

Un altro elemento utile al giudice per decidere se un debito è stato pagato è il comportamento complessivo tenuto dalle parti in attuazione del contratto. Ad esempio, chi registra una fattura nella propria contabilità non può poi contestarla sostenendo che non è dovuto alcun pagamento. Allo stesso modo, laddove è prevista la consegna della merce previo pagamento di acconto sarà difficile dimostrare che tale acconto non è stato pagato se la prestazione, nel frattempo, è stata resa.

Le prove scritte con data certa contro il fisco

Un discorso a parte riguarda il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, l’agente della riscossione esattoriale e qualsiasi altro organo dell’amministrazione finanziaria. Infatti nelle controversie che hanno, come controparte, il fisco non è mai possibile la testimonianza e la prova deve essere per forza documentale. Non solo: tale documento deve avere una data certa. La “data certa” è quella attestata da un pubblico ufficiale come un notaio, un funzionario dell’amministrazione, un postino (con il timbro postale), l’Agenzia delle Entrate quando si registra un atto, ecc.

L’estratto conto è una prova?

Ci si potrebbe giustamente chiedere: se è vero che il fisco usa le movimentazioni bancarie del conto corrente come prova contro il contribuente, perché mai la stessa documentazione non potrebbe essere da questi impiegata per dimostrare un pagamento o qualsiasi altro trasferimento di denaro? Ed è proprio così: secondo la nostra giurisprudenza, l’estratto conto è una prova di pagamento sia nei confronti dei privati che del fisco (anche se, in quest’ultimo caso, mancherebbe a rigore la data certa, non essendo la banca un pubblico ufficiale). E difatti l’estratto conto può essere impiegato per contrastare le presunzioni del Redditometro e dimostrare che il denaro con cui è stato acquistato un bene di lusso deriva da una donazione, una vincita al gioco, un risarcimento o altre fonti di reddito non tassabili o già tassate alla fonte.

A ben vedere, però, se l’estratto conto dimostra inconfutabilmente l’esistenza di un pagamento non dice però a quale titolo esso è avvenuto. Né – come vedremo a breve – la causale può sopperire a tale genericità, essendo una dichiarazione fatta unilateralmente dall’ordinante. Ecco che allora si potrebbero presentare dei problemi quando, tra due soggetti, sono in corso una serie di rimesse bancarie e, in assenza di una quietanza, non è possibile con certezza, stabilire la correlazione tra il singolo accredito e la relativa prestazione. Ad esempio, si immagini una persona che abbia delegato una ditta edile ad effettuare la ristrutturazione all’interno del proprio appartamento. I pagamenti avvengono a stati di avanzamento dei lavori. Di tanto in tanto la ditta chiede un “pagamento extra” per l’approvvigionamento di materiali o per lavori non concordati nel contratto iniziale e tuttavia richiesti dal committente. Come fare a stabilire, in caso di contestazioni, a quale prestazione si riferisce il bonifico bancario? In questi casi è il giudice a valutare l’insieme delle prestazioni e a definire l’esistenza di un debito o di un credito.

Quando l’estratto conto non vale come prova

Una recente sentenza della Cassazione [2] ha stabilito che, dinanzi alla contestazione della controparte, l’estratto conto non vale come prova. Ipotizziamo il caso di un soggetto che dichiari di aver fatto un bonifico nei confronti di un altro e che questi invece neghi di averlo ricevuto; il primo, a sostegno della propria tesi, produce l’estratto conto, cancellando tutte le altre disposizioni per questioni di privacy. Ebbene, secondo la Cassazione, tale documento non vale a dimostrare il pagamento. Non basta cioè produrre in giudizio l’estratto conto da cui risulta la disposizione di bonifico per provare che il pagamento è avvenuto . E ciò perché l’ordine di pagamento impartito alla banca potrebbe ben essere stato revocato in un momento successivo. Dunque il buon fine del pagamento non si configura quando il disponente effettua il bonifico ma quando la somma si trasferisce effettivamente sul conto corrente del creditore, che solo così ne acquisisce la disponibilità materiale. L’ordine di per sé non risulta sufficiente anche se la banca dichiara di avervi dato corso. Ed è la parte che agisce per la restituzione della somma che assume di aver pagato a dover dimostrare che il versamento è stato effettivo. Diversamente si addosserebbe sulla controparte l’onere di dimostrare di non aver ricevuto il pagamento, cosa inammissibile per il nostro diritto. 

In realtà il pagamento si perfeziona soltanto quando la rimessa entra materialmente nella disponibilità dell’avente diritto: si tratta di un principio generale. Non conta poi che la banca dichiari di aver eseguito l’ordine di bonifico perché la disposizione, se non immediatamente eseguibile, è revocabile o anche suscettibile di storno, se non andata a buon fine.

Inutile invocare il principio di vicinanza della prova per cui sarebbe il promittente venditore a dover dimostrare che le somme non sono state incamerate: l’incasso è una circostanza che rientra nella sfera di conoscibilità del promissario acquirente in relazione al mezzo di pagamento prescelto, che di per sé non può invertire l’onere della prova. Parola al rinvio.

La causale ha valore di prova?

Se è vero che l’estratto conto ha valore di prova, la stessa efficacia non può essere invece attribuita alla causale. A scegliere la causale è infatti l’ordinante, il correntista che effettua il pagamento. Essa però può essere una “presunzione”, un indizio, specie se non contestata immediatamente.

Estratto conto contro l’accertamento fiscale

È la stessa Agenzia delle Entrate, oltre alla Cassazione, a chiedere per il versamento di denaro tra soggetti diversi una modalità tracciabile: obbligatoria quando la somma è pari o superiore a 3.000 euro, non obbligatoria ma opportuna per somme inferiori. L’estratto conto (così come anche la copia dell’assegno non trasferibile) sono prove valide per contrastare gli accertamenti fiscali come quelli sintetici fatti con il Redditometro. Quindi, il contribuente che voglia provare di aver comprato la casa o l’auto con i soldi avuti in regalo dovrà dimostrare l’accredito di tale denaro senza dover per forza dare contezza che proprio con questo accredito è stato pagato il prezzo. Leggi sul punto Acquisto casa: come evitare problemi col fisco.

Estratto conto e debiti con la banca

Una particolare funzione può avere l’estratto conto per chi ha debiti con la banca per finanziamenti non restituiti o scoperti sul conto. Una interessante sentenza della Cassazione emessa proprio in questi giorni [3] fa il punto della situazione.

La Corte di Cassazione ricorda, anzitutto, che incombe sulla banca istante l’onere di produrre gli estratti del conto corrente sin dall’apertura del medesimo, non potendo sottrarsi a siffatto onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre i dieci anni. Puntualizza la Corte che l’obbligo di conservazione della documentazione contabile deve essere distinto da quello di dar prova del proprio credito.

La regola appena enunciata opera, a parti invertite, anche qualora sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento del saldo del conto corrente e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dalla banca. Con tale produzione, infatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti, sia la mancanza, rispetto ad essi, di una valida obbligazione.

Vediamo che succede se è la banca ad agire contro il correntista. Al riguardo, l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente senz’altro di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni ma non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi anche di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso il giudice ben potrebbe, ad esempio, valorizzare le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o le risultanze delle scritture contabili, nonché avvalersi di un consulente d’ufficio. Aggiunge la Corte che le conseguenze di una produzione incompleta degli estratti conto non debbono necessariamente condurre al rigetto della domanda della banca. Secondo la Cassazione, ai fini della domanda azionata dalla banca si può raccordare l’andamento del conto ad un dato di partenza che sia concretamente affidabile. In questo senso, la Corte ritiene ammissibile anche un azzeramento del saldo iniziale conto.

Se invece è il cliente ad agire verso la banca è suo l’onere della prova degli indebiti pagamenti. Sicché in assenza di prove, il conteggio del dare e avere deve essere effettuato dal primo saldo a debito del cliente. Ciò però, chiarisce la Corte, non esclude che il correntista possa fornire puntuali elementi di prova atti a dar ragione del pregresso andamento del conto così da consentirne la ricostruzione per il periodo non documentato dagli estratti.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è dunque il seguente: «nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio:

a) nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quale ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo); così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta;

b) nel caso di domanda proposta dal correntista, l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore».

Estratto conto e prova del credito della banca: ultime sentenze

Nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio: a) nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta; b) nel caso di domanda proposta dal correntista l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 2 maggio 2019 n. 11543

In caso di necessità di ricalcolo del saldo di conto corrente a causa della nullità delle clausole relative agli interessi, è necessario che la banca produca gli estratti conto integrali, ossia a partire dal “saldo zero” iniziale, condizione per effettuare il preciso conteggio del saldo finale, proprio al fine di disporre di un punto di partenza certo da cui iniziare il calcolo delle reciproche rimesse e relative compensazioni.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 5 febbraio 2019 n. 3337

La banca che intende far valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del suo svolgimento, dall’inizio del rapporto e senza interruzioni.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 27 settembre 2018 n. 23313

Nel contratto di conto corrente bancario, la banca che assuma di essere creditrice del cliente ha l’onere di produrre in giudizio i relativi estratti conto a partire dalla data della sua apertura, non potendo pretendere l’azzeramento delle eventuali risultanze del primo degli estratti utilizzabili, in quanto ciò comporterebbe l’alterazione sostanziale del medesimo rapporto, che vede nella banca l’esecutrice degli ordini impartiti dal cliente, i quali si concretizzano in operazioni di prelievo e di versamento ma non integrano distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra cliente e banca, rispetto ai quali quest’ultima possa rinunciare azzerando il primo saldo.
Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 16 aprile 2018 n. 9365

Nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida “causa debendi”, sicchè il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva condannato la banca alla restituzione al correntista delle somme indebitamente trattenute, nonostante la produzione in giudizio soltanto di una parte degli estratti conto in cui erano state annotate le rimesse oggetto della domanda di ripetizione).

Corte di Cassazione, sez. VI-1 civ., ordinanza 23 ottobre 2017, n. 24948


note

[1] Art. 2721 cod. civ.

[2] Cass. sent. n. 8046/23 del 21.03.2023: «Il pagamento delle obbligazioni per somma di denaro adempiute al domicilio del debitore, ove effettuabile in banca, si perfeziona solo allorché la rimessa entri materialmente nella disponibilità dell’avente diritto e non anche quando (e per il solo fatto che) il debitore abbia inoltrato alla propria banca l’ordine di bonifico e questa abbia dichiarato di avervi dato corso, dovendo soggiungersi che tale disposizione – ove non immediatamente eseguibile – è revocabile o anche suscettibile di storno ove non andata a buon fine: ne consegue che deve essere annullata con rinvio la sentenza d’appello che dispone la restituzione della caparra sul rilievo che il versamento sarebbe stato documentato mediante la copia dell’estratto conto prodotto in giudizio, dovendosi ritenere che la semplice disposizione di bonifico impartita, risultante dall’annotazione, non dimostri l’effettuazione e il buon fine del pagamento, né si può invocare il principio di vicinanza della prova: l’incasso delle somme è circostanza che cade nella sfera di conoscibilità della società in relazione al mezzo di pagamento prescelto e dalla scelta di una tale modalità solutoria non può conseguire alcuna inversione dell’onere probatorio riguardo all’effettiva ricezione delle somme».

[3] Cass. sent. n. 11543/19 del 2.05.2019.

Cass. civ., sez. II, sent., 21 marzo 2023, n. 8046

Presidente Di Virgilio – Relatore Fortunato

Fatti di causa

1. L’Agrifondiaria s.r.l. ha adito il Tribunale di Venezia, esponendo che, con contratto preliminare del […], aveva promesso di acquistare da L.M.E. taluni terreni siti in (omissis) per il prezzo di Euro 360.000,00, di cui Euro 250.000,00 corrisposti a titolo di caparra confirmatoria ed il residuo da versare al momento della stipula del definitivo; che la convenuta non aveva trasferito gli immobili ed aveva iscritto ipoteca sui beni a garanzia di un finanziamento di Euro. 4.560.000,00. Ha chiesto di pronunciare la risoluzione del contratto con rifusione del doppio della caparra o, in subordine, di disporre la restituzione delle somme versate, oltre al risarcimento del danno o al pagamento di un indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.

L.M.E. ha resistito alla domanda, sostenendo che era stato il figlio L.C.A., già amministratore della Agrifondiaria, ad iscrivere ipoteca sull’immobile a garanzia di un suo prestito personale, avvalendosi di una procura generale rilasciatagli dalla convenuta; che inoltre la società non aveva mai comunicato l’avveramento della condizione sospensiva dell’approvazione della convenzione urbanistica con il Comune di (omissis) che rendeva esigibile il perfezionamento del definitivo, nè aveva mai corrisposto alcun anticipo, tantomeno a titolo di caparra, non facendo prova l’estratto conto prodotto in giudizio, nel quale era leggibile solo l’annotazione di un bonifico, peraltro eseguito in data diversa da quella indicata nel preliminare. Ha chiesto di respingere la domanda e di chiamare in causa L.C.A. per essere manlevata.

Disposta la chiamata del terzo ed acquisita documentazione, il Tribunale ha dichiarato la risoluzione del preliminare e ha ordinato alla convenuta la restituzione di Euro 250.000,00, respingendo ogni altra domanda e liquidando le spese.

La decisione è stata confermata in appello, ponendo in rilievo che, a prescindere dalla presenza dell’iscrizione ipotecaria sull’immobile, la promittente venditrice doveva considerarsi inadempiente per non aver concluso il definitivo e che era provato il pagamento dell’acconto, poiché – dimostrata l’effettuazione del bonifico – la ricorrente non aveva dimostrato di non aver incassato le somme.

La Corte di merito ha inoltre asserito che le contestazioni dell’estratto conto erano generiche e tutt’altro che chiare e circostanziate e che le cancellature presenti sul documento non impedivano la lettura dei movimenti, e ha infine respinto l’azione di manleva, osservando che L.C.A. aveva sottoscritto il contratto non in proprio o quale procuratore della madre, ma quale legale rappresentante di Agrifondiaria s.r.l. ed era estraneo al rapporto controverso, non essendo pertinenti tutte le contestazioni concernenti la cattiva gestione del patrimonio della ricorrente.

Per la cassazione della sentenza L.M.E. propone ricorso in sei motivi, cui resistono con controricorso l’Agrifondiaria s.r.l. e L.C.A.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio nelle forme di cui al D.L. n. 137/2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni con L. 176/2020, non essendo stata chiesta la discussione orale.

Motivi della decisione

1. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso. L’impugnazione espone in modo sufficientemente dettagliato le vicende di causa, le questioni dibattute e il contenuto delle decisioni di merito, rendendo agevolmente comprensibili le critiche sollevate alla pronuncia di appello; contiene infine un richiamo adeguatamente specifico agli atti del giudizio di merito di cui la parte ha inteso avvalersi.

2. Il primo motivo del ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., per aver la pronuncia posto a carico della convenuta l’onere di dimostrare di non aver ricevuto l’acconto, finendo per esonerare la società, che aveva preteso il rimborso, dalla prova del pagamento. Tale prova non poteva considerarsi raggiunta nonostante l’effettuazione del bonifico, sia perché inviato in data diversa da quella di pagamento dell’acconto indicata nel preliminare, sia perché documentato esclusivamente da un estratto conto privo di valenza probatoria, essendo leggibile la sola disposizione impartita dalla banca.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2712 c.c., per aver la sentenza negato rilievo al disconoscimento dell’estratto conto, benché il documento presentasse cancellature che non consentivano di individuare le operazioni ivi annotate.

Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 115,116 e 132 n. 4 c.p.c., denunciando l’evidente contraddizione in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale per aver prima affermato che il disconoscimento dell’estratto conto era generico e poi che il documento presentava numerose cancellature.

Il quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 115,116,132, n. 4 c.p.c., per aver la Corte di merito ritenuto provato il pagamento mediante l’estratto conto, pur trattandosi di prova atipica il cui utilizzo doveva essere specificamente ed adeguatamente motivato. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 112,132, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., contestando al giudice distrettuale di aver respinto il secondo motivo di appello, volto a riproporre le contestazioni della copia dell’estratto conto, senza in alcun modo motivare in merito all’eccepita inidoneità del documento a dimostrare l’effettivo versamento dell’acconto.

Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., per aver la sentenza respinto la domanda di manleva, benché fosse stato L.C. ad iscrivere ipoteca sull’immobile a garanzia di un finanziamento personale, la quale iscrizione era stata allegata a fondamento della domanda di risoluzione.

2. Il primo motivo è fondato.

Il versamento della caparra – di cui la pronuncia ha ordinato la restituzione – era stato documentato mediante la copia dell’estratto conto prodotto in giudizio, ove risultava annotata la disposizione di bonifico per l’importo di Euro 250.000,00 impartita alla banca in data 14.3.2015, in favore di L.M.E.

Tale disposizione era la sola leggibile, essendo state cancellate – per ragioni di riservatezza – tutte le altre operazioni ordinate nel periodo.

Secondo la Corte di merito, una volta provata la disposizione di bonifico era onere della ricorrente – per il principio di vicinanza della prova – dimostrare di non aver ricevuto l’importo bonificato.

Tale conclusione procede dall’errato presupposto che la semplice disposizione di bonifico costituisse prova del pagamento superabile solo con la dimostrazione, che competeva alla destinataria, di non aver ricevuto alcunché.

È invece indubbio che la parte che agisca per la restituzione di una somma che assume di aver pagato è gravata – tra l’altro – dell’onere di dimostrare l’effettività del versamento con mezzi idonei.

Il pagamento delle obbligazioni per somma di denaro adempiute al domicilio del debitore, ove effettuabile in banca, si perfeziona solo allorché la rimessa entri materialmente nella disponibilità dell’avente diritto e non anche quando (e per il solo fatto che) il debitore abbia inoltrato alla propria banca l’ordine di bonifico e questa abbia dichiarato di avervi dato corso (Cass. 149/2003), dovendo soggiungersi che tale disposizione – ove non immediatamente eseguibile – è revocabile o anche suscettibile di storno ove non andata a buon fine.

Il pagamento postula il trasferimento, concretantesi in una “traditio” anche se non necessariamente materiale, della somma dovuta dalla sfera patrimoniale del “solvens” a quella dello “accipiens” e quindi il conseguimento effettivo da parte di quest’ultimo della disponibilità della somma, effetto che non può ritenersi conseguito, neppure in via presuntiva, con il mero ordine di bonifico ove non risulti che le somme siano state sicuramente incamerate (Cass. 10632/1996; Cass. 27520/2008; Cass. 15359/2019).

Tale principio ha portata generale ed è operante anche in materia di indebito oggettivo.

La semplice disposizione di bonifico impartita dalla società, risultante dall’annotazione, non dimostrava – pertanto – l’effettuazione e il buon fine del pagamento, nè poteva invocarsi il principio di vicinanza della prova: l’incasso delle somme era circostanza che cadeva nella sfera di conoscibilità della società in relazione al mezzo di pagamento prescelto e dalla scelta di una tale modalità solutoria non poteva conseguire alcuna inversione dell’onere probatorio riguardo all’effettiva ricezione delle somme (cfr., in termini, Cass. s.u. 13533/2001 pag. 12; Cass. 11629/99; Cass. 3232/98).

In definitiva, la sentenza d’appello va cassata conformemente alle richieste della ricorrente per il fatto di aver tratto dalla semplice disposizione di bonifico conseguenze giuridiche erronee riguardo alla prova del pagamento e alla ripartizione dell’onere della prova dell’evento solutorio.

3. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo sono assorbiti, atteso che, in ragione della dichiarata insufficienza della prova del versamento dell’acconto mediante la produzione del bonifico e dell’errato riparto dell’onere della prova della ricezione delle somme, non occorre verificare se la conformità della copia dell’estratto conto fosse stata correttamente disconosciuta e se l’uso del documento fosse precluso, non avendo la società dimostrato di aver versato gli acconti, di cui non può pretendere alcun rimborso.

4. Il sesto motivo è inammissibile.

La risoluzione del preliminare è stata pronunciata a causa della violazione dell’obbligo gravante sulla ricorrente di concludere la vendita immobiliare.

La pronuncia è passata in giudicato, non essendo direttamente attinta dai motivi di ricorso.

Come si è già precisato, nessun rilievo ha invece assunto l’iscrizione ipotecaria sull’immobile promesso in vendita che, secondo la prospettazione di parte, giustificherebbe l’accoglimento dell’azione di manleva: la ricorrente non ha quindi interesse a contestare la pronuncia di appello per aver affermato che il terzo chiamato era estraneo alle vicende dedotte in giudizio, non potendo ottenere – sotto tale profilo – una decisione diversa da quella adottata.

Esclusa ogni rilevanza all’iscrizione ipotecaria, non si ha ragione di coltivare la manleva fondata su presupposti in fatto non suscettibili di un diverso apprezzamento in virtù del giudicato interno sulla risoluzione fondata su altre ragioni.

È quindi accolto il primo motivo di ricorso, è respinto il sesto e sono assorbite le altre censure.

La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il sesto e dichiara assorbite le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.


Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 dicembre 2018 – 2 maggio 2019, n. 11543

Presidente De Chiara – Relatore Falabella

Fatti di causa

1. – In data 28 ottobre 2009 Tribunale di Bari definiva il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da C.F. e B.M.D. nei confronti della intimante Banca Popolare di Puglia e Basilicata. Il provvedimento monitorio aveva ad oggetto il pagamento delle somme corrispondenti ai saldi debitori di due distinti conti correnti (nn. (omissis) e (omissis) ): gli importi di cui la banca si assumeva creditrice erano pari, rispettivamente, a Lire 222.061.472 e a Lire 503.230.270, oltre interessi a decorrere dal dicembre 1995. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione e condannava gli opponenti al pagamento di somme differenti (rispettivamente Euro 154.791,56 e Euro 452.826,76, con interessi a partire dal giugno 2007).

2. – Interposto gravame, era pronunciata una sentenza non definitiva con cui la Corte di appello di Bari rigettava la pretesa creditoria fondata sul contratto n. (omissis) , mentre con riferimento all’altro contratto dichiarava la nullità delle clausole relative alla pattuizione degli interessi ultralegali, alla capitalizzazione degli interessi debitori e alla commissione di massimo scoperto. Con successiva sentenza definitiva la Corte pugliese, poi, rideterminava il saldo del conto n. (omissis) .

3. – Le due sentenze sono stata impugnate per cassazione dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata con due motivi di ricorso. Resiste con controricorso C.F. . Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. – Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 c.c.. Dopo aver ricordato che la Corte di merito aveva respinto la domanda relativa al conto n. (omissis) sul presupposto che non erano stati prodotti gli estratti conto relativi ai primi mesi del rapporto (e che il primo estratto conto, concernente il mese di marzo 1986, recava un saldo debitore iniziale di Lire 38.293.202), l’istante rileva che l’andamento del rapporto era stato documentato con riferimento ai successivi dieci anni. Deduce, pertanto, che il saldo ben avrebbe potuto essere ricalcolato sulla scorta degli estratti conto prodotti.

Col secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dello stesso articolo e lamentata la mancata applicazione del c.d. “saldo zero”. L’istante assume, in sintesi, che, in mancanza degli estratti conto dei primi undici mesi, la Corte di merito avrebbe dovuto procedere all’azzeramento del saldo debitore portato dal primo estratto conto prodotto e che, dunque, non potesse farsi luogo all’integrale rigetto della pretesa azionata.

2. – I due motivi vanno esaminati congiuntamente e, nei termini che si vengono a precisare, possono dirsi fondati.

2.1. – La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca abbia l’onere di produrre i detti estratti a partire dall’apertura del conto; si aggiunge, al riguardo, che la banca stessa non possa sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, dal momento che l’obbligo di conservazione della documentazione contabile va distinto da quello di dar prova del proprio credito (Cass. 10 maggio 2007, n. 10692; Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 25 maggio 2017, n. 13258; più di recente, sempre nel senso dell’affermazione dell’onere della banca di produrre gli estratti conto dal momento di inizio del rapporto: Cass. 16 aprile 2018, n. 9365; Cass. 27 settembre 2018, n. 23313). La ragione di tale conclusione si spiega ove si consideri che, negata la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto corrente consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca (sempre che la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla illegittima capitalizzazione); allo stesso risultato non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitale ed interessi, al momento della chiusura del conto: infatti, tale saldo non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell’ultimo periodo di contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma esso, a sua volta, discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi (cfr. Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 cit., in motivazione).

La regola vale, come è evidente, non soltanto nell’ipotesi di contabilizzazione degli interessi ultralegali, ma in tutti i casi in cui al correntista siano state addebitate, nel corso del rapporto, somme non dovute (come interessi anatocistici, o anche commissioni e spese che la banca non potesse legittimamente pretendere).

Il medesimo principio, opera, poi, a parti invertite, ove sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, giacché in questa evenienza è tale soggetto, attore in giudizio, a doversi far carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto (Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948): con tale produzione, difatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi.

2.2. – Tornando, ora, al caso in cui sia la banca ad agire in giudizio, occorre chiarire quali siano le conseguenze di un adempimento solo parziale dell’onere – su di essa incombente – di dar ragione del completo andamento del rapporto con la produzione dell’intera serie dei pertinenti estratti conto.

È incontestabile che con tale produzione documentale la banca ponga il giudice del merito nella condizione di identificare le appostazioni illegittime e di depurare il conto dagli addebiti che non potessero aver luogo. L’adempimento di tale onere, dunque, è sufficiente perché la banca ottenga la condanna del correntista al saldo a suo credito risultante dal riesame delle diverse partite contabili (sempre che questo riesame non consegni un saldo a suo debito, naturalmente). Che debba essere così, può agevolmente comprendersi, dal momento che l’approvazione delle operazioni annotate negli estratti conto – approvazione che può determinarsi anche in sede giudiziale, giacché la produzione degli estratti conto costituisce “trasmissione”, ai sensi dell’art. 1832 c.c. (Cass. 28 luglio 2006, n. 17242) -, riguarda gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (per tutte: Cass. 26 maggio 2011, n. 11626; Cass. 17 novembre 2016, n. 23421): sicché in assenza di contestazioni specifiche dirette alla contestazione di singole operazioni, deve ritenersi che il conto abbia avuto lo svolgimento indicato nei predetti documenti.

Posto che la produzione totale degli estratti conto dà precisa evidenza dell’andamento del rapporto e giustifica, come tale, la condanna del correntista al pagamento del saldo (per lui) debitore, sterilizzato dall’illegittima contabilizzazione di interessi non dovuti, occorre dunque considerare la diversa ipotesi – presa in considerazione dalla Corte di Bari – in cui la produzione degli estratti conto sia incompleta, in quanto mancante della parte di essi che dovrebbero documentare la prima frazione del rapporto, e chiedersi quale sorte debba essere riservata alla domanda di pagamento della banca (che assuma di continuare ad essere creditrice a seguito del suddetto scomputo).

Reputa il Collegio che la risposta al quesito imponga anzitutto due puntualizzazioni.

2.3. – Va in primo luogo precisato che l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente, come si è appena detto, di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni poste in atto: ma, in assenza di alcun indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito potrebbe valorizzare, esemplificativamente, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o, a norma degli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: citt. Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974): e, per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati, quello stesso giudice ben potrebbe avvalersi di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto comunque emergente dai documenti prodotti in giudizio (Cass. 1 giugno 2018, n. 14074, ove il richiamo a Cass. 15 marzo 2016, n. 5091: nel medesimo senso anche la recentissima Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187).

2.4 – Deve poi osservarsi – ed è questa la seconda precisazione da farsi – che, per quanto il rapporto di conto corrente sia senz’altro unitario (avendo esso ad oggetto l’esplicazione di un servizio di cassa, in relazione alle operazioni di pagamento o di riscossione di somme da effettuarsi, a qualsiasi titolo, per conto del cliente: Cass. 5 dicembre 2011, n. 25943; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1584; cfr. pure Cass. 28 febbraio 2017, n. 5071), non può per ciò solo ritenersi che le conseguenze discendenti da una produzione incompleta siano regolate da criteri rigidi e massimalistici. In particolare, non pare corretto affermare, in termini generali e astratti, che, in presenza di una documentazione incompleta dell’andamento del conto si imponga di disattendere comunque la domanda di condanna al pagamento proposta dalla banca, risultando precluso al giudice di “amputare” dall’esposizione debitoria del cliente l’importo che si assume maturato in relazione alle movimentazioni del conto, non documentate, di complessivo segno negativo per lo stesso correntista. È certamente vero, infatti, che il rapporto di conto corrente, unitariamente strutturato, postula operazioni di segno opposto non integranti distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra banca e cliente, rispetto ai quali l’azzeramento unilaterale delle risultanze possa valere alla stregua di rinuncia (così la cit. Cass. 16 aprile 2018, n. 9365 cit.). Ma è altrettanto vero che, nella prospettiva consegnata dall’art. 2697 c.c., sarebbe improprio collegare sistematicamente alla mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista (e quindi a credito della banca), la conseguenza di un totale rigetto della pretesa azionata. Non vi è infatti ragione, in senso logico e giuridico, per ritenere che nell’ambito del contratto di conto corrente un adempimento solo parziale dell’onere di produzione degli estratti conto inibisca sempre e comunque di procedere alla semplice neutralizzazione del saldo debitorio intermedio: quasi che ai fini della definizione del rapporto di dare e avere non presenti mai alcun valore l’evidenza dell’esposizione debitoria maturata dal correntista nel periodo in cui l’andamento del conto è regolarmente documentato. Quel che conta, invece, è la possibilità di raccordare tale andamento a un dato di partenza che sia concretamente affidabile.

In tal senso, questa Corte si è già espressa, in passato, nel senso dell’ammissibilità di un azzeramento del saldo iniziale, anche se affermazioni in tal senso non trovano riscontro in massime ufficiali: così, Cass. 25 novembre 2010, n. 23974, cit., pronunciandosi su un motivo di censura vertente proprio sulla praticata operazione di azzeramento, ha ritenuto pienamente legittima l’adozione di tale criterio nella ricostruzione del rapporto di dare e avere nascente da contratto di conto corrente; per Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842, pure citata in precedenza, “l’assenza degli estratti conto per il periodo iniziale del rapporto non può dirsi astrattamente preclusiva di un’indagine contabile per il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante, quale l’inesistenza di un saldo debitore alla data dell’estratto conto iniziale”.

Il problema che pone un tale azzeramento è, semmai, correlato al fatto che, ove si abbia riscontro di nullità contrattuali (come quelle aventi ad oggetto la pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici), non può teoricamente escludersi che il saldo intermedio (attestato dal primo degli estratti conto acquisiti al giudizio) sia di segno negativo proprio in ragione di pregressi addebiti di importi non dovuti e che esso potrebbe risultare, invece, di segno opposto (positivo dunque) ove lo si possa depurare dalle illegittime appostazioni: evenienza, questa, che ridonda effettivamente in danno della quantificazione del credito maturato nel periodo successivo, pregiudicando la ricostruzione delle movimentazioni poste in atto in tale arco di tempo, siccome insuscettibili di essere ancorate a un saldo iniziale certo e di valore definito.

2.5. – Il punto critico può rivelarsi, però, quantomeno in alcune circostanze, non insuperabile.

2.5.1. – È naturalmente la banca ad avere l’onere della prova del proprio credito, sicché, in mancanza di elementi idonei ad escludere che il saldo iniziale, a debito del cliente, riportato nel primo degli estratti conto prodotti, possa convertirsi, per quanto appena detto, in un saldo positivo di importo imprecisato, essa non potrà certamente aspirare a un azzeramento del saldo stesso.

D’altro canto, come rilevato al punto 2.3, le movimentazioni del conto possono essere ricostruite sulla base di risultanze diverse dai singoli estratti.

2.5.2. – Il materiale posto all’esame del giudice può fornire, poi, indicazioni più contenute, ma comunque utili ai fini che qui interessano. In tal senso va conferito rilievo a tutti quei dati, circa l’andamento del conto, che portino ad escludere che la contabilizzazione degli interessi ultralegali o anatocistici abbia avuto l’effetto di invertire il segno del saldo relativo al primo periodo del rapporto: e cioè l’effetto di generare un debito per il cliente (quello risultante dal primo estratto conto prodotto) in luogo del credito che si sarebbe determinato in presenza della corretta eliminazione di quelle voci.

In tale cornice può essere valorizzata la condotta processuale della parte e, specificamente, la posizione adottata dal convenuto in senso sostanziale con riguardo al periodo non documentato da estratti conto. Meritevole di considerazione è, ad esempio, la circostanza per cui sia stata la stessa parte destinataria della pretesa della banca a negare che, con riferimento all’arco di tempo in questione, sia maturato, per effetto dello storno di interessi non dovuti, un proprio credito.

Con riferimento a evenienze di tale portata si giustifica la neutralizzazione del saldo riportato nel primo degli estratti conto versati in atti: giacché in siffatte ipotesi il parziale inadempimento dell’onere della banca quanto alla prova del proprio credito si coniuga con l’accertata insussistenza di un saldo intermedio a credito del correntista.

La soluzione indicata non si fonda, del resto, su quei “criteri presuntivi od approssimativi” che la giurisprudenza di questa Corte reputa giustamente inutilizzabili, in termini generali, ai fini della ricostruzione delle movimentazioni del conto (cfr.: Cass. 20 settembre 2013, n. 21597; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693 cit.). Essa costituisce piuttosto naturale derivazione dell’applicazione delle regole di cui l’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c..

2.6. – Mette solo conto di aggiungere, per completezza, che non dissimili considerazioni si impongono nel caso – speculare a quello che qui viene in esame – in cui sia il correntista ad agire per la ripetizione dell’indebito e la banca a resistere in giudizio. In quest’ultima ipotesi, in linea di principio, l’incompletezza della serie degli estratti conto si ripercuote sul correntista, su cui grava l’onere della prova degli indebiti pagamenti, sicché, in assenza di diverse evidenze, il conteggio del dare e avere deve essere effettuato partendo dal primo saldo a debito del cliente di cui si abbia evidenza (cfr., in tema, Cass. 28 novembre 2018, n. 30822). Questo non esclude, tuttavia, che lo stesso correntista possa fornire puntuali elementi di prova atti a dar ragione del pregresso andamento del conto, così da consentirne la ricostruzione per il periodo non documentato dagli estratti; e non esclude nemmeno che, sulla base del complessivo quadro processuale, e indipendentemente da tale ricostruzione, al periodo in questione possa assegnarsi un saldo di diverso ammontare, più favorevole al cliente (ciò che potrà ad esempio verificarsi in ragione della condotta processuale della banca, la quale ritenga di stralciare, in tutto o in parte, il credito da essa maturato in detto arco di tempo, o di riconoscersi addirittura debitrice di una data somma per le movimentazioni occorse nello stesso periodo).

Il rilievo che precede potrebbe apparire estraneo all’oggetto del presente giudizio (in cui si controverte della domanda proposta dalla banca), ma si impone per ragioni di chiarezza, allo scopo di marcare le differenze (ma anche i punti di identità) che connotano le due diverse situazioni e scongiurare, così, possibili incomprensioni.

2.7. – In sintesi, dunque:

ove sia la banca ad agire in giudizio e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a debito del cliente, è consentito valorizzare tutte le prove atte a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato al principio del periodo per cui risultano prodotti gli estratti conto; è possibile poi prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che, pur non fornendo indicazioni atte a ricostruire l’evoluzione del rapporto, consentono quantomeno di escludere che il correntista, nel periodo per cui gli estratti sono mancanti, abbia maturato un indeterminato credito, piuttosto che un debito, nei confronti della banca: sicché in quest’ultima ipotesi è possibile assumere, come dato di partenza per la rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il saldo zero; in mancanza di elementi nei due sensi indicati la domanda andrà respinta per il mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla banca che ha intrapreso il giudizio;

ove sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è del pari legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni certe e complete e che diano giustificazione del saldo riferito a quel momento; è inoltre possibile prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che consentano di affermare che il debito nel periodo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che addirittura in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; in mancanza di elementi nei due sensi indicati dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il detto saldo.

Il totale rigetto della domanda, nella prima ipotesi, e non nella seconda, si spiega facilmente: ove la banca è attrice, essa deve fornire una base certa per la rielaborazione del conto e tale base non è offerta se la medesima non riesca ad eliminare l’incertezza quanto al fatto che al momento iniziale del periodo rendicontato il correntista potesse essere creditore di un importo di indeterminato ammontare; ove la banca assume la veste di convenuta, è il correntista a dover dissolvere l’incertezza relativa al pregresso andamento del rapporto, sicché, in assenza di contrari riscontri, la base di calcolo potrà attestarsi sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore.

Diversa è, naturalmente, l’ipotesi in cui tanto la banca che il correntista si facciano attori, in modo che nella medesima causa si fronteggino due diverse domande, l’una spiegata in via principale e l’altra in via riconvenzionale. Pur non potendosi esaminare, nella presente sede, le diverse possibili declinazioni che la vicenda processuale venga ad assumere in conseguenza della detta contrapposizione, va precisato che anche in tale eventualità sarà necessario valorizzare tutti i dati che rendano possibile individuare un saldo iniziale. Così, ad esempio, rileverà che, a fronte dell’assenza di riscontri forniti dalle parti quanto all’esistenza e all’ammontare dell’esposizione debitoria maturata dal cliente nel periodo non documentato da estratti conto, esista concordanza di allegazioni dei contendenti quanto all’inesistenza di un credito conseguito, in quell’arco di tempo, dal correntista stesso: sicché, anche qui, potrà risultare legittimo l’azzeramento del saldo iniziale del periodo successivo, avendo il giudizio guadagnato una certezza minimale con riferimento alla prima frazione del rapporto di durata. Nel caso in esame, infatti, benché non si possa predicare alcunché riguardo all’ipotetico debito del correntista al momento del primo degli estratti conto prodotti, andrà apprezzata la concorde deduzione delle parti secondo cui quel soggetto, all’epoca, non aveva comunque maturato un credito (e, a fortiori, un credito di indeterminata entità): ciò imporrà di escludere che l’incertezza inerente all’evoluzione del rapporto nel primo intervallo di tempo si sia comunicata a quello successivo e consentirà di affidare le rielaborazioni del conto a una idonea base di calcolo.

2.8. – Tanto detto, ha spiegato la banca ricorrente che nel caso in esame fu lo stesso controricorrente, nel proprio atto di appello, a rilevare che, in assenza degli estratti conto relativi ai primi due anni del rapporto, il primo saldo dovesse essere ricondotto a zero (cfr. ricorso, pagg. 15 s.).

La Corte di appello, nell’affrontare la questione in esame, ha osservato, per un verso, che l’azzeramento del saldo non poteva praticarsi, giacché avrebbe introdotto un criterio equitativo non consentito e, per altro verso, che il saldo iniziale portato dal primo estratto conto non era utilizzabile come base di calcolo, in quanto risultava essersi formato con l’applicazione di pattuizioni inficiate da nullità.

Avendo riguardo a quanto in precedenza rilevato, la conclusione cui è pervenuta la Corte distrettuale non può essere condivisa. Il giudice di appello non avrebbe dovuto limitarsi a qualificare equitativo il criterio basato sulla sterilizzazione del saldo intermedio a debito evidenziato dal primo degli estratti conto prodotti – giacché, come si è detto, la soluzione fondata sull’elisione della detta esposizione debitoria, sempre che sia concretamente possibile, risponde all’applicazione di precise regole giuridiche -, ma avrebbe dovuto piuttosto verificare se l’appellante, attraverso il richiamo al “saldo zero”, avesse di fatto escluso che con riferimento al primo periodo del rapporto si potesse delineare un saldo a suo credito e verificare, più in generale, se dal corredo degli elementi oggetto di acquisizione processuale potesse pervenirsi a un tale esito.

3. – La sentenza impugnata è quindi cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari.

Va enunciato il seguente principio di diritto:

“Nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio: a) nella prima ipotesi l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta; b) nel caso di domanda proposta dal correntista l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore”.

Venendo nel presente giudizio in questione la domanda di pagamento della banca, il giudice del rinvio dovrà fare applicazione di quanto enunciato sub a).

Lo stesso giudice provvederà a regolare le spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.


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1 Commento

  1. Grazie per l’articolo è interessante. Noto che manca un riferimento alla giurisprudenza della Corte di Cassazione ai rapporti di diritti privato non bancari: vale a dire, se l’estratto abbia valore di prova di avvenuto pagamento nei rapporti fra il correntista e soggetti privati terzi quali il titolare di un RID bancario o il beneficiario di un bonifico.

    In simili casi, diversamente dalla PA, la legge vigente non prevede il requisito della certezza della data (ad es. tramite una marca temporale elettronica) e l’estratto conto dovrebbe essere validamente opponibile a terzi quale prova di pagamento. Ciò avrebbe motivo di sussistere sia per l’estratto conto integrale dalla data di apertura del conto, che per un estratto parziale che dia evidenza dei movimenti in dare/avere intercorsi da e verso la controparte oggetto della contestazione.

    L’estratto conto dovrebbe essere qualificato come prova documentale ammissibile ai fine della qualificazione di un credito come certo, liquido ed esigibile e al conseguente eventuale rilascio di idoneo titolo esecutivo.

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