Corte di Giustizia: la rete rimane neutrale nella lotta contro la pirateria


Caso Sabam vs Scarlet: la Corte di giustizia afferma il principio della net neutrality e il divieto di filtraggio della rete per prevenire il download illegale.
Storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [1] che ha riaffermato, a chiare lettere, il principio della net neutrality, sancito dall’art. 15 della direttiva comunitaria sul commercio 2000/31, e tuttavia poco osservato nelle aule dei tribunali. Un problema attuale, che riguarda non solo i cultori del diritto, ma tutti i cittadini che usano internet: la loro stessa libertà a navigare sul web senza restrizioni è messa in discussione dalla non corretta applicazione delle norme dell’Unione Europea.
L’esigenza di combattere la pirateria rischia di generare più morti che vantaggi. A cosa saremmo pronti a rinunciare in favore del copyright? Cosa dovremmo fare se avessimo la certezza che, in futuro, i nostri figli, facendo ricorso alla rete per accedere a qualsiasi tipo di contenuto, dovessero mettere in crisi il concetto di “copia”, fino a farlo estinguere definitivamente?
Dovremmo accettare l’idea che, d’ora innanzi, tutti i ragazzi che si connettono a internet vengano considerati criminali, continuare a minacciarli con cause milionarie, a chiuderne di tanto in tanto qualcuno in prigione, in modo da dare l’esempio agli altri? Mi sembra un sacrificio troppo alto da pagare, qualunque sia il fine. La soluzione a una guerra impossibile da vincere non si risolve con il sacrificio di pochi o con l’inasprimento delle armi. Sono prezzi troppo alti da pagare in nome di una legge – quella sul diritto d’autore – nata più di una generazione fa.
Se allora le cose stanno così, quando le guerre non si possono vincere, anziché mandare al martirio intere generazioni, la cosa più sensata è firmare un armistizio. Bisogna studiare un sistema che eviti la criminalizzazione generalizzata di tutti i giovani. È ora di studiare un sistema legislativo che eviti di minare la “straordinaria collettività ed efficienza” di questo network (secondo le parole di Lawrence Lessig).
È quello che sta cercando di dire, a più riprese, la Comunità Europea e che, puntualmente, fingono di non sentire gli Stati Membri, troppo impegnati a rispettare le esigenze lobbistiche dei proprietari dei contenuti.
In questo quadro, si inserisce la risoluzione dell’altro ieri, adottata dal Parlamento Europeo, in cui quest’ultimo ha ribadito l’importanza di una rete neutrale per lo sviluppo della cultura e del progresso all’interno del mercato comune. E ora lo sottolinea anche la Corte di Giustizia, nella sentenza in commento.
Riservandomi le considerazioni personali per la fine di questo articolo, passo a illustrare il significato di tale dirompente pronuncia.
La direttiva sopra richiamata, meglio nota come Pacchetto Telecom, vieta alle autorità nazionali di imporre a un Internet Service Provider (ISP, ossia un intermediario della rete, come potrebbe essere una compagnia telefonica, ma anche Google, YouYube, ecc.) di sorvegliare tutte le informazioni da esso trasmesse sulla propria rete, onde bloccare eventuali attività illecite di P2P (filesharing).
In altre parole, secondo questo principio, i giudici nazionali non possono obbligare le società che forniscono accesso a internet a usare filtri per prevenire il download di contenuti protetti dal copyright. La cosiddetta neutralità della rete non può essere messa in discussione neanche per combattere la pirateria sul web.
In realtà, poi, diversi tribunali, e soprattutto in Italia, hanno calpestato la net neutrality e, accogliendo le richieste di reti televisive, major cinematografiche e musicali, hanno tentato di mettere i bavagli alla rete.
Uno degli ultimi e più gravi casi è nato da una sentenza del 2007 che aveva shockato la rete.
Nel 2004, la Sabam (versione belga della SIAE) aveva scoperto che alcuni utenti di internet, che si connettevano attraverso la compagnia telefonica Scarlet, scaricavano, senza pagare i diritti d’autore, opere contenute nel suo catalogo, mediante software P2P.
Così, la Sabam aveva chiesto a un tribunale locale [2] la condanna della Scarlet a far cessare l’utilizzo della rete ai propri utenti-pirati. In altre parole, per bloccare l’attività di condivisione sulla rete di opere protette, la Scarlet si sarebbe dovuta munire di programmi di monitoraggio e filtraggio permanenti, che ispezionassero tutti i dati in circolazione sul web, per poi interromperne la trasmissione quando avevano ad oggetto opere protette dal copyright.
Incredibilmente, il Tribunale aveva accolto il ricorso, disconoscendo di fatto il principio della neutralità dell’intermediario e rendendo impossibile, antieconomico, ma oltremodo pericolosa l’attività dell’Internet Service Provider.
Una tale decisione minava anche il principio di libertà di impresa (art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.), ove si esclude la possibilità di accollare ad un soggetto economico – tale è il fornitore di accesso ad internet – un compito tecnicamente complesso, costoso e permanente, solo per tutelare i diritti di proprietà intellettuale altrui.
In discussione c’era anche la violazione della privacy degli utenti (tutelata dall’art. 8 della Carta) che, in una situazione di permanente controllo da parte degli ISP, sarebbe stata sottoposta all’occhio vigile e censore dei software-filtro. Il monitoraggio da parte del fornitore del servizio internet si sarebbe risolto in una forma di intercettazione. Intercettazione che, se in casi straordinari la legge consente nei confronti dei soggetti “sospettati” di gravi crimini, non può essere rivolta indistintamente nei confronti di tutti i cittadini, in via generale e preventiva.
In ultimo, se il principio affermato dal Tribunale di primo grado fosse divenuto incontrovertibile, ci saremmo trovati dinanzi a ad una situazione contraria ai principi di democrazia di ogni stato moderno. A decidere, infatti, il blocco delle comunicazioni nei confronti dei presunti pirati non sarebbe stato un giudice terzo e imparziale, ma un soggetto privato, un imprenditore che, per non subire problemi giudiziali, avrebbe fatto da sommario sceriffo. Il tutto in barba al diritto di difesa, alla libertà di espressione e di informazione.
“È come se al casellante dell’autostrada si chiedesse di perquisire tutte le auto di passaggio, per il semplice fatto che passano”. Questa metafora è spesso usata dalla associazione dei provider, per far comprendere l’illogicità di una rete controllata e filtrata dagli ISP.
Del resto, l’ottemperanza a tale obbligo avrebbe posto anche notevoli problemi di carattere pratico. Non era infatti dimostrata l’efficacia effettiva di tali software di filtro. Essi inoltre sarebbero stati anche aggirabili attraverso programmi più evoluti di P2P.
Così la Scarlet si era rifiutata di adempiere alla condanna e aveva proposto ricorso alla Corte di Giustizia [3].
Dopo un lungo iter giudiziario, quest’ultima ha “bacchettato” il tribunale belga, cancellando il precedente e riaffermando il principio di neutralità della rete. Secondo i giudici di Lussemburgo, il diritto dell’Unione Europea vieta qualsiasi tipo di provvedimento che imponga a un fornitore di accesso a internet un sistema di filtraggio per prevenire gli scaricamenti illegali di file. Un provvedimento di tale tipo sarebbe contrario con la direttiva sul commercio elettronico e con i diritti fondamentali dell’UE.
La decisione, pur non avendo carattere di legge, stempera gli strumenti della crociata contro la pirateria informatica.
Dall’altro lato, ciò non vuol dire che la pirateria sia divenuta tutto d’un tratto attività lecita, né significa che il diritto d’autore non trovi più tutela all’interno dell’Unione Europea. Significa solo che, nel bilanciamento degli interessi tra una rete libera, snella e neutrale da un lato, e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale altrui dall’altro, questi ultimi trovano una compressione, essendo il primo un interesse di rango superiore.
Per usare di nuovo le parole di Lawrence Lessig, è anche vero che l’evasione fiscale è sbagliata, ma un modo per evitarla, al di là dell’inasprimento delle pene, è di introdurre un sistema fiscale più semplice ed equo. La violazione dei limiti di velocità è sbagliata, ma un modo per evitarla, sarebbe fare a meno di imporre un limite di 90 Km/h sui rettilinei delle autostrade pubbliche a quattro corsie delle zone rurali. “Dovremmo sempre riflettere su come mitigare le normative alla luce della probabilità che i loro obiettivi vengano raggiunti. Non fa bene a nessuno imporre determinate norme quando si ha la consapevolezza che la gente non le rispetterà”.
Il copyright rimane protetto dalle leggi europee. La pirateria resta un reato. Ma la lotta a tali illeciti non può trasformare il web in un luogo di censura e controllo, né imporre agli Internet Service Provider di trasformarsi in sceriffi.
note
[1] Terza Sez. Corte Giust. U.E., causa C-70/10.
[2] Tribunal de première instance de Bruxelles (Belgio).
[3] Il ricorso è stato proposto in via incidentale nell’ambito del giudizio di appello promosso dalla Scarlet.