Il lavoro è un diritto fondamentale della persona e, per questo, il licenziamento viene considerato nel nostro ordinamento un provvedimento da adottare solo dopo aver verificato l’impossibilità di ricollocazione del dipendente.
Il nostro ordinamento considera il lavoro l’attività umana che consente, più di ogni altra, l’affermazione della personalità del lavoratore e il progresso della nazione nel suo complesso. Da questa considerazione deriva una disciplina che limita la possibilità del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti, subordinando il recesso dal rapporto di lavoro alla sussistenza di motivi validi ed oggettivi. Inoltre, quando il licenziamento avviene per motivi economici, l’azienda deve anche rispettare l’obbligo di repechage. In questo articolo, vedremo cos’è l’obbligo di repechage e quali sono le sue caratteristiche. In linea generale possiamo dire che questo obbligo deriva dalla volontà dell’ordinamento di favorire, se possibile, la ricollocazione del dipendente al fine di evitare il licenziamento.
Indice
- 1 Diritto al lavoro e licenziamento
- 2 Licenziamento: quando è possibile?
- 3 Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: le casistiche
- 4 Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: i requisiti
- 5 Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: l’obbligo di repechage
- 6 Obbligo di repechage: il perimetro
- 7 Obbligo di repechage: la prova
Diritto al lavoro e licenziamento
La Costituzione italiana viene definita anche costituzione lavorista proprio perché il lavoro viene considerato il fondamento della Repubblica stessa [1]. Il valore che la Costituzione da al lavoro si esprime anche sotto forma di diritto e dovere al lavoro. Ogni cittadino, nel disegno costituzionale, ha diritto al lavoro ed ha anche il dovere di lavorare [2].
Uno degli effetti del diritto al lavoro è la necessità di limitare la possibilità del datore di lavoro di licenziare il dipendente e, in questo modo, di privare il lavoratore del proprio lavoro. Se, infatti, il cittadino ha diritto al lavoro ne consegue che ha anche diritto a non perdere il lavoro se non ci sono validi ed oggettivi motivi che giustificano il licenziamento. Da questa impostazione nasce la disciplina che limita il licenziamento in Italia.
Licenziamento: quando è possibile?
La normativa italiana [3] prevede forti limiti alla possibilità del datore di lavoro di licenziare un dipendente assunto a tempo indeterminato. In particolare, il licenziamento del lavoratore può essere disposto dal datore di lavoro solo se sussiste una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo.
Da ciò deriva la distinzione in diverse tipologie di licenziamento che si distinguono per il motivo che ha spinto il datore di lavoro ad estromettere il dipendente dalla propria azienda:
- licenziamento per giusta causa: l’atto di licenziamento viene disposto dal datore di lavoro poiché il dipendente ha commesso un fatto grave che costituisce un inadempimento dei doveri che gli derivano dal rapporto di lavoro [3]. Per essere giustificato, il licenziamento deve essere una sanzione proporzionata alla gravità del fatto commesso il quale deve essere così grave da impedire al datore di lavoro la prosecuzione, anche solo momentanea, del rapporto di lavoro, essendo del tutto venuto meno il vincolo fiduciario che deve sempre accompagnare il rapporto di lavoro. Per fare degli esempi costituiscono giusta causa di licenziamento: il furto di beni aziendali, l’organizzazione e la partecipazione a risse in azienda, gravi episodi di insubordinazione, il protrarsi di assenze ingiustificate del dipendente, etc.;
- licenziamento per giustificato motivo soggettivo: il licenziamento è sempre una reazione del datore di lavoro ad un grave inadempimento posto in essere dal dipendente. Tuttavia, il fatto commesso è meno grave della giusta causa di recesso ed il datore di lavoro deve dunque rispettare il periodo di preavviso di licenziamento previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro;
- licenziamento per giustificato motivo oggettivo: le prime due fattispecie di licenziamento esaminate sono, entrambe, ipotesi di licenziamento disciplinare. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, deriva non da un fatto commesso dal dipendente ma da una motivazione di tipo economico, da una scelta organizzativa posta in essere dal datore di lavoro.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: le casistiche
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, detto anche licenziamento economico, è come detto la conseguenza di esigenze organizzative, tecniche o produttive dell’azienda.
In questo caso non è la condotta del dipendente a spingere l’azienda a licenziarlo ma la soppressione del posto di lavoro del lavoratore deriva da una riorganizzazione della società.
I casi più diffusi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono i seguenti:
- riduzione del personale: se una società non naviga in buone acque può ridurre il personale per ridurre i costi fissi sostenuti dall’impresa. In questo caso si assiste ad un dimagrimento dell’organico e le mansioni vengono accorpate in capo ad un numero inferiore di dipendenti. Per fare un esempio, l’azienda potrebbe decidere che le mansioni di centralinista, svolte da tre dipendenti, sono accorpate in capo a due dipendenti, sopprimendo dunque un posto di lavoro;
- esternalizzazione di un processo o di una attività: in certi casi l’azienda decide di affidare ad un soggetto esterno (di solito tramite un appalto di servizi) un servizio che prima svolgeva internamente. Per fare un esempio, l’azienda potrebbe decidere che l’attività di gestione del centralino, svolta da un dipendente, venga affidata ad una società esterna con proprio personale. In questo caso il posto del centralinista viene soppresso;
- automatizzazione o digitalizzazione di un processo o di una attività: l’azienda potrebbe decidere di sostituire un processo gestito da dipendenti con un sistema automatico. Per fare un esempio, l’azienda potrebbe decidere che l’attività di gestione del centralino, svolta da un dipendente, venga automatizzata, introducendo un centralino automativo. Anche in questo caso il posto del centralinista viene soppresso.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: i requisiti
In tutte le ipotesi descritte e, in generale, in tutti i casi in cui l’azienda deve sopprimere dei posti di lavoro a causa delle proprie scelte organizzative, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è, in teoria, legittimo ma solo se vengono rispettati dei requisiti di legittimità del licenziamento stesso.
Innanzitutto, l’azienda deve scegliere il dipendente da licenziare utilizzando criteri di scelta ispirati a buona fede e correttezza. Se, ad esempio, si riduce il centralino da tre a due dipendenti, come scelgo il dipendente da licenziare? In teoria, tutti e tre svolgono la stessa mansione e dunque tutti e tre sono potenzialmente licenziabili.
La scelta deve avvenire secondo buona fede e correttezza. Per avere dei parametri oggettivi, si ritengono applicabili i criteri di scelta previsti dalla normativa relativa al licenziamento collettivo [4], in base alla quale i dipendenti da licenziare devono essere scelti in base a:
- anzianità aziendale;
- carichi di famiglia;
- esigenze tecniche, produttive ed organizzative aziendali.
L’altro requisiti di legittimità, scontato, è che la riorganizzazione posta a fondamento del recesso deve avvenire realmente ed essere contestuale al licenziamento. In parole semplici, se ti dico che ti licenzio perché esternalizzo il servizio a terzi questa esternalizzazione deve realizzarsi per davvero e in contemporanea con il licenziamento. Dunque, deve esserci effettiva sussistenza del motivo oggettivo addotto.
Parimenti scontato è che deve esserci un nesso causale tra la posizione ricoperta dal dipendente ed il motivo oggettivo addotto. Se esternalizzi il centralino non puoi, per questo, licenziare un dipendente che non è addetto al centralino o che se ne occupa in minima parte.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: l’obbligo di repechage
Il principale requisito di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è il rispetto dell’obbligo di repechage detto anche obbligo di ripescaggio.
Rispettati gli altri requisiti che abbiamo visto sopra, il datore di lavoro deve compiere un ulteriore sforso ed una ulteriore verifica: deve assicurarsi che non vi siano altri posti vacanti in azienda in cui può ricollocare il dipendente e che, dunque, il licenziamento è davvero inevitabile.
Questo adempimento deriva da ciò che abbiamo detto in premessa: il licenziamento priva il dipendente del lavoro, ossia di una attività fondamentale per la vita di ognuno. Per questo, prima di procedere al licenziamento, ogni strada alternativa deve essere percorso.
Obbligo di repechage: il perimetro
Tradizionalmente è stato affermato che la verifica compiuta dal datore di lavoro sull’eventuale presenza di posti vacanti in cui riallocare il dipendente deve avvenire solo con riferimento a posizioni dello stesso livello di inquadramento del dipendente.
In sostanza, se il dipendente è inquadrato al I livello non posso proporgli un IV livello per evitare il licenziamento.
Oggi, però, si ritiene che sia necessario verificare il repechage con contorni più ampi. Infatti, dopo il Jobs Act, il datore di lavoro può modificare le mansioni del dipendente anche scendendo al livello di inquadramento immediatamente successivo, purchè si resti all’interno della medesima categoria legale [5]. Per intendersi, non posso affidare ad un impiegato mansioni di operaio ma posso affidare ad un impiegato di I livello le mansioni di impiegato di II livello.
Conseguentemente, si ritiene che anche l’obbligo di repechage debba avere un perimetro più ampio, estendendosi non solo alle posizioni professionali vacanti nello stesso livello di inquadramento ma anche a quelle relative al livello di inquadramento immediatamente successivo, purché si resti all’interno della medesima categoria legale (repechage demansionante).
Obbligo di repechage: la prova
Se il dipendente impugna il licenziamento di fronte al giudice del lavoro, il datore di lavoro deve fornire la prova della legittimità del licenziamento [6]. In questo senso, l’azienda dovrà provare:
- che il motivo oggettivo posto alla base del licenziamento (ad esempio l’esternalizzazione del servizio) sussiste realmente;
- il nesso causale tra la posizione lavorativa del dipendente licenziato ed il motivo oggettivo posto alla base del licenziamento;
- il rispetto dei criteri di scelta nell’individuazione del dipendente licenziato;
- il rispetto dell’obbligo di repechage, ad esempio dimostrando che non sono state fatte altre assunzioni nel periodo successivo.
note
[1] Art. 1 Cost.
[2] Art. 4 Cost.
[3] Art. 2119 cod. civ.
[4] Art. 5 L. n. 223/1991.
[5] Art. 2103 cod. civ.
[6] Art. 5 L. n. 604/1966.