Prestito tramite acquisto azioni: non si deve restituire


Se la banca concede il finanziamento in cambio dell’acquisto delle proprie azioni, l’operazione è nulla. Il caso riguarda più di mille risparmiatori.
Cancellato dal tribunale di Venezia un debito di 1 milione e 400 mila euro contratto con la Banca Popolare di Vicenza. Il prestito che era stato dato tramite l’acquisto di azioni della stessa banca non si deve restituire: i giudici hanno stabilito che l’operazione è illecita perché aggira il divieto di finanziare gli acquisti di azioni proprie. Si tratta delle cosiddette “operazioni baciate”, in cui è la stessa banca a fornire ai mutuatari la provvista per far acquistare loro le sue azioni.
La sentenza pubblicata ieri [1] farà discutere perché riguarda uno dei principali istituti creditizi coinvolti nel crac bancario degli scorsi anni: la Popolare di Vicenza si trova adesso in liquidazione coatta amministrativa ed era stato proprio l’organo liquidatore ad agire in giudizio per recuperare il credito, ma dopo quasi tre anni di causa ha avuto torto, l’operazione è stata dichiarata nulla per illiceità e così la somma che era stata prestata dalla banca ed impiegata per acquistare le sue stesse azioni non dovrà essere restituita.
La decisione – come anticipa Il Fatto Quotidiano – ridona speranza ad almeno un migliaio di azionisti che erano rimasti “incastrati” nello stesso fenomeno: per ottenere credito attraverso la concessione di un mutuo o di un finanziamento avevano dovuto acquistare anche azioni dello stesso istituto erogatore. Alla fine questi azionisti si sono trovati un pugno di mosche in mano perché, nel frattempo, il valore dei titoli, specialmente dopo la crisi che ha colpito la banca, si era pressoché azzerato. Il fenomeno non riguarda soltanto la Banca Popolare di Vicenza, ma è esteso anche a Veneto Banca ed a molte banche popolari coinvolte nei default degli ultimi anni e dalle quali moltissimi risparmiatori sono ancora in attesa di ricevere indietro i loro soldi.
La sentenza di ieri può servire da apripista proprio per casi del genere perché sancisce espressamente che questa pratica diffusa nel mondo del credito è contraria alla legge [2], la quale vieta alle società per azioni di acquistare azioni proprie, ed estende il principio anche alle società cooperative, come appunto era la Banca Popolare di Vicenza all’epoca dei fatti e come erano anche le altre banche popolari che hanno posto in essere operazioni analoghe.
Il meccanismo ritenuto illecito funzionava così: la banca concedeva un prestito di importo maggiore, o ad un tasso di interesse più basso, ai clienti che erano disposti a sottoscrivere azioni (o obbligazioni convertibili in azioni) della banca stessa. Le due operazioni – la concessione del prestito e l’acquisto di azioni – rimanevano formalmente distinte, ma la sentenza del tribunale di Venezia ha dimostrato come in realtà fossero intimamente collegate (venivano realizzate a breve termine l’una dall’altra) ed anzi il finanziamento era strumentale a far acquistare le azioni. La Bce, nel corso di un’ispezione, ha accertato che la sola Banca Popolare di Vicenza aveva fatto sottoscrivere in questo modo le proprie azioni per oltre un miliardo di euro, coinvolgendo un migliaio di soci.
La sentenza arrivata ieri non mette, però, la parola fine sulla vicenda: altri tribunali la pensano diversamente ed hanno emesso, anche di recente, pronunce di segno opposto [3] dando ragione alle banche e dichiarando improcedibili le domande di restituzione dell’importo investito o di accertamento che il rimborso del finanziamento non era più dovuto.
note
[1] Tribunale Venezia, Sez. imprese, n. 1758/19 del 29 luglio 2019.
[2] Art. 2358 Cod. civ.
[3] Tribunale Vicenza, sent. n. 951/19 del 30 aprile 2019 e n.1066/19 del 9 maggio 2019.