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Si può modificare un marchio in modo scherzoso?

7 Agosto 2019
Si può modificare un marchio in modo scherzoso?

C’è contraffazione in caso di alterazione di un marchio in modo ironico? Cosa succede in caso di utilizzo del marchio registrato altrui?

Il titolare di un marchio registrato può impedire ad altri di utilizzare lo stesso marchio o marchi simili che potrebbero generare confusione nella collettività e far ritenere che i prodotti derivino dalla medesima azienda. La contraffazione è punita quando vi è un’identità sostanziale degli elementi caratterizzanti il marchio stesso, tanto da trarre in inganno il consumatore. È l’ipotesi in cui due disegni o nomi divergono solo per aspetti marginali mentre il loro “nucleo caratterizzante” è lo stesso. Cosa succede però quando si tratta di un’alterazione in forma ironica? Pensa, ad esempio, all’autore di una serie di t-shirt satiriche in cui vengono “presi in giro” i brand di note marche di abbigliamento, senza alcuna volontà di creare confusione tra i marchi stessi. Si può modificare un marchio in modo scherzoso?

Su questo aspetto si è, da poco, pronunciata la Cassazione [1]. Ecco cosa ha detto la Corte sul punto.

Marchio noto riprodotto in modo ironico: c’è contraffazione?

Per capire meglio la questione giuridica facciamo un esempio pratico.

Luca ha iniziato un’attività di stampa e vendita di magliette con disegni e frasi ironiche, prendendo spunto da marchi noti. Così, ad esempio, ha iniziato con le t-shirt con la scritta “INVERSACE” riportata all’inverso, facendo richiamo al più noto marchio “Versace”. Poi ha usato il marchio Adidas per creare una foglia di marijuana e la scritta “ADIDASHISH”. Facendo il verso a Moschino, ha riprodotto una bottiglia di vino con scritto “MOSCATO”, e così via. I titolari dei relativi marchi si sono ribellati, ritenendo che l’utilizzo del marchio in forma ironica potesse costituire un’offesa al più noto brand e, quindi, una contraffazione vietata dalla legge. Luca però vince la causa. Nessuno infatti è tanto stupido da pensare che il logo riprodotto da Luca sia lo stesso di quello più noto.

Secondo la Cassazione, modificare un marchio in modo scherzoso non può creare confusione con i beni protetti dai marchi tutelati. Scopo della registrazione di un marchio, infatti, non è quello di tutelare l’immagine dell’azienda produttrice, ma il mercato, affinché cioè l’acquirente non sia portato a credere di acquistare un prodotto di una casa quando invece è realizzato da un’altra.

La parodia di un marchio noto non può generare alcun rischio di confusione tra i prodotti originali e quelli realizzati sfruttando in modo ironico loghi conosciutissimi dal grande pubblico. Per cui è impossibile parlare di contraffazione.

Nel caso deciso dalla Corte erano in ballo marchi notissimi, come Fila, Gucci, Adidas, Versace e Lacoste. Per i giudici, però, il richiamo a tali marchi non è sufficiente per censurare i prodotti messi in vendita e ora sotto sequestro.

Per parlare di contraffazione è necessario che «il prodotto che si assume falsificato sia confondibile con gli originali e sia idoneo a creare confusione nel consumatore: il marchio ha infatti una precisa funzione distintiva», finalizzata a «garantire l’affidamento dei consumatori sull’originalità del prodotto» posto in vendita. Ciò comporta che «il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma ove non sussista la confondibilità o l’affinità dei prodotti o servizi».

Lo stesso vale anche per l’uso del marchio per fini di espressione artistica che, secondo le norme della comunità europea, è del tutto lecito e corretto.

Anche il marchio ironico è originale

Per poter registrare un marchio è necessaria l’originalità del prodotto che lo renda facilmente distinguibile dagli altri. Anche i disegni che, prendendo spunto da un brand noto, lo riproducono in forma ironica presentano una indiscussa originalità, dato che risultano caratterizzati da immagini fatte apposta. Il fatto di avere come modello ispiratore un marchio registrato non significa che scopo del suo realizzatore sia l’imitazione, unico comportamento vietato dalla legge.

Invece la legge ritiene leciti i fini parodistici, artistici e descrittivi, essendo le immagini funzionali ad effettuare una riproduzione ironica di marchi celebri, non idonea a creare confusione con i prodotti protetti dai marchi tutelati.


note

[1] Cass. sent. n. 35166/19 del 31.07.2019.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 maggio – 31 luglio 2019, n. 35166

Presidente Cervadoro – Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Ravenna respingeva la richiesta di riesame proposta nei confronti del decreto di sequestro probatorio avente ad oggetti capi di abbigliamento posti in vendita in negozi che esponevano l’insegna “Fake lab” in ordine ai reati previsti dagli artt. 474 c.p. e 648 c.p.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:

2.1. violazione di legge: mancherebbe la identificazione delle finalità probatorie del sequestro; la motivazione offerta, di stile ed apodittica, sarebbe infatti apparente;

2.2. violazione di legge: sarebbe stato illegittimamente qualificato come probatorio un vincolo con finalità cautelari, con elusione delle garanzie riservate al sequestro di tipo preventivo;

2.3. violazione di legge: non sarebbe esistente il fumus commissi delicti; i capi sequestrati non sarebbero oggetto di contraffazione in quanto i marchi che erano stati ritenuti falsificati erano stati utilizzati per creare delle immagini originali progettate con finalità parodistiche; si deduceva, inoltre, che non si rinviene nell’ordinamento nazionale e sovranazionale alcuna tutela per l’utilizzo del marchio a fini “descrittivi” e non “distintivi”. Si deduceva inoltre che i beni sequestrati non erano stati “introdotti nello Stato”, come ritenuto dal Tribunale, ma, piuttosto, erano stati prodotti direttamente dagli indagati.

2.4. Si deduceva, infine, la inidoneità dimostrativa degli elaborati provenienti da tecnici delle aziende detentrici del marchio protetto, la cui attendibilità era inquinata dal fatto che provenivano da esperti dipendenti dalle aziende cui si riferivano i marchi in contestazione.

Considerato in diritto

1. Il terzo motivo di ricorso è fondato ed assorbe gli altri.

1.1. Il collegio rileva che il presupposto per la legittimità del sequestro contestato è l’emersione del fumus commissi delicti in ordine alla contraffazione di prodotti con marchio registrato, reato presupposto della contestata ricettazione (Fila, Gucci, Adidas, Versace, Hermes Givenchy, Balenciaga, Lacoste, Warner Bros per Batman e Superman).

Perché sia riconoscibile la contraffazione è tuttavia necessario che il prodotto che si assume falsificato sia confondibile con gli originali e sia idoneo a creare confusione nel consumatore: il marchio ha infatti una precisa funzione distintiva funzionale a garantire l’affidamento dei consumatori sulla originalità del prodotto commerciato.

In materia la giurisprudenza civile ha infatti chiarito che il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma ove non sussista la confondibilità o l’affinità dei prodotti o servizi; ciò anche nel caso in cui ricorra l’inclusione nella stessa classe, che non è idonea in quanto tale a provarne l’affinità (Sez. 1 , Sentenza n. 20189 del 18/08/2017, Rv. 645394). In linea con tali indicazioni anche giurisprudenza penale ha ribadito la necessità che i beni contraffatti siano prodotti la fine di confondere il consumatore sull’originalità della provenienza sulla base dell’incontestato presupposto che il marchio abbia la funzione di “distinguere” il prodotto certificato dagli altri: si è infatti affermato che ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 474 cod. pen., l’alterazione di marchi prevista dall’art. 473 comprende anche la riproduzione solo parziale del marchio, idonea a far sì che esso si confonda con l’originale e da verificarsi mediante un esame sintetico – e non analitico – dei marchi in comparazione, che tenga conto dell’impressione di insieme e della specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato, soprattutto se si tratta di un marchio celebre (Sez. 5, n. 33900 del 08/05/2018 – dep. 19/07/2018, P.M. in proc. Cortese, Rv. 273893; Sez. 2, n. 9362 del 13/02/2015 -dep. 04/03/2015, Iervolino, Rv. 262841; Sez. 5, n. 25147 del 31/01/2005 – dep. 11/07/2005, Bellomo, Rv. 231894).

A ciò si aggiunge che la Direttiva UE 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa nel considerando n. 27 ha chiarito che «l’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale».

Si ritiene cioè che la confondibilità con l’originale del prodotto che si assume falsificato costituisce un attributo indispensabile per il riconoscimento della contraffazione, che non può rinvenirsi nei casi in cui il marchio sia utilizzato con palesi finalità ironiche e parodistiche, per la creazione di prodotti nuovi ed originali, caratterizzati da immagini che, pur facendo uso del marchio registrato, sono sicuramente inidonee a creare confusione con i beni tutelati, dato che è immediatamente evidente il messaggio parodistico che esclude ictu oculi ogni possibilità di confusione.

1.2. Nel caso di specie, i prodotti in sequestro presentano appunto una indiscussa originalità dato che risultano caratterizzati da immagini create attraverso l’ “uso” di marchi noti, non a fini “distintivi”, e dunque “imitativi”, ma piuttosto a fini “parodistici”, ovvero “artistici e descrittivi”, essendo le immagini censurate funzionali ad effettuare una riproduzione ironica di marchi celebri, inidonea a creare confusione con i prodotti protetti dai marchi tutelati e dunque incompatibile con la contestata contraffazione che, si ripete, deve essere invece connotata dalla idoneità del prodotto che si assume falsificato a confondersi con l’originale.

1.3. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio ed i beni in sequestro devono essere restituiti all’avente diritto.

La Cancelleria effettuerà gli adempimenti previsti dall’art. 626 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, e dispone la restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art.626 c.p.p.


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4 Commenti

  1. Non può essere considerato nullo un marchio che, malgrado il carattere descrittivo del suo elemento individualizzante, sia utilizzato per contraddistinguere dei prodotti differenti da quello che richiama. È tuttavia da escludersi la confondibilità fra due marchi deboli quando l’impatto grafico e quello fonetico presentano sufficienti aspetti atti a distinguerli.L’utilizzo in un sito internet della medesima veste grafica, di colori similari e di espressioni che richiamano quelle utilizzate da un concorrente per pubblicizzare la propria attività, così da determinare un rischio di confusione, è atto di concorrenza sleale.L’oscuramento volontario del sito già portato a termine dal resistente prima della pronuncia cautelare fa cessare la materia del contendere sul punto ma il comportamento concorrenzialmente illecito della resistente rileva ai fini della pronuncia sulle spese.

  2. Nella qualificazione di un negozio come cessione d’azienda, e, dunque, per la determinazione dell’imposta applicabile, assume rilievo preminente la valutazione della complessiva operazione economica realizzata, di cui occorre individuare gli elementi caratteristici alla luce dell’obbiettivo economico perseguito e dell’interesse delle parti alle prestazioni.Appare indubbio che le singole operazioni effettuate dalla società in epoche diverse (cessione di merci, cessione del marchio e cessione delle attrezzature) abbiano un legame funzionale che non può che comportare l’unicità della medesima operazione.

  3. L’accordo di coesistenza fra marchi, che preveda che, in caso di cessione dei marchi di una delle parti, quest’ultima si impegni a fare in modo che il cessionario li utilizzi conformemente all’accordo, non comporta che il cessionario subentri automaticamente nella posizione contrattuale del cedente e non abilita il cessionario a registrare altri marchi, anche se il contratto riserva tale diritto al cedente, sottoponendolo a certe condizioni.

  4. La cessione del marchio patronimico effettuata dallo stilista (o da altri per lui) richiede il successivo rispetto di tale accordo e l’organizzazione dell’eventuale nuova attività in termini che comunque tengano conto delle esigenze e delle legittime aspettative del nuovo titolare del marchio ceduto.

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