Le diverse strade per risolvere o per superare la crisi passano tutte per Conte: le sue decisioni avranno un peso determinante.
Sono trascorsi appena tre giorni dall’apertura della crisi di governo e già i toni dello scontro si sono alzati al limite della guerra; anche gli scenari possibili si sono moltiplicati, attraverso le proposte formulate in questi giorni dagli esponenti delle varie forze politiche. Molti però sembrano essersi dimenticati di un personaggio chiave che non è affatto uscito dai giochi, cioè il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, sfiduciato a parole – ma non di fatto, perché il Parlamento non si è ancora riunito – e con un’immagine personale e di leader che sembra ancora più forte di prima, irrobustita proprio dalla crisi attuale. In questo scenario, tutto lascia pensare che proprio le prossime mosse di Conte saranno essenziali per orientare le soluzioni in un senso o nell’altro.
In questa fase più acuta e confusa della tempesta politica Conte sembra essere un punto fermo: è ancora ad oggi in carica, non si è dimesso ma anzi ha rilanciato la palla proprio contro il leader della Lega, sollecitandolo ad andare in Parlamento per sfiduciarlo, invitandolo a «dire la verità agli italiani» e ad assumersi le sue responsabilità, spiegando agli italiani i motivi della scelta di abbandonare improvvisamente il sostegno al Governo.
Conte sembra paradossalmente aver rafforzato la sua posizione proprio nel momento peggiore, quando il Governo da lui guidato è stato privato all’improvviso (e senza una ragione chiara) del sostegno della Lega di Salvini. Ha segnato il primo punto a suo favore la sera stessa della crisi, l’8 agosto, quando ha assunto immediatamente l’iniziativa ed è riuscito a definire il perimetro dello scontro e le regole del gioco, anziché subire imposizioni: «Ho già chiarito a Salvini che farò in modo che questa crisi da lui innescata sia la più trasparente della storia repubblicana».
Dopodiché, niente dimissioni spontanee: un premier più “morbido” e accondiscendente avrebbe potuto rassegnarle di propria iniziativa, recandosi dal Presidente della Repubblica e rimettendo il mandato; ma Conte non lo ha fatto, anzi anche nei giorni successivi è rimasto a lavorare a palazzo Chigi come sempre.
Vuole che sia chi ha provocato la crisi a recarsi in Parlamento e spiegare le ragioni, senza «nascondersi dietro dichiarazioni retoriche e slogan mediatici» ma facendo «piena chiarezza sulle scelte compiute e sulle responsabilità che ne derivano», perché «il confronto tra Governo e Parlamento è la vera essenza di una democrazia parlamentare». Adesso quindi Conte è pronto a recarsi in Parlamento già nella prossima settimana per verificare se non c’è più la maggioranza disposta a sostenerlo, ma dovrà dichiarare la sfiducia chi ha avuto l’iniziativa di aprire la crisi.
Salvini non si è tirato indietro di fronte alla sfida ma ha rilanciato subito, chiedendo formalmente la sfiducia del Governo. Lunedì pomeriggio ci sarà la conferenza dei capigruppo al Senato e martedì quella alla Camera dei deputati per decidere se e quando riunire il Parlamento per votare la mozione di sfiducia al Governo depositata dalla Lega. L’obiettivo di Salvini è quello di accelerare, per avere l’approvazione prima di Ferragosto o al massimo entro il 20, e ottenendo subito dopo lo scioglimento delle Camere, in modo da andare ad elezioni anticipate entro ottobre.
Il fatto è che la caduta dell’attuale governo Conte non significa che cadrà di conseguenza anche la legislatura: questa è l’intenzione di Salvini, ma non quella degli altri protagonisti della battaglia, a partire dai pentastellati, che vogliono che prima di tutto si voti il taglio dei parlamentari. É un ostacolo serio per Salvini: approvare ora questa riforma significherebbe votare non prima della primavera dell’anno prossimo, perché sarebbe necessario prima modificare la legge elettorale, adattandola al nuovo minor numero di parlamentari da eleggere (600 in tutto, 400 deputati e 200 senatori) e ridisegnando i collegi.
Inoltre, anche se la mozione di sfiducia passasse alla svelta, il governo Conte cadrebbe, ma prima di arrivare allo scioglimento delle Camere e dunque al voto bisognerebbe ancora vedere se siano praticabili soluzioni politiche alternative alla fine anticipata della legislatura. Qui il ruolo di Conte potrebbe emergere in una nuova veste, soprattutto se il Presidente della Repubblica Mattarella affidasse proprio a lui l’incarico di tentare di formare un nuovo Governo (finora dal “toto-premier” non sono emersi altri candidati). Attorno alla sua figura si potrebbero così formare nuove maggioranze, diverse da quelle attuali – cioè senza la Lega – e sempre che lui sia disposto ad accettarle; anche per questa via il suo ruolo risulterebbe decisivo.
In un’altra ipotesi, la Lega, se si sentisse accerchiata ed isolata (già i potenziali alleati, Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno manifestato perplessità alla decisione di Salvini di “correre da solo” ed “ottenere pieni poteri”) o accadesse qualche fatto nuovo, potrebbe tornare sui suoi passi ed accettare di formare un governo “Conte-bis”, sempre con l’appoggio dei 5 Stelle come il precedente, ma stavolta chiedendo la sostituzione di alcuni ministri da sempre sgraditi a Salvini, come Toninelli e Trenta.
Se infine si dovesse andare davvero al voto, per uscire dall’impasse delle posizioni contrapposte dei partiti esistenti -soprattutto se il Movimento 5 Stelle non riuscisse ad esprimere un proprio leader indiscusso – Conte potrebbe addirittura decidere di capeggiare un propria formazione politica, il nuovo partito di Conte, occupando uno spazio di centro che gli è congeniale e che in questo momento appare libero. A quel punto, Giuseppe Conte arriverebbe a “capitalizzare consensi” in un modo molto diverso da quello che sta cercando di fare ora Matteo Salvini, ma che lo renderebbe un protagonista altrettanto stabile della scena politica e gradito da molti italiani che già in questi giorni gli stanno esprimendo in maniera spontanea sostegno e riconoscimento per il lavoro svolto. Sinora Conte ha sempre detto di voler tornare a fare l’avvocato al momento della cessazione del suo ruolo di capo di governo, ma il suo ruolo politico in senso ampio non sembra affatto terminato.