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Il nuovo nemico di Di Maio è il Pd o Conte?

30 Agosto 2019 | Autore:
Il nuovo nemico di Di Maio è il Pd o Conte?

Chi ha detto che l’ultimatum del capo pentastellato fosse diretto ai Democratici e non al premier incaricato?

Se il buongiorno comincia dal mattino, forse il Governo giallorosso non vedrà mai l’alba. La doccia fredda con cui Luigi Di Maio ha gelato sia Giuseppe Conte sia il Partito Democratico, al termine delle consultazioni del premier incaricato con le delegazioni dei gruppi parlamentari, rischia di irrigidire in modo irrimediabile il rapporto tra il Movimento 5 Stelle ed il Pd e, di conseguenza, di far cadere il nuovo Esecutivo ancor prima che nasca. Non tanto perché il capo politico dei grillini ha raddoppiato le sue priorità (i 10 punti elencati al termine dell’ultimo colloquio con il presidente della Repubblica sono diventati ora 20) quanto per i toni che Di Maio ha usato dopo l’incontro con Conte: «O si fa così o si va al voto». Tradotto al linguaggio popolare: o mangi questa minestra, o salti dalla finestra.

La minestra cucinata da Di Maio deve avere qualche verdura che qualcuno non riesce a mandar giù. Altrimenti non si capisce perché il leader del M5S abbia alzato la posta e i toni in questo modo proprio quando sembrava che fosse stata imboccata la strada giusta verso la formazione del Governo Conte-bis. Una strada con qualche ostacolo da superare ancora prima di arrivare al traguardo, certo, ma che, di fronte al bivio in cui ci si trovava all’inizio di questa settimana, sembrava l’unica alternativa a quella che porta dritto-dritto alle urne.

Quali sono gli ingredienti della ricetta proposta a Conte a cui Di Maio non intende rinunciare? Alcuni erano già noti. In primis, il taglio dei parlamentari. Una pratica che i grillini vogliono chiudere in questa legislatura visto che manca un solo voto (alla Camera) per completare l’opera. Poi, una manovra equa che contenga:

  • lo stop all’aumento dell’Iva;
  • il salario minimo;
  • il taglio del cuneo fiscale;
  • meno burocrazia;
  • interventi a favore delle famiglie e dei disabili e per affrontare l’emergenza abitativa.

A ciò si aggiungevano la riforma della giustizia, la legge sul conflitto di interessi, gli interventi sull’ambiente con un potenziamento delle fonti di energia rinnovabile per arrivare al 100% del fabbisogno, la riforma degli enti locali che garantisca un’autonomia differenziata, carcere per i grandi evasori fiscali, riforma del sistema bancario, tutela dei beni comuni e un piano di investimenti al Sud.

Oggi Di Maio ha voluto metterci un po’ più di zafferano affinché il piatto finale venga più giallo che rosso. Un concentrato di altri 10 punti sui quali «lo chef pentastellato» non è disposto a cedere, ovvero:

  • politiche di genere in conformità ai princìpi dell’Unione europea, superamento della disparità retributiva e conciliazione vita-lavoro;
  • tutela dei minori, con una revisione del sistema degli affidi e delle adozioni (che sia un ingrediente suggerito dallo scandalo di Bibbiano?);
  • stop alla vendita di armamenti ai Paesi belligeranti;
  • politiche espansive nell’ambiente e nella cultura con una quota degli attuali investimenti in infrastrutture;
  • politiche di sostegno ai giovani;
  • riforma del sistema universitario, della ricerca e dell’alta formazione artistica e musicale;
  • potenziamento della sicurezza sul lavoro e della protezione dalle calamità naturali;
  • riorganizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari territoriali e contrasto al gioco d’azzardo;
  • tutela degli animali;
  • sostegno alle attività agricole.

Da cucinare e servire entro 3 anni e mezzo, cioè entro la fine della legislatura.

Quello che, però, al Nazareno si chiedono è perché a decidere gli ingredienti del programma di governo debba essere solo il M5S e, per di più, con toni da ultimatum, appunto: o mangi questa minestra… Ma nemmeno in cui il gestore del ristorante ha reagito alle minacce dello chef. Fuori da metafora, Ai vertici del Pd non sono piaciuti né l’ultimatum di Di Maio («se ha cambiato idea, lo dica» ha subito commentato il vicesegretario Paola De Micheli) né l’apparente indifferenza – o, quanto meno, passività – di Giuseppe Conte che, davanti al duro discorso del capo del Movimento, se l’è cavata con un «non l’ho sentito».

Tra i dem girano interpretazioni diverse sui toni dell’ancora vicepremier. C’è chi pensa che abbia voluto alzare la posta in un momento in cui si deve ancora decidere la composizione del Governo ed il suo stesso ruolo all’interno dell’Esecutivo. E c’è, invece, chi attribuisce la «sparata» di Di Maio ad un conflitto tutto interno al Movimento 5 Stelle e, in particolare, tra lui e Giuseppe Conte: forse l’attuale capo, che per 14 mesi è passato davanti all’opinione pubblica come quello che ha fatto parte del Governo gialloverde all’ombra di Matteo Salvini, vuole definitivamente emergere. Ed i consensi guadagnati nelle ultime settimane da Conte potrebbero essere una minaccia per la sua leadership.

Non a caso, proprio oggi il presidente incaricato aveva detto che sarebbe stato lui in prima persona a decidere la rotta e la composizione del Governo. Vuoi vedere che la minestra cucinata oggi da Di Maio non era da portare al Nazareno ma a Palazzo Chigi?



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1 Commento

  1. Buongiorno,
    la cosa è molto più semplice.
    Di Maio vuole dimostrare, se si dovesse andare ad elezioni anticipate, che aveva un programma valido e ampiamente condivisibile; ergo se il PD non li fa suoi significa che avevano ragione a criticarlo, e che quindi i penta stellati dovranno restare con il M5S e non migrare al PD.
    Cordiali saluti

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