Contratto a termine, quando si trasforma in tempo indeterminato?


Contratto a tempo determinato e di somministrazione, causali, proroghe e rinnovi: quando spetta la conversione in tempo indeterminato?
Il Jobs Act ha innovato profondamente la disciplina dei contratti di lavoro, incentivando il ricorso a rapporti a tempo indeterminato e scoraggiando, contemporaneamente, i rapporti a termine. In particolare, vi sono delle specifiche previsioni [1] che stabiliscono, in presenza di determinate condizioni, il diritto del lavoratore alla conversione del contratto a tempo indeterminato. Il decreto Dignità ha ristretto ancora di più le ipotesi in cui è possibile ricorrere al lavoro a termine ed alla somministrazione, accorciando la durata massima del rapporto, riducendo le proroghe e reintroducendo le causali, ossia le ragioni che giustificano l’apposizione del termine, se il contratto dura oltre 12 mesi. Il decreto Dignità ha inoltre aumentato le ipotesi in cui il contratto a tempo determinato è convertito in tempo indeterminato: ad esempio, in caso di stipula di un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, in assenza delle condizioni previste dalle causali, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Ma facciamo il punto della situazione sul contratto a termine: quando si trasforma in tempo indeterminato, quali sono le nuove previsioni del decreto Dignità che ne limitano l’utilizzo.
Indice
Che cos’è il contratto a termine?
Per contratto a termine s’intende un contratto di lavoro subordinato, cioè alle dipendenze di un datore di lavoro, che anziché essere a tempo indeterminato ha una scadenza. In pratica, parliamo di contratto a termine quando c’è una clausola del contratto che indica la data di cessazione.
Trasformazione in tempo indeterminato per superamento della durata massima del contratto
Secondo le modifiche apportate dal decreto Dignità, il contratto a termine può avere una durata massima di 24 mesi, comprensivi di eventuali proroghe, ed un numero massimo di proroghe pari a 4.
Dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato, o dopo il periodo di durata massima complessiva di 24 mesi, il lavoro può proseguire di fatto:
- per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);
- per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi).
In queste ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al dipendente una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20%, fino al decimo giorno successivo, ed al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Se il rapporto di lavoro oltrepassa il periodo di prosecuzione di fatto, il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato, a far data dal superamento dei 30 o dei 50 giorni.
In quali casi si può superare la durata massima del contratto?
Vi sono determinate ipotesi, però, nelle quali è consentito stipulare un nuovo rapporto a termine, nonostante siano raggiunti i 24 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti.
Il nuovo contratto di lavoro, perché sia valido, deve essere stipulato presso l’ispettorato territoriale competente, con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Possono essere poi previste specifiche deroghe al superamento del periodo di 24 mesi da parte dei contratti collettivi.
Trasformazione in tempo indeterminato per mancato rispetto del periodo cuscinetto
Se finisce un rapporto a termine e se ne intende stipulare un altro, è necessario che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto (il cosiddetto periodo cuscinetto, o di stop and go), pari a:
- 10 giorni, se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
- 20 giorni, se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Il mancato rispetto di questo lasso di tempo determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Trasformazione in tempo indeterminato per mancata indicazione della causale
Il decreto Dignità ha reintrodotto le causali per il contratto a termine, cioè l’obbligo di motivare le ragioni che giustificano il ricorso al termine. Le causali sono obbligatorie, però, solo se il contratto dura più di 12 mesi, per ogni rinnovo del contratto e per la proroga, se comporta il superamento della durata di 12 mesi del rapporto.
La stipula del contratto a tempo determinato superiore ai 12 mesi ed il rinnovo del contratto a termine sono validi, in particolare, se le ragioni che li determinano sono:
- ragioni temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro;
- ragioni sostitutive;
- ragioni connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
In assenza delle condizioni previste dalle causali, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Un esempio di esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, può essere costituito dall’introduzione
da parte di un’azienda, in via sperimentale per un certo numero di mesi, di una linea di produzione diversa dai prodotti normalmente venduti.
Un esempio di esigenza legata a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria può essere quello di un’azienda che deve vendere in un dato periodo di tempo tutto lo stock di merce a magazzino per poi ristrutturare l’immobile.
Trasformazione in tempo indeterminato per inesatta indicazione della causale
La causale non deve riportare in modo generico il testo della motivazione descritta nella normativa. Per esempio, non è possibile indicare, come causale «esigenze temporanee e oggettive, estranee all’attività» o «esigenza temporanea di sostituzione di lavoratori».
La causale, inoltre, deve essere sufficientemente chiara ed univoca, non può apparire confusa o contraddittoria.
Se la causale è generica o contraddittoria è considerata inesistente: di conseguenza, il contratto viene convertito a tempo indeterminato, come se la causale non fosse stata indicata.
Trasformazione in tempo indeterminato per causale non veritiera
Non è sufficiente, ad ogni modo, per evitare la sanzione della conversione del rapporto a tempo indeterminato, indicare la causale in modo corretto. Le ragioni che motivano il ricorso al termine, difatti, possono essere comunque contestate, anche se è indicata correttamente la causale: in questi casi, il datore di lavoro è tenuto a provare in giudizio che l’esigenza che giustifica il ricorso al termine è concreta e non simulata.
In caso di causale sostitutiva deve essere specificato il nominativo della persona sostituita, oltre al termine di scadenza del contratto: in pratica, bisogna indicare una data specifica di cessazione del contratto, non è sufficiente rimandare genericamente al rientro della persona sostituita.
Come funziona il regime transitorio del contratto a termine?
In ogni caso, bisogna tener presente che le nuove regole sul contratto a termine non sono uguali per tutti, ma dipendono dalla data di assunzione e dalle date in cui sono effettuate eventuali proroghe e rinnovi.
Nel dettaglio, sono previsti diversi regimi:
- se il rapporto a termine era in corso al 14 luglio 2018, è possibile continuare ad applicare senza modifiche il vecchio regime che non prevede le causali sino al 31 ottobre, anche per proroghe e rinnovi, a prescindere dalla durata complessiva del contratto;
- se il rapporto a termine è stato stipulato dal 14 luglio e la sua durata complessiva supera i 12 mesi, deve essere obbligatoriamente indicata la causale;
- se il rapporto a termine è stato stipulato dal 14 luglio e sino all’11 agosto senza causale, ma interviene un rinnovo o una proroga che determina il superamento dei 12 mesi di durata complessiva, fino al 31 ottobre continua ad applicarsi il vecchio regime per le proroghe e i rinnovi, quindi le motivazioni del ricorso al termine non dovrebbero essere indicate; quest’interpretazione del decreto Dignità non è, però, unanime, pertanto è opportuno attendere chiarimenti ufficiali;
- se il contratto è stipulato dal 12 agosto in poi, le nuove regole valgono da subito.
Quando è possibile derogare alla disciplina sulle causali?
La previsione della causale obbligatoria, per i contratti a termine oltre i 12 mesi, e per i rinnovi e le proroghe che determinano il superamento di questa soglia, sta creando non pochi problemi nell’amministrazione del personale. Molti non sanno, però, che il decreto Dignità non ha abolito la normativa sui contratti di prossimità [2]: i contratti collettivi di secondo livello, che possono essere sia territoriali che aziendali, difatti, possono modificare la disciplina del contratto a tempo determinato, in deroga sia alla normativa che ai contratti collettivi nazionali, comprese le disposizioni che riguardano le causali.
I contratti di prossimità, per poter derogare alla legge, devono però prevedere una delle seguenti finalità: maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro nero, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività.
Possono essere previste dai contratti di prossimità, ad esempio, nuove causali, ossia ragioni più elastiche che giustifichino il ricorso al tempo determinato: l’importante è che non si perda di vista la finalità del contratto di secondo livello, e che questo non sia puramente volto a bypassare le nuove previsioni del decreto Dignità.
Trasformazione del contratto di somministrazione
La somministrazione, rispetto al contratto a termine, è soggetta a meno vincoli: ad esempio, non è previsto alcun periodo cuscinetto tra due diversi contratti di somministrazione.
Le modifiche recentemente apportate dal decreto Dignità, e le nuove limitazioni, che comportano la trasformazione del contratto a tempo indeterminato, comportano però delle conseguenze, nella maggior parte dei casi, in capo all’utilizzatore. Per approfondire: Come gestire il contratto di somministrazione.
Diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato
Un’altra possibilità di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato consiste nel diritto di precedenza spettante ai lavoratori. In particolare:
- al dipendente che ha prestato attività lavorativa con contratto a termine per almeno 6 mesi, è riconosciuto un diritto di precedenza nel caso in cui l’azienda effettui assunzioni a tempo indeterminato entro un anno dalla cessazione del rapporto [3];
- il lavoratore a termine stagionale, invece, ha il diritto di precedenza riguardo eventuali nuove assunzioni a termine per le medesime attività stagionali [4];
- per le lavoratrici a termine in maternità, il periodo di astensione concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza, che può essere esercitato sia per le assunzioni a tempo indeterminato che a termine.
Per far valere il diritto di precedenza, il lavoratore deve manifestare tale volontà all’azienda entro 6 mesi dalla scadenza del contratto (entro 3 mesi se stagionale). Il datore di lavoro deve informare il lavoratore del diritto di precedenza nella lettera di assunzione.
note
[1] D.L. 78/2014.
[2] Art.8 L. 148/2011.
[3] Art. 5, Co. 4quater, D.Lgs. 368/2001.
[4] Art. 5, Co. 4quinquies, D.Lgs. 368/2001.
Articoli ben commentati e molto chiari nelle motivazioni.