Trasferimento per incompatibilità ambientale


In caso di conflitti e tensioni in ufficio, il datore di lavoro pubblico o privato può spostare uno dei dipendenti, a prescindere dalle colpe che questi abbia.
Non vai d’accordo con alcuni colleghi di lavoro. Tra di voi scoppiano spesso litigi che vi portano ad ignorarvi a vicenda. Ciò rallenta il disbrigo delle pratiche rendendo ingestibile la situazione. Ciascuno dà la colpa all’altro dell’inefficienza dell’ufficio, ma è chiaro a tutti che non c’è alcuna voglia di collaborare. Così, un giorno, vieni raggiunto da un provvedimento del datore di lavoro con cui ti comunica il trasferimento per incompatibilità ambientale in un altro luogo. La motivazione è laconica: l’aria in ufficio è divenuta irrespirabile e tutto ciò danneggia l’azienda e la clientela.
Ritieni di non avere alcuna colpa se non quella di essere in minoranza. È come se tutti si fossero alleati contro di te. Ritieni così che il provvedimento sia illegittimo: da un punto di vista sostanziale, perché omette di considerare le tue ragioni nella specifica vicenda; da un punto di vista formale, perché il trasferimento per incompatibilità ambientale è stato adottato senza alcuna preventiva comunicazione, senza darti la possibilità di difenderti, senza quindi tutte le garanzie previste dalla Statuto dei lavoratori in materia di provvedimenti disciplinari.
Che chance avresti di ottenere l’annullamento dell’ordine di servizio da un tribunale qualora dovessi decidere di impugnare tale decisione? Il giudice potrebbe assegnarti un risarcimento del danno per essere stato punito pur essendo dalla parte della ragione?
A spiegare come funziona e quale iter deve seguire il provvedimento contenente il trasferimento per incompatibilità ambientale è una recente e interessante ordinanza della Cassazione [1]. La Corte apre gli occhi a tutti quei lavoratori intransigenti che, solo perché ritengono di essere dalla parte del giusto, creano legami tesi all’interno del luogo di lavoro. Il tutto con evidente danno per la produzione e l’efficienza aziendale. Ma procediamo con ordine.
Indice
Quando è possibile il trasferimento di un dipendente?
In base a quanto sempre detto dalla Cassazione [1], il datore di lavoro può liberamente trasferire un proprio dipendente da una sede a un’altra solo se sussistono comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Dietro il trasferimento non deve, quindi, nascondersi solo il pretesto per allontanare il dipendente ritenuto scomodo, poco servizievole o mobbizzato.
Anche se la soluzione pratica da adottare è rimessa insindacabilmente al datore, tali ragioni tecniche, organizzative e produttive devono essere motivate e devono rispondere ai seguenti requisiti:
- devono sussistere al momento in cui il trasferimento viene deciso (e non dopo);
- devono dipendere da fatti oggettivi, che ricadono sull’azienda, e non da valutazioni sulla condotta del dipendente, che, tutt’al più, possono giustificare l’applicazione di sanzioni disciplinari. È, tuttavia, ammessa la legittimità del trasferimento se la condotta del lavoratore (rilevante sotto il profilo disciplinare) determina disfunzioni sotto il profilo tecnico, organizzativo e produttivo.
Il trasferimento è legittimo, ad esempio, quando sussiste un’incompatibilità fra il dipendente ed i suoi colleghi, tale da determinare conseguenze (quali tensione nei rapporti personali o contrasti nell’ambiente di lavoro) che costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione nell’unità produttiva. In tal caso, infatti, si realizza un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro [3].
Trasferimento per incompatibilità ambientale: presupposti
L’incompatibilità ambientale è, quindi, una delle ragioni tecniche, produttive o organizzative che consentono al datore di lavoro (sia nel privato che nel pubblico) di disporre il trasferimento del dipendente.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che – come giustamente sottolinea la Cassazione – tale provvedimento non ha natura disciplinare: esso cioè non è una punizione, ma solo uno strumento di autotutela che ha l’imprenditore per salvaguardare la produzione. Con la conseguenza che l’adozione dell’ordine di servizio non richiede l’applicazione delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori. Detto in termini ancora più pratici, l’allontanamento ad un’altra sede di lavoro può essere disposto di punto in bianco, senza audizione del dipendente, senza ascoltarne le ragioni e, soprattutto, senza essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento disciplinare.
Non è, quindi, impugnabile il trasferimento per incompatibilità ambientale senza previo avviso e senza concessione dei canonici 5 giorni di tempo per gli scritti difensivi come, invece, succede per tutte le sanzioni disciplinari.
Trasferimento per incompatibilità ambientale anche a chi non ha colpa
Dalla natura organizzativa e non disciplinare del trasferimento in questione deriva anche che l’assegnazione a un’altra sede può avvenire sulla base di una valutazione discrezionale del datore tenendo in considerazione la situazione complessiva venutasi a creare, le tensioni e le disfunzioni, a prescindere dalle ragioni dei vari lavoratori coinvolti. In soldoni, l’imprenditore può spostare anche il dipendente che, nelle varie vicende, si è comportato correttamente se davvero è la sua presenza il motivo di “congelamento” dell’attività. Sarebbe del resto impensabile che, per tutelare quest’ultimo, venissero trasferiti in massa tutti gli altri suoi colleghi.
Il trasferimento del dipendente per incompatibilità ambientale scatta, dunque, anche senza colpa, in senso lato, del lavoratore né garanzia sostanziale e procedimentale. E ciò perché – come detto – il provvedimento del datore non ha natura disciplinare, ma è dettato da ragioni organizzative.
L’incompatibilità ambientale è valutata dal datore in base a un criterio oggettivo, al di là della colpevolezza o della violazione dei doveri d’ufficio: contano le circostanze anche soggettive per cui il lavoratore è fonte di disagio nel normale svolgimento dell’attività produttiva. Il trasferimento per incompatibilità, dunque, trova la sua ratio nella disfunzione dell’azienda e va ricondotto sia ad esigenze tecniche e produttive che a ragioni punitive.
note
[1] Cass. ord. n. 27345/19 del 24.10.2019.
[2] Cass. 28 aprile 2009 n. 9921; Cass. 22 marzo 2005 n. 6117.
[3] Cass. 6 luglio 2011 n. 14875; Cass. 26 marzo 1998 n. 3207.