Fatture per operazioni inesistenti: non basta la doppia contabilità


Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti richiede la prova dell’inesistenza delle prestazioni e dell’accordo fra l’emittente e il destinatario delle fatture per ottenere benefici fiscali.
Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti [1] non può essere provato sulla sola base della tenuta di due diverse contabilità da parte dell’emittente, essendo necessaria la prova dell’inesistenza della prestazione e dell’accordo con il destinatario per fare ottenere a costui benefici fiscali.
Lo ha affermato il Tribunale di Bologna in una recente sentenza [2] che ha assolto un imprenditore accusato di avere emesso fatture per operazioni inesistenti al fine di produrre un vantaggio fiscale per la società destinataria.
L’imputato aveva in realtà emesso fatture per importi molto più alti di quelli risultanti dalla propria contabilità; l’Agenzia delle Entrate aveva dedotto da ciò che l’emittente avesse in realtà “gonfiato” gli importi reali delle fatture al fine di produrre dei benefici fiscali per la società destinataria.
Durante il processo è stato provato che le fatture corrispondevano ad operazioni realmente compiute, mentre non vi è stata prova che le fatture fossero state “gonfiate” e non semplicemente “ribassate” al fine di versare all’Erario importi IVA e IRPEF più bassi del dovuto.
Il Tribunale ha quindi assolto l’imputato poiché non è emersa né la prova dell’inesistenza delle operazioni fatturate, né tantomeno del presunto accordo fra le due società al fine di procurare benefici fiscali alla società destinataria.
Nel caso in esame sarebbe stato configurabile il diverso e meno grave reato di omesso versamento IVA [3], che, a differenza del primo, è punibile soltanto per importi evasi superiori ad € 50.000,00.
note
[1] Art. 8 D.lgs. n. 74/2000.
[2] Trib. Bologna, sent. n. 5200 del 18.12.2013.
[3] Art. 3 D.lgs. n. 74/2000.
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