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Disconoscimento di paternità: ultime sentenze

15 Luglio 2022
Disconoscimento di paternità: ultime sentenze

Bilanciamento fra il diritto all’identità e l’interesse alla stabilità dei rapporti; imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità proposta dal figlio; prova a carico dell’attore; decorrenza del termine; poteri valutativi del giudice.

Azione di disconoscimento della paternità

Posto che l’azione di disconoscimento della paternità, qualora il presunto padre sia morto senza averla proposta, pur non essendo incorso in decadenza, si trasmette ai suoi discendenti o ascendenti, questi potranno esercitarla nel termine annuale decorrente dalla morte del presunto padre, se essi a tale data erano già a conoscenza della nascita ovvero, in caso contrario, dalla conoscenza della nascita in qualunque modo acquisita, a prescindere dalla loro presenza o ritorno nel luogo della nascita.

Cassazione civile sez. I, 13/10/2021, n.27903

Morte del presunto padre

In tema di azione di disconoscimento della paternità, in caso di morte del titolare, la relativa azione può essere proposta dai suoi ascendenti o discendenti, nel termine di decadenza previsto dall’art. 244 c.c., che decorre dalla data del decesso del dante causa, se essi erano già a conoscenza della nascita o, in caso contrario, dalla data dell’effettiva conoscenza dell’evento in qualunque modo acquisita.

Cassazione civile sez. I, 13/10/2021, n.27903

Accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità

La pronuncia che accolga la domanda di disconoscimento di paternità, pur accertando “ab origine” l’inesistenza del rapporto di filiazione, non elide con effetto retroattivo le statuizioni precedentemente assunte in sede di separazione o di divorzio, munite di efficacia di giudicato “rebus sic stantibus”, concernenti il mantenimento di colui che all’epoca risultava figlio, poiché gli effetti riflessi della decisione sullo “status” operano automaticamente solo dal passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento, momento a partire dal quale gli obblighi di mantenimento diventano configgenti con la realtà giuridica definitivamente acclarata e, quindi, privi di giustificazione.

Cassazione civile sez. I, 11/10/2021, n.27558

Accertamento della paternità: condizioni di esperibilità

In tema di azioni di stato, colui che affermi di essere il padre biologico di un figlio nato in costanza di matrimonio non può agire per l’accertamento della propria paternità se prima non viene rimosso lo “status” di figlio matrimoniale con una statuizione che abbia efficacia “erga omnes”, non essendo consentito un accertamento in via incidentale su una questione di stato della persona, e – pur non essendo legittimato a proporre l’azione di disconoscimento di paternità, né potendo intervenire in tale giudizio o promuovere l’opposizione di terzo contro la decisione ivi assunta – in qualità di “altro genitore”, può comunque chiedere, ai sensi dell’art. 244, comma 6, c.c., la nomina di un curatore speciale, che eserciti la relativa azione, nell’interesse del presunto figlio infraquattordicenne.

Cassazione civile sez. I, 11/10/2021, n.27560

Disconoscimento di paternità: valutazione dell’interesse superiore del minore 

In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (artt. 30 Cost., 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale.

(Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della corte di merito, che, nell’accogliere l’azione di disconoscimento di paternità proposta dal padre di un minore infraquattordicenne, ha ritenuto di valorizzare esclusivamente il “favor veritatis”, trascurando di procedere ad un accurato bilanciamento, in concreto, di questo criterio con quello del preminente interesse del minore).

Cassazione civile sez. I, 06/10/2021, n.27140

Azione di disconoscimento della paternità da parte di un minore infraquattordicenne

La proposizione della azione di disconoscimento della paternità da parte del minore degli anni quattordici postula l’apprezzamento, in sede giudiziaria, dell’interesse di questi, non potendo considerarsi utile equipollente la circostanza che sia l’ufficio del pubblico ministero a richiedere la nomina del curatore speciale abilitato all’esercizio della azione stessa. Siffatto apprezzamento, tuttavia, trova istituzionale collocazione nel procedimento diretto a quella nomina – essendo nel corso di esso, possibile l’acquisizione dei necessari elementi di valutazione e dovendosi, con il provvedimento conclusivo, giustificare congruamente le conclusioni raggiunte in ordine alla sussistenza dell’interesse – ma non anche nel successivo giudizio di merito, ove rappresenterebbe una inutile duplicazione di una indagine già compiuta e sottoposta al vaglio del giudice ai fini della nomina del curatore. In particolare, in tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (articoli 30 della Costituzione, 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della Ue, e 244 del Cc) non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli status ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale.

(Nella specie, ha evidenziato la Suprema corte, il giudice di secondo grado si è limitato a un generico riferimento alla età del bambino per ritenere che il disconoscimento fosse conforme al suo interesse, senza acquisire alcuna informazione dai servizi sociali, adempimento peraltro disposto in primo grado. La Corte del merito ha affermato che per il minore è preminente la conoscenza della verità circa la propria condizione, omettendo di effettuare il bilanciamento tra il favor veritatis e il favor minoris).

Cassazione civile sez. I, 14/09/2021, n.24720

Impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità

Nel nostro ordinamento il cognome non ha più una funzione solamente pubblicistica, ma assolve anche alla fondamentale funzione di identificare la persona nella sua individualità: l’uso del cognome costituisce un diritto soggettivo (quello all’identità personale, intesa come bene a sé), indipendentemente dalla titolarità di una determinata posizione all’interno della famiglia. Ciò comporta che nel caso in cui venga accolta la domanda di disconoscimento di paternità per difetto di veridicità, non sarà sempre automatica la perdita del cognome acquisito mediante il riconoscimento, soprattutto se si dimostri che il cognome è divenuto segno distintivo della personalità del figlio nell’ambito familiare e sociale in cui vive.

Corte appello Brescia sez. III, 16/07/2021, n.934

Azione di disconoscimento di paternità: decorrenza del termine

Il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità è correlato alla scoperta in maniera certa dell’adulterio al tempo del concepimento.

Tribunale Civitavecchia sez. I, 31/12/2020, n.1243

Giudizio per il disconoscimento della paternità

Nel giudizio per il disconoscimento della paternità è inammissibile l’intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento.

Corte appello Salerno sez. II, 05/11/2020, n.1178

Accertamento giudiziale e prova a carico dell’attore

In tema di azione di disconoscimento di paternità, il termine, di natura decadenziale, previsto dall’art. 244 c.c. afferisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti, così che il giudice, giusta l’art. 2969 c.c., deve accertarne “ex officio” il rispetto, mentre l’attore deve correlativamente fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto, senza che alcun rilievo possa spiegare, in proposito, la circostanza che nessuna delle parti abbia eccepito l’eventuale decorso del termine stesso.

Tribunale Arezzo, 24/06/2020, n.313

Azione di disconoscimento di paternità e deposizioni testimoniali

In tema di azione di disconoscimento di paternità, le deposizioni testimoniali che riferiscono circostanze apprese “de relato”, anche “ex parte actoris”, sono idonee ad integrare, unitamente ad altri elementi di prova indiziari valutabili ex art. 116 c.p.c., il quadro probatorio utilizzabile dal giudice del merito, essendo in gioco diritti personalissimi afferenti alla sfera intima e personale .

Tribunale Lecce sez. II, 15/06/2020, n.1352

Disconoscimento di paternità e cognome del figlio

In tema di disconoscimento di paternità, il figlio ha diritto a mantenere il cognome del quale in precedenza era titolare se diventa un segno distintivo della sua identità personale. (Nel caso di specie, si trattava di un minore di anni tredici e il cognome rappresentava pertanto un elemento distintivo della sua identità personale attese le relazioni interpersonali già intrecciate).

Tribunale Monza sez. IV, 22/01/2020, n.74

Disconoscimento di paternità: presupposti e termini

Il disconoscimento di paternità è un’azione di stato, finalizzata a superare la presunzione di paternità e, pertanto, a far accertare giudizialmente che il figlio non è stato generato dal marito della madre. Tale azione mira, dunque, a far accertare che il figlio è stato generato da altro uomo e che, allo stato, è figlio della sola madre, salvo un eventuale riconoscimento da parte del padre biologico, ovvero una successiva azione di dichiarazione giudiziale di paternità, che la madre o il figlio potranno esperire.

I presupposti dell’azione in parola sono tipici, ancorché uniti da un unico denominatore comune, rappresentato da un “adulterio” in senso lato, con connesso concepimento ad opera di uomo differente dal marito di colei che partorì, a prescindere dalle specifiche circostanze in cui detto adulterio è stato consumato.

L’azione di disconoscimento può essere esercitata solo dal marito, dalla madre e dal figlio. È esclusa la legittimazione in capo ad altri soggetti, che pure potrebbero avervi interesse, ivi compreso il pubblico ministero. Qualora tale azione sia proposta dalla madre o dal padre, è assoggettata ad un primo termine decadenziale, di sei mesi o di un anno, decorrente dagli specifici eventi previsti dalla legge. È poi soggetta ad un secondo termine decadenziale, non essendo più proponibile quando il figlio abbia raggiunto i cinque anni di età; per i figli già nati alla data del 7 febbraio 2014, il termine quinquennale prenderà a decorrere da questa data. L’azione, se proposta dal figlio, non è assoggettata a termine decadenziale alcuno.

Tribunale Nola sez. II, 26/09/2019, n.1971

Disconoscimento di paternità e mancata menzione

È necessario distinguere dal disconoscimento di paternità, o attribuzione di paternità ad altri, la mancata menzione nel caso di “evocazione” dell’opera collettiva nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca, ed in particolare, della pubblicazione di un’intervista ad un interprete della medesima opera, del pari titolare di un proprio diritto di paternità sulla stessa.

Infatti, deve riconoscersi al giornalista, nell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica, la libertà di scelta degli aspetti di un determinato spettacolo oggetto di tutela autorale che ritiene di maggior interesse per i lettori di un giornale e di decidere, pertanto, di intervistare solo alcuni tra gli interpreti, senza in tal modo, tuttavia, negare la concorrente paternità di altri sull’opera stessa.

Corte appello Milano, 18/06/2019, n.2690

Disconoscimento di paternità: accertamento in concreto

In tema di disconoscimento di paternità le norme e la giurisprudenza non comportano la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impongono un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica e l’interesse alla certezza degli status ed alla stabilità dei rapporti familiari.

Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale.

Cassazione civile sez. I, 06/03/2019, n.6517

Azione di disconoscimento di paternità proposta dal figlio

L’imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento di paternità proposta dal figlio, introdotta dall’art. 244, quinto comma, c.c. come riformulato dall’art. 18 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, si applica, in quanto non esclusa dalle disposizioni transitorie di cui all’art. 104, commi 7 e 9, del medesimo d.lgs., anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Cassazione civile sez. I, 21/02/2019, n.5242

Disconoscimento di paternità e termine quinquennale di proponibilità dell’azione

In tema di azione di disconoscimento di paternità, il nuovo termine quinquennale di proponibilità dell’azione si applica solo ai figli già nati al momento dell’entrata in vigore della Riforma (7 febbraio 2014), per i quali non sia già stata proposta azione di disconoscimento, ma la decorrenza del nuovo termine inizia dal giorno dell’entrata in vigore della nuova legge, con la conseguente considerazione che per i figli che siano già nati alla data del 7 febbraio 2014 il termine quinquennale di decadenza verrà a cadere il 7 febbraio 2019.

Cassazione civile sez. I, 12/11/2018, n.28999

Azione di disconoscimento di paternità: legittimazione attiva

L’azione di disconoscimento di paternità, prevista dall’art. 243-bis c.c., trova la propria giustificazione in esigenze di ordine pubblico, volte a garantire la corrispondenza degli stati personali e familiari alla realtà di fatto. Il presupposto dell’azione è, dunque, costituito dal dato della difformità tra la verità apparente, risultante dalla presunzione ex art.232 c.c., e la verità sostanziale ed obiettiva della filiazione. L’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.

Tribunale Novara, 08/11/2018

Giudizio per il disconoscimento della paternità

Nel giudizio per il disconoscimento della paternità, non è ammissibile l’intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento, e ciò perché la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorché deduca che l’esito positivo dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita, in realtà, a far valere un pregiudizio di mero fatto.

Cassazione civile sez. I, 22/08/2018, n.20953

Disconoscimento e accertamento della paternità

Il giudizio di disconoscimento di paternità con cui viene rimosso lo stato di figlio è pregiudizievole rispetto a quello con cui viene rivendicata altra paternità; nel caso di loro contemporanea pendenza si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialità exart. 295 c.p.c. la cui ratio è quella di evitare il conflitto tra due giudicati.

Cassazione civile sez. VI, 03/07/2018, n.17392

Sentenza di disconoscimento della paternità

E’ inammissibile l’opposizione di terzo proposta da colui che sia indicato come vero padre, avverso la sentenza, passata in giudicato, di disconoscimento della paternità legittima, quando l’opponente deduca che l’esito (positivo) dell’azione di disconoscimento di paternità si riverberi sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, in quanto il pregiudizio fatto valere è di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall’art. 404 c.p.c. presuppone che l’opponente azioni un diritto autonomo, la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata.

Cassazione civile sez. I, 20/03/2018, n.6985

Presunzione di paternità

Qualora non operi la presunzione di paternità ex art. 232 c.c. ed il figlio sia nato da genitori non uniti in matrimonio senza che ne sia successivamente intervenuto il riconoscimento, l’unica azione a disposizione del padre è quella “residuale”, prevista dall’art. 248 c.c., di contestazione dello stato di figlio.

(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che quest’ultima avesse erroneamente qualificato come disconoscimento di paternità l’azione con la quale, colui che all’anagrafe figurava essere il padre di un minore, nato dopo anni dalla pronuncia della sua separazione dalla madre e non riconosciuto, contestava la veridicità delle risultanze anagrafiche).

Cassazione civile sez. I, 21/02/2018, n.4194

Disconoscimento di paternità: prova a carico dell’attore

Ai fini della azione di disconoscimento della paternità grava sull’attore la prova della conoscenza dell’adulterio all’epoca del concepimento, che vale come dies a quo del termine di decadenza per l’esercizio della azione ex articolo 244 del codice di procedura civile – come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte costituzionale – da intendere come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto non riconducibile, perciò a mera infatuazione o a mera relazione sentimentale o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo – rappresentato da una vera e propria relazione o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere.

La valutazione dei fatti indicativi della conoscenza dell’adulterio è riservata al giudice del merito ed è sindacabile – in sede di legittimità – negli stretti limiti di cui al novellato articolo 360 n. 5 del codice, di procedura civile, cioè nel caso di radicale carenza di motivazione o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi.

Cassazione civile sez. I, 15/01/2018, n.768

Fecondazione eterologa in un paese Ue

Illegittimo il disconoscimento del figlio da parte del padre che inizialmente aveva prestato il proprio consenso alla fecondazione eterologa (effettuata in Spagna) e che in una fase successiva aveva avuto un ripensamento. Il dissenso paterno era avvenuto quando la gravidanza era ormai in stato avanzato e quindi non sarebbe stato possibile comunque procedere a un’interruzione.

La Cassazione precisa che in un tale contesto deve prevalere l’esclusivo diritto del figlio ad avere un padre al momento della nascita. In caso contrario e cioè, qualora si permettesse il disconoscimento di paternità al marito (consenziente) della partoriente, si eliminerebbe arbitrariamente l’interesse del minore – costituzionalmente rilevante – consistente nel fruire di un equilibrato rapporto affettivo, derivante dalla persistenza delle due figure genitoriali.

Cassazione civile sez. VI, 18/12/2017, n.30294



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5 Commenti

  1. In caso di disconoscimento di paternità, già avvenuto in data 2016, posso chiedere la restituzione dell’assegno di mantenimento fissato al momento della separazione (avvenuta nel 2006) e chiedere il rimborso per le somme erogate sin dalla nascita?

    1. La regola generale del codice civile in materia di indebito oggettivo prevede che chi ha eseguito un pagamento non dovuto, ha diritto di ripetere ciò che ha pagato, oltre ai frutti e agli interessi maturati: a) dal giorno del pagamento se chi lo ha ricevuto era in mala fede; b) o dal giorno della domanda, se questi era in buona fede. Il pagamento di somme a titolo di mantenimento, anche per effetto di una sentenza di separazione coniugale che abbia stabilito l’importo dell’assegno a carico di uno dei coniugi, presuppone la qualità di genitore dell’obbligato e, dunque, il rapporto di filiazione tra questi e il beneficiario. Nel momento in cui viene accertata l’inesistenza di tale rapporto, vengono meno (ovviamente con efficacia retroattiva) il titolo e il presupposto del mantenimento; ne consegue che colui che ha versato le somme a favore del figlio (che credeva essere proprio), ha diritto alla restituzione. Si configura, dunque, anche in caso di versamento di somme a titolo di mantenimento a favore di un soggetto, accertato come “non figlio”, un’ipotesi di indebito, con diritto alla restituzione degli importi versati sin dalla nascita. L’irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento del figlio può essere affermata solo se questi sia componente della famiglia all’interno della quale viene opera il dovere del genitore nei confronti della prole. Dal momento che è intervenuto un accertamento giudiziale di inesistenza di tale presupposto, non si versa in ipotesi di irripetibilità. In conclusione, il difetto di paternità, accertato con sentenza definitiva, attribuisce al lettore il diritto di ripetere tutto quanto ha pagato ritenendosi tenuto al mantenimento di colui che credeva essere suo figlio.Il lettore può quindi agire contro la sua ex moglie per ottenere la restituzione degli importi versati a favore del figlio, quantificandoli dalla data di nascita fino alla sentenza di disconoscimento della paternità. Inoltre, se la donna era in mala fede, poiché consapevole che il figlio non fosse del lettore, questi ha diritto anche alla richiesta di interessi a decorrere dalla nascita.

  2. Io e mia moglie abbiamo avuto un figlio… ora, c’è stato un periodo in cui ci siamo allontanati e il matrimonio non andava alla grande. eravamo in piena crisi, ma poi ci siamo riavvicinati e lei ha iniziato la gravidanza. però, i primi tempi non la vedevo felicissima. cioè desideravamo da tempo quel bambino… e allora cosa le era successo? si ok i litigi c’erano, ma qualcosa mi puzzava. ora, il nostro bambino ha tre anni… perché ho questo dubbio? Perché ci siamo trasferiti ed ho evitato di farle svuotare gli armadi ecc così nel frattempo lei può badare a nostro figlio. Ecco…nel selezionare gli abiti e trovato un bigliettino della sua borsa che effetiavemente non usava da molto tempo… riporta nome e cognome di un tizio e un messaggio sdolcinato. ho visto sui social il soggetto e in un’occasione mi pare di averlo visto… era l’idraulico..Ho fatto due più due…insomma, sono scioccato!!!

  3. IO considero mio figlio come se fosse mio. cioè l’ho cresciuto, ma se fosse di un altro uomo? Non mi basta la separazione con addebito orami intervenuta a suo carico, ma voglio anche dei soldi per avermi nascosto il tradimento e la vera paternità del piccolo. Posso farlo?

    1. Se il padre scopre che il figlio non è suo, la madre deve risarcirlo? Questa domanda trova una risposta nelle parole della Cassazione. In una recente sentenza, difatti, la Corte ha deciso il caso di un uomo che chiedeva il risarcimento all’ex moglie per essere stato tradito di nascosto e per avergli oscurato il fatto che il figlio era, in realtà, di un altro uomo.
      Figlio di un altro uomo e risarcimento
      Secondo la Corte, la rivelazione che il figlio della coppia è in realtà frutto dell’unione tra la donna e un altro uomo non è sufficiente a far scattare il risarimento del danno. E difatti il risarcimento scatta solo quando le modalità del tradimento sono state tali da ledere la reputazione del coniuge tradito, non anche per l’infedeltà in sé e per sé. Insomma, ciò che il risarcimento può compensare è solo il danno all’immagine e non certo la frustrazione per aver scoperto l’adulterio.
      Tradimento e risarcimento
      Il coniuge può agire contro l’altro colpevole della violazione dei doveri matrimoniali se tale violazione si traduce nell’aggressione a diritti fondamentali della persona per chiedere un risarcimento dei danni subiti.Si ammette la richiesta sia dei danni patrimoniali. sia di quelli non patrimoniali in quanto la tesi maggioritaria li ritiene risarcibili quando l’illecito lede dei valori costituzionalmente protetti. Di regola la richiesta di risarcimento è contestuale alla richiesta di addebito della separazione, ma le due domande sono autonome e distinte, non cumulabili nello stesso giudizio.La richiesta di risarcimento danni da separazione è affrontata soprattutto in relazione alle violazioni dell’obbligo di fedeltà matrimoniale.Secondo la giurisprudenza tale violazione può essere fonte di danno patrimoniale e non patrimoniale per l’altro coniuge solo quando c’è stata una offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge. Non rileva cioè il fatto della relazione extraconiugale di per sé considerata; per configurare gli estremi del danno ingiusto rilevano invece gli aspetti esteriori dell’adulterio (magari particolarmente offensivi e oltraggiosi), come ad esempio il discredito determinato dall’adulterio sull’attività lavorativa del coniuge.

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