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Mobbing verticale: ultime sentenze

16 Giugno 2021 | Autore:
Mobbing verticale: ultime sentenze

Isolamento del lavoratore; attacchi frequenti e duraturi; danno da emarginazione lavorativa; strategia persecutoria; tutela delle condizioni di lavoro.

Quando si configura il mobbing? In quali casi si parla di mobbing verticale? Quali sono i soprusi messi in atto sul posto di lavoro? Cos’è rilevante ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro? Per scoprirlo, leggi le ultime sentenze.

Mobbing: configurabilità e prova

Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo. È necessaria quindi la prova di una esplicita volontà del datore di lavoro (c.d. mobbing verticale) o dei colleghi (c.d. mobbing orizzontale) di emarginare il dipendente in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un intento persecutorio.

Tribunale Salerno sez. lav., 11/06/2020, n.725

Mobbing: gli elementi costitutivi

L’elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato dai ripetuti soprusi che, se posti in essere dai superiori, danno luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se posti in essere dai colleghi danno origine al cd. mobbing orizzontale, comportamenti che possono anche essere formalmente legittimi ed assumono connotazione illecita allorquando aventi l’unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinare il suo isolamento (fisico, morale e psicologico), all’interno del contesto lavorativo.

Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, qualificata danno da emarginazione lavorativa o mobbing, è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza.

T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. I, 09/07/2019, n.1363

La condotta lesiva del datore di lavoro

Il mobbing consiste nel susseguirsi di attacchi frequenti e duraturi e di soprusi da parte dei superiori gerarchici (cd. mobbing verticale discendente o bossing) o di altri colleghi di lavoro (cd. mobbing orizzontale, ove avvenga tra soggetti parigrado, ovvero mobbing ascendente, ove il soggetto passivo dei comportamenti in esame sia un superiore gerarchico) che hanno lo scopo di isolare il lavoratore, di danneggiarne i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione o la professionalità, di intaccare il suo equilibrio psichico, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso, nonché di provocarne le dimissioni. Si tratta, in altre parole, di una successione di episodi traumatici correlati l’uno con l’altro ed aventi come deliberato scopo l’indebolimento delle resistenze psicologiche e la manipolazione del soggetto “mobbizzato”.

Il fenomeno in esame si caratterizza, sotto il profilo soggettivo, dal dolo del soggetto agente, da intendersi nell’accezione di volontà di nuocere o infastidire o comunque svilire in qualsiasi modo il proprio sottoposto o collega di lavoro.

In sostanza, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Tribunale Roma sez. lav., 11/04/2019, n.3673

Mobbing verticale e mobbing orizzontale: presupposti e differenze

L’elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato dai ripetuti soprusi che, se posti in essere dai superiori, danno luogo al c.d. mobbing verticale, mentre se posti in essere dai colleghi danno origine al cd. mobbing orizzontale, comportamenti che possono anche essere formalmente legittimi ed assumono connotazione illecita allorquando aventi l’unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinare il suo isolamento (fisico, morale e psicologico), all’interno del contesto lavorativo; l’elemento psicologico è integrato dal dolo generico o dal dolo specifico di danneggiare psicologicamente la personalità del lavoratore; pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, qualificata danno da emarginazione lavorativa o mobbing, è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza, con la conseguenza che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

Consiglio di Stato sez. IV, 15/10/2018, n.5905

Mobbing verticale nel pubblico impiego

Il mobbing verticale, nel rapporto di pubblico impiego, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.

Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, che sono a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico o prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) l’evento lesivo della salute psico — fisica del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psico — fisica del lavoratore; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio. La sussistenza di condotte mobizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito, che è imprescindibile ai fini della concretizzazione del mobbing. Conseguentemente, un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobizzante.

T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. III, 02/02/2018, n.310

Danno sofferto dal dipendente 

In linea con la giurisprudenza formatasi in materia, gli elementi costitutivi del « mobbing verticale » risultano essere i seguenti: una serie prolungata di atti provenienti dal datore di lavoro o comunque emergenti in ambito lavorativo, aventi le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione nei confronti del dipendente; il dolo specifico, quale volontà di nuocere, infastidire, o svilire il lavoratore, ai fini dell’allontanamento o comunque dell’isolamento del « mobbizzato » ed infine la riconducibilità a tali condotte dell’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente.

T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. I, 22/04/2016, n.776

Aggressione o vessazione psicologica della vittima

In tema di mobbing, gli elementi caratterizzanti sono: l’aggressione o la vessazione psicologica della vittima; la potenzialità lesiva della condotta; la durata nel tempo dei comportamenti vessatori; la ripetizione e/o reiterazione delle azioni ostili, che le rende sistematiche; l’andamento progressivo della persecuzione psicologica, con l’individuazione di sei fasi di sviluppo del fenomeno; il dolo specifico.

(Nella specie, non ricorrendo contestualmente tutti i parametri oggettivi che trasformano un normale conflitto interpersonale sul posto di lavoro in una vera e propria situazione di mobbing verticale o bossing, la Corte ha respinto la domanda).

Corte appello L’Aquila sez. lav., 03/03/2016

Cos’è il mobbing?

Con riferimento alla dinamica dei rapporti di lavoro, per mobbing s’intende una serie reiterata di comportamenti vessatori e prevaricatori posti in essere (mobbing verticale), o comunque tollerati (mobbing orizzontale) dal datore di lavoro, aventi la finalità di emarginare il lavoratore, pubblico o privato e, in definitiva, di estrometterlo dalla struttura organizzativa dell’impresa o dell’ente.

T.A.R., (Lazio) sez. II, 19/12/2006, n.14604

Comportamento reiterato nel tempo

È noto che per “mobbing” si intende un comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a isolarla e a respingerla dall’ambiente di lavoro, con conseguenze negative dal punto di vista, sia psichico sia fisico.

Il cd. “bossing” (o “mobbing” verticale) è la vessazione da parte di un superiore gerarchico del lavoratore, di solito utilizzata per ridurre il personale, ringiovanire o riorganizzare uffici o reparti.

Tribunale Milano, 06/05/2005

Estromissione del lavoratore dall’azienda

Il c.d. mobbing consiste in una condotta vessatoria, reiterata e duratura, individuale o collettiva, rivolta nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici (mobbing verticale) e/o colleghi (mobbing orizzontale), oppure anche da parte di sottoposti nei confronti di un superiore (mobbing ascendente), talora corrispondente ad una precisa strategia aziendale finalizzata all’estromissione del lavoratore dall’azienda (bossing).

Tribunale Pinerolo, 03/03/2004

Mobbing verticale e mobbing orizzontale

Il “mobbing” è una situazione di aggressione, esclusione ed emarginazione di un lavoratore posto in essere da un capo nei confronti di un sottoposto (“mobbing” verticale) o dai colleghi (“mobbing” orizzontale), con lo specifico compito di isolarlo e costringerlo alle dimissioni.

Tale situazione non si determina nell’ipotesi in cui il comportamento di rifiuto o di ostilità nei confronti di un collega o di un sottoposto sia stato provocato dall’atteggiamento tenuto da quest’ultimo e non sia stato posto in essere con lo scopo di isolarlo ed emarginarlo.

Tribunale Torino, 18/12/2002



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10 Commenti

  1. Non riesco più a dormire tranquilla la notte. Sto con l’ansia che domani dovrò andare a lavoro e respirerò un ambiente pieno di tensioni, malsano, in cui il rispetto reciproco non sanno iù cosa significa, dove ogni occasione è buona per ricevere rimproveri dai superiori e umiliazioni. Non ce la faccio più. Aiutatemi a capire che differenza c’è tra mobbing e demansionamento? Quando il mobbing è reato?

    1. Il mobbing è costituito da un elemento oggettivo (le condotte ai danni del lavoratore) e da uno soggettivo (l’intento persecutorio). In merito al primo aspetto, la giurisprudenza ha chiarito che la pluralità di azioni dirette alla sua umiliazioni personale e professionale può consistere sia in azioni illecite – quale il demansionamento, irrogazione di sanzioni disciplinari infondate o controlli ingiustificati e ossessivi – si in azioni lecite (almeno se singolarmente prese) attuate attraverso omissioni, quali la mancanza di valorizzazione del dipendente, o lo svuotamento delle attività assegnate, o l’eccessivo carico di lavoro.Il danno da demansionamento e il danno da mobbing sono due situazioni giuridiche distinte: il mobbing è caratterizzato dall’esistenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro. Il demansionamento, se provoca danni morali e professionali, dà diritto al risarcimento indipendentemente dalla ulteriore sussistenza del mobbing. Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia solo se il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assume natura para – familiare, perché caratterizzato da relazioni intense e abituali e dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti

    2. Nei casi più gravi, i danni alla salute provocati dal mobbing possono assumere le forme di vere e proprie lesioni personali. In questo caso, il datore di lavoro artefice del mobbing può essere anche ritenuto responsabile penalmente per il reato di lesioni personali, colpose o dolose a seconda che abbia lui stesso messo in capo l’azione di mobbing o che sia colpevolmente responsabile per non aver adeguatamente prevenuto simili condotte.

    3. Quando il mobbing produce un danno alla salute psico-fisica del dipendente, quest’ultimo può chiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno da mobbing. Per poter chiedere efficacemente il ristoro del danno, il dipendente deve poter dimostrare:
      -le condotte vessatorie poste in essere dal datore di lavoro o dai colleghi in ambiente di lavoro;
      -il danno alla salute subìto;
      -il nesso causale tra le condotte vessatorie ed il danno subìto.

      Ma quanti soldi possono essere richiesti? Per quantificare il danno occorre considerare che le voci di danno da mobbing risarcibili sono: danno patrimoniale: lo compongono tutti i soldi spesi dal lavoratore a causa del mobbing e dei danni alla salute che ha determinato. Vi rientrano, quindi, i soldi spesi per le prestazioni medico-sanitarie, l’acquisto del farmaci, le visite mediche, etc.; danno non patrimoniale: questa voce di danno è composta dal danno biologico, vale a dire la lesione dell’integrità psico-fisica del lavoratore. Per dare un contenuto economico al danno biologico occorre effettuare una perizia medico-legale che stabilisca la percentuale di danno biologico determinata dalla condotta mobbizzante. Usando poi le tabelle del tribunale di Milano è possibile tradurre quella percentuale in una somma di denaro, in base all’età del lavoratore mobbizzato.

  2. Lasciamo perdere…il mobbing dovrebbe far parte della tutela gratuita dovuta al lavoratore. Io ho subito la recessione da parte del datore di lavoro in corso di udienza grazie al giudice corrotto che ha permesso la delibera post datatata mai notificata alla sottoscritta ed oltre a rimanere senza soldi non ho potuto far ricorso ma ho maledetto con tutto il cuore tutto il sistema che ha rovinato la vita di una donna meritevole a 53 anni e ha dovuto rifare un concorso come disabile nella stessa Asl a distanza di 5 anni da disoccupata vincendolo perché ho nascosto gli anni precedenti nel curriculum …classificandomi al 2 posto!! Appena dentro.. dopo un anno , di nuovo mobbing e cambiamento di ufficio senza giusta motivazione…da premettere sono invalida all’ 85/% ed esonerata da incarichi che prevedano carichi fisici. In tribunale di nuovo!!! senza sortire nulla; anzi oltre il legale anche le spese processuali. Non sono andata avanti perché nel Sud esiste la Mafia ben radicata sia nel sistema giudiziario che nella P.A. Sentendomi don Chisciotte…ho mandato tutti a f.c. e ho fatto di testa mia. Avendo mamma con Alzheimer gravemente malata ho fatto richiesta dell’art. 42 della 104 ed ora sono a casa retribuita . Prendo ansiolitici perché non ho contributi sufficienti né l’età anagrafica per andare in pensione (63anni). Vorrei tornare al Nord dove avevo raggiunto anche il livello dirigenziale e invece qui declassata perché i concorsi per i vertici sono pilotati e riservati ufficiosamente agli appartenenti ai clan…
    Conclusione come si fa a parlare di mobbing se è difficile da dimostrare in Italia e bisogna arrivare al 3° grado di giudizio con i soldi che può avere solo Berlusconi. Grazie. È stata solo una testimonianza vissuta sulla propria pelle!

  3. la differenza tra mobbing e straining sta nel fatto che quest’ultimo è semplicemente «una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie». In entrambi i casi vi sono comunque azioni produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore.

  4. Il datore di lavoro è responsabile – e deve risarcire i danni – per il danno fisico e psichico subito dal proprio dipendente nello svolgimento delle proprie mansioni, non solo per aver compiuto azioni illegittime nei suoi confronti, ma anche per aver omesso di agire al fine di evitare che altri dipendenti possano, con il loro comportamento illegittimo, porre in essere azioni illegittime nei confronti di uno loro collega.

  5. Non spetta il risarcimento danno da mobbing orizzontale se il lavoratore che se ne proclama vittima non dimostra che il datore fosse al corrente delle vessazioni inflittegli dai colleghi nell’ambito dell’ordinaria attività di servizio. E ciò perché non basta il danno biologico riportato dal dipendente: affinché scatti la responsabilità dell’azienda serve sempre l’elemento della colpa, vale a dire la violazione di una disposizione di legge, di un contratto o di una regola di esperienza.

  6. A carico del datore di lavoro grava l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore. Mai la responsabilità del datore può ritenersi oggettiva: nella specie il risarcimento non può essere disposto senza la prova che il titolare fosse al corrente dell’attività persecutoria – quindi necessariamente dolosa – posta in essere dagli altri dipendenti. E d’altronde la responsabilità del datore per i danni causati dai dipendenti sussiste quando i secondi con la condotta incriminata perseguono finalità coerenti con le mansioni affidate e non estranee all’interesse del primo.

  7. …se a subire mobbing è il Datore di Lavoro? …se il dipendente costruisce ad arte un caso al fine di monetizzare? …come cogliere il confine a volte sottile tra un normale uso ed un abuso del diritto ?

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