Facebook: denigrare una persona è reato?


Per la Corte d’Appello de l’Aquila, la volontà di offendere davanti ad una platea enorme di pubblico fa scattare la diffamazione. Ecco perché.
Un conto è fare una battuta. Un altro ben diverso è mirare a offendere e a denigrare una persona, anche attraverso un’espressione che vuole essere spiritosa. Ma che al destinatario non sembra affatto divertente. Lo ha chiarito la Corte d’Appello de L’Aquila, che ha fatto passare la voglia di scherzare al solito «animale da tastiera», nascosto dietro l’anonimato, il quale ha utilizzato un social network per esprimere il proprio disappunto sulle qualità di un artista. In pratica, i giudici hanno stabilito che su Facebook denigrare una persona è reato di diffamazione. Anche se l’autore dell’offesa non ha fatto un riferimento esplicito alla sua vittima scrivendo nome e cognome: basta che costui sia riconoscibile.
Bisogna premettere che incorre nel reato di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Così recita il Codice penale [1]. Questa pratica è diventata molto diffusa da quando esistono i social network e chiunque si sente «in grado» (a volte quasi nell’obbligo) di esprimere un’opinione, un giudizio, senza mezze misure e spesso anche senza averne le competenze per farlo. L’importante – pensa chi ogni giorno libera senza criterio le dita sulla tastiera – è commentare, esserci. E possibilmente, insultare qualcuno.
Su Facebook, denigrare una persona è reato anche se non si arriva all’insulto vero e proprio: in certi contesti e con certe parole, una determinata espressione può creare un danno d’immagine, come sottolineano i giudici abruzzesi. Vediamo perché.
Indice
Facebook e diffamazione: cosa dice la normativa?
Come appena accennato, il reato di diffamazione consiste nell’offendere la reputazione altrui comunicando con più persone. Significa che tale offesa non viene espressa «a quattr’occhi» alla vittima ma in un luogo in cui altre persone possano ascoltarla (o leggerla). Chi viene ritenuto colpevole di questo comportamento rischia la reclusione fino ad un anno o la multa fino a 1.032 euro.
Pena che praticamente raddoppia nel caso in cui alla vittima della diffamazione venga attribuito un fatto determinato (due anni di reclusione o 2.065 euro di multa).
In particolare, se si offende un’altra persona a mezzo stampa o con un altro mezzo di pubblicità o in atto pubblico, si rischia di essere condannati alla reclusione da sei mesi a tre anni o al pagamento di una multa non inferiore a 516 euro.
Ora: dove si legge «mezzo stampa» o «altro mezzo di pubblicità» si deve legge anche Facebook. Questo perché, chiarisce la normativa, il social network è uno strumento che consente di arrivare ad un numero indeterminato di persone. Facebook, insomma, diventa la «piazza» in cui un’espressione può offendere la reputazione di qualcuno in quanto tale espressione può essere letta da un numero imprecisato di utenti e, anzi, la sua diffusione si può moltiplicare alla velocità della luce grazie alle condivisioni.
Perché denigrare una persona su Facebook è reato
Se già il «contenitore», cioè Facebook, offre i presupposti per commettere reato di diffamazione, l’altro elemento che manca è il «contenuto», cioè quello che si scrive. Ed è qui che è intervenuta la Corte d’Appello de L’Aquila [2].
I giudici hanno visto l’intenzione di denigrare nel commento di una persona che aveva dato dell’imbianchino a un pittore. Questo, secondo i giudici, perché l’imbianchino non svolge una professione artistica, per quanto rispettabilissima. E, comunque, non fa il pittore. Svolgendo, quindi, un mestiere che non rappresenta una forma d’arte, utilizzare il termine «imbianchino» per riferirsi ad un pittore – questo sì è un artista – viene ritenuto un’offesa. Inoltre, l’anonimo utente avrebbe insinuato che il pittore in questione («l’ex incorruttibile» ha scritto nello stesso post) ha ricevuto un incarico dall’Amministrazione comunale grazie alla corruzione.
Il tutto, sulla pagina Facebook di un gruppo senza citare nome e cognome del destinatario ma indicando la professione, un certo rapporto di amicizia del pittore con una determinata persona ed una patologia che lo rendeva ancora più riconoscibile: l’agorafobia, ovvero la paura degli spazi aperti.
Facebook: è diffamazione se la vittima non legge il post?
Il tentativo di denigrare una persona su Facebook, come dare dell’imbianchino a un pittore, configura, come abbiamo appena visto, il reato di diffamazione anche se chi scrive evita di citare nome e cognome della vittima ma la rende riconoscibile in altri modi. In altre parole: pensare di farla franca perché «non ho mai detto come si chiama» è solo un’illusione. Pensa, ad esempio, a chi si sfoga su Facebook perché licenziato «dal gestore di un fast food che c’è in piazza del Duomo, all’angolo con via Mario Rossi, il quale non lavava mai le mani, si puliva il naso e non metteva i guanti quando cucinava gli hamburger». Basterebbe vedere quanti fast food che servono hamburger ci sono in quella piazza all’angolo con quella via. Sarebbe semplice, come si legge anche in un’ordinanza della Cassazione [3] arrivare al destinatario dell’offesa.
Costituisce reato pure scrivere offese di questo tipo nei gruppi e nelle chat anche se la vittima non fa parte di quel gruppo o di quella chat. Insomma, basterebbe che lo vedesse un’altra persona e non il diretto interessato. Il nocciolo della questione è sempre quello: il commento è in grado di ledere la reputazione altrui davanti ad una platea indefinita di persone. Che si tratti di 2 o di 200 utenti.
Volendo essere pignoli, va ricordato che si commette reato di diffamazione cliccando «mi piace» sotto il post offensivo, anche senza condividerlo, o mettendo sorrisini, cuoricini e simili. Qualcuno ci ha provato ed ha già dovuto affrontare un processo.
note
[1] Art. 595 cod. pen.
[2] Corte Appello L’Aquila sent. n 1888/2019 del 18.11.2019.
[3] Cass. ord. n. 25420/2017.