Erroneità della diagnosi; decesso del paziente al pronto soccorso; reato di omicidio colposo; risarcimento del danno; condizioni di lavoro usurante; tutela delle condizioni di lavoro.
Indice
Infarto durante la trasferta: è infortunio in itinere?
Con riferimento all’infortunio in itinere, l’art. 2, comma 3, d.P.R. n. 1124/1965, dopo la novella del 2000, va interpretato nel senso che esso amplia la tutela assicurativa, perché la estende a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro ed esclude qualsiasi rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto.
La norma tutela, infatti, il rischio generico (quello del percorso) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, restando confinato il c.d. rischio elettivo a tutto ciò che sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella tipica “legata al c.d. percorso normale”.
Ne consegue, alla stregua dell’anzidetta interpretazione, che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. “percorso normale” e l’attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica.
La S.C. cassa la sentenza della Corte territoriale dell’Aquila, che aveva escluso l’infortunio sul lavoro di un lavoratore deceduto a causa di un infarto al miocardio durante un viaggio di lavoro.
Cassazione civile sez. lav., 22/02/2022, n.5814
Infarto: quando è infortunio sul lavoro?
In base alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, allorché si discuta di infarto del miocardio occorso in occasione della prestazione lavorativa, anche lo stress psicologico e ambientale può integrare la causa violenta che può avere provocato la lesione mortale. L’infarto, dunque, configura infortunio sul lavoro quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo. La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali; sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna.
Cassazione civile sez. lav., 22/02/2022, n.5814
Rimessione in termini per l’avvocato colpito da infarto
Integra un’ipotesi di causa di forza maggiore che giustifica la restituzione in termini, ai sensi dell’art. 175 c.p.p., lo stato di malattia del difensore che sia di tale gravità da incidere sulla sua capacità di intendere e volere, anche in modo temporaneo, ma tanto da impedirgli per tutta la sua durata qualsiasi attività, non essendo esigibile che il difensore, in condizioni di parziale incoscienza dovuta alla sua patologia, sia tenuto ad avvedersi del decorso del termine per impugnare, né potendosi operare valutazioni di meritevolezza del rimedio basate sulla possibilità di attivarsi da parte sua prima dell’insorgere della patologia (nella specie, il difensore era stato colto da infarto con necessità di ricovero ospedaliero e conseguente degenza; dopo le dimissioni gli era stato imposto riposo assoluto con indicazione di non muoversi dal letto per 10 giorni).
Cassazione penale sez. V, 19/01/2022, n.8985
Condotta doverosa omessa a carico del sanitario
Correttamente viene ravvisata la condotta doverosa omessa a carico del sanitario in servizio presso una struttura carceraria che, a fronte di un dolore toracico manifestato da un detenuto, da valutare congiuntamente alla coesistenza di plurimi fattori di rischio specifico, quali l’età, il sesso, l’ipertensione arteriosa, il tabagismo, la dislipidemia, l’ipercolesterolemia, e, quindi, in presenza di una pur possibile diagnosi cardiaca, aveva omesso di avviare la strada per la diagnosi differenziale per escludere l’origine cardiaca del dolore, mediante l’opportuno percorso diagnostico (elettrocardiogramma, prelievo ematico con periodo di osservazione per lo studio degli enzimi di danno miocardio), così determinando il permanere e l’aggravarsi della patologia per la quale il detenuto decedeva, dopo pochi giorni, a seguito di rottura del cuore conseguente ad infarto acuto del miocardio.
Cassazione penale sez. IV, 27/10/2021, n.42118
Responsabilità medica
È insufficiente a giustificare il diniego della risarcibilità del danno non patrimoniale da fatto-reato la sola constatazione che esso non abbia leso l’integrità psicofisica del danneggiato, occorrendo anche valutare se comunque esso abbia leso interessi della persona tutelati dall’ordinamento diversi da quello all’integrità psico-fisica, ancorché privi di rilevanza costituzionale, quale ben può essere quello al corretto adempimento dei compiti istituzionali affidati al funzionario pubblico ove posti a diretto servizio dell’utenza (nella specie, un uomo aveva chiesto il risarcimento del danno morale alla guardia medica che rifiutò la richiesta di visita domiciliare, nonostante i riferiti sintomi di un malore, che successivamente risultò un infarto al miocardio risoltosi positivamente).
Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, n.14453
Infarto durante lo spegnimento di un fuoco
Il beneficio previdenziale spettante, ai sensi dell’art. 1, comma 563, lett. e, della l. n. 266 del 2005, alle vittime del dovere che abbiano subito un’invalidità permanente in conseguenza di lesioni riportate a seguito di eventi verificatisi nel corso di attività di servizio a tutela della pubblica incolumità, non compete al vigile del fuoco per i postumi dell’infarto occorsogli durante le operazioni di spegnimento di un piccolo fuoco posto a lato di una strada, in assenza di persone.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la ricorrenza del presupposto del pericolo per la pubblica incolumità, richiamando la distinzione – di matrice penalistica – tra “fuoco” e “incendio”, quest’ultimo ricorrente solo allorquando il fuoco divampi in vaste proporzioni, con fiamme che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone).
Cassazione civile sez. lav., 08/03/2021, n.6313
Prova della responsabilità datoriale
La prova della responsabilità datoriale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., richiede l’allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l’inadempimento, sia degli indici della nocività dell’ambiente lavorativo cui è esposto, da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria di un dipendente ferroviario, che aveva avuto un infarto in conseguenza di un’aggressione da parte di terzi sul treno su cui prestava servizio, senza tuttavia allegare i fattori concreti di rischio cui era stato esposto).
Cassazione civile sez. lav., 06/11/2019, n.28516
Decesso del paziente e responsabilità omissiva del medico
La responsabilità del medico per il decesso del paziente può essere affermata, in occasione del giudizio controfattuale da effettuare in caso di addebito a titolo di responsabilità omissiva, solo allorquando sia possibile sostenere che, se la condotta omessa fosse stata tenuta, l’evento non si sarebbe verificato con, probabilità confinante con la certezza, alla luce del sapere scientifico e delle specificità del caso concreto (condizioni del paziente).
(Da queste premesse, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo pronunciata dalla corte di appello a carico di un sanitario del 118 cui era stato addebitata la morte di un paziente, per avere l’imputato, intervenuto in via d’urgenza, omesso di compiere tutte le manovre di rianimazione cardiopolmonari necessarie, così da aver provocato la morte a seguito di infarto; secondo la Corte, infatti, l’omissione addebitata all’imputato, secondo la stessa ricostruzione operata in sede di merito, aveva privato il paziente solo di marginali chances di sopravvivenza, stimate in un arco tra il 2% e l’11%, fino al 23% soltanto in caso di emersione di ritmo defribrillabile, onde la causalità non poteva dirsi sussistente sulla base del giudizio controfattuale imposto, alla stregua del canone della “certezza processuale“, ai fini della condanna).
Cassazione penale sez. IV, 17/09/2019, n.41893
Malore sul posto di lavoro
La puntuale allegazione delle modalità usuranti di prestazione del servizio formulata dal lavoratore, il quale è costretto a lavorare in condizioni logoranti per la mancanza di altro personale, risulta idonea a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione.
(Fattispecie in cui il lavoratore aveva chiamato in giudizio l’ente datore per aver subìto un infarto al miocardio mentre si trovava al lavoro, attribuendo tale attacco cardiaco alle condizioni logoranti in cui era costretto per mancanza di altro personale).
Cassazione civile sez. VI, 27/06/2018, n.16970
Mancata adozione di misure idonee a ridurre l’usura lavorativa
Va tenuto in conto che oggetto della presenta controversia era costituito dalle domande di equo indennizzo e di risarcimento del danno biologico e che solo il primo è stato dal giudice accordato sebbene le due domande avessero ad oggetto le medesime patologie cardiache e, in fatto, fossero accomunate dalle medesime condizioni di lavoro usurante cui il ricorrente era stato sottoposto. Deve ritenersi provato il nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta dall’appellante e l’infarto del miocardio.
Le mansioni svolte in condizioni di usura psico -fisica, con particolare riferimento alla imprevedibilità ed eterogeneità dei compiti da svolgere anche in orari notturni e in ambiente di lavoro inadeguato sotto il profilo funzionale, l’eccessivo carico di lavoro volto a compensare la inadeguata gestione del servizio di emergenza 118 per la persistente carenza di organico cui il datore di lavoro non poneva rimedio, l’assenza di condizioni individuali e familiari idonee ad interferire nel determinismo causale, integrano concrete e specifiche situazioni di fatto tali da poter affermare il legame tra mansioni e patologie in termini di elevata probabilità.
Corte appello Catanzaro sez. lav., 13/03/2018, n.34
Infarto del dipendente: responsabilità del datore di lavoro
Chiunque concorra a determinare il danno ingiusto è tenuto, in solido con eventuali coautori al risarcimento integrale del danno (fattispecie relativa ai danni occorsi ad un lavoratore colto da infarto dovuti al ritardo nei soccorsi causati dalla mancata immediata chiamata dell’ambulanza da parte del responsabile dell’ufficio in cui lavorava).
Cassazione civile sez. lav., 13/11/2017, n.26751
Concausa dell’infarto miocardico acuto
Le cause dello sprigionarsi delle esalazioni si è prodotta per una ostruzione nel tubo di scarico dell’appartamento, evidentemente non ripulito a dovere nel corso degli interventi manutentivi e ciò ha determinato il mancato scarico dei fumi tossici, che, quindi, si sono addensati nei vani dell’appartamento.
Sotto il profilo probatorio dell’accertamento del nesso causale, si può affermare, con criterio di elevata probabilità, che l’intossicazione da ossido di carbonio ha rappresentato quanto meno una concausa nel determinismo dell’infarto miocardico acuto, che appare corroborata, ancora una volta, dal dato cronologico, ossia pochissimi giorni dopo.
Corte appello Salerno, 21/07/2017, n.723
Responsabilità dell’imprenditore per l’eccessivo carico lavorativo
In tema di responsabilità dell’imprenditore, ex art. 2087 c.c., per l’eccessivo carico di lavoro imposto al lavoratore, è irrilevante l’assenza di doglianze o di sollecitazioni mosse da quest’ultimo, né, ai fini della prova liberatoria, è sufficiente l’allegazione generica della carenza di organico, costituendo l’organizzazione dei reparti, la consistenza degli organici e la predisposizione dei turni espressione ed attuazione concreta dell’assetto organizzativo adottato dall’imprenditore.
(Nella specie, il dipendente, deceduto per infarto del miocardio, era stato inserito nel servizio di pronta disponibilità, in violazione reiterata e sistematica dei limiti posti dall’art. 18 del d.P.R. n. 270 del 1987 e dalla contrattazione collettiva del comparto sanità).
Cassazione civile sez. lav., 08/06/2017, n.14313
Diagnosi di infarto
Nell’effettuazione della diagnosi, il medico deve procedere a una valutazione autonoma dei sintomi, nel cui apprezzamento rientra anche la conoscenza della storia clinica del paziente e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto (si trattava di una vicenda processuale in cui un medico di continuità assistenziale – ex guardia medica – era stato chiamato a rispondere della morte di un paziente per una sindrome coronarica acuta; il giudice di primo grado lo aveva mandato assolto, per carenza dell’elemento soggettivo, valorizzando la circostanza che il medico aveva tenuto conto, rispetto a una sintomatologia identica, di quanto diagnosticato pochi giorni prima dai medici del pronto soccorso, i quali avevano concluso per una sospetta colica addominale; per l’effetto, il giudicante non aveva ritenuto gravemente colposo il fatto che il medico non avesse disposto immediati accertamenti e il ricovero del paziente; al contrario, la Corte di appello lo aveva condannato censurando l’erroneità della diagnosi che non era stata caratterizzata da una autonoma valutazione dei sintomi, che avrebbero dovuto condurre a diagnosticare un infarto in atto, a prescindere da quanto in ipotesi era emerso durante il precedente ricovero; la Cassazione, dopo avere precisato il proprium dell’attività diagnostica, nei termini di cui sopra, ha annullato con rinvio la decisione di condanna, per una più pertinente rivalutazione dei profili della colpa alla luce del novum normativo di cui all’art. 3 l. 8 novembre 2012 n. 189, che limita la rilevanza penale alle condotte improntate a colpa grave).
Cassazione penale sez. IV, 01/07/2015, n.45527
Stato di turbamento emotivo e infarto
La gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.
(Nella specie, la S.C. ha ritenuto che non integrassero l’ipotesi di minaccia grave frasi quali “ti ammazzo, ti sgozzo, ti spacco la faccia, ti sparo in testa” e simili, pronunciate dall’imputato all’interno di un ospedale mentre versava in un forte stato di turbamento emotivo dovuto alla presenza di sintomi che in passato avevano preceduto un infarto).
Cassazione penale sez. VI, 16/06/2015, n.35593
Pronto soccorso: responsabilità del personale sanitario
In tema di responsabilità professionale del personale sanitario di pronto soccorso, l’affermazione dell’esonero di responsabilità per omessa attuazione di una condotta doverosa ai fini della salvaguardia della vita umana richiede una compiuta analisi riguardo alla presenza di medici e infermieri in rapporto all’affluenza dei pazienti, considerando non solo il personale ivi addetto, ma anche le disponibilità delle forze presenti nell’intero ospedale, che in caso di emergenza gli infermieri di turno hanno l’obbligo di allertare al fine di consentirne l’intervento in supporto.
(Fattispecie relativa al decesso per infarto di un paziente in pronto soccorso cui il personale di turno aveva assegnato il codice verde, adducendo l’impossibilità di rivalutazione della situazione clinica, pur prevista dal protocollo ospedaliero, per l’afflusso eccezionale di pazienti nelle ore precedenti il decesso).
Cassazione penale sez. IV, 01/10/2014, n.11601
Manager morto per infarto a causa dello stress psico-fisico
Non integrano mai una colpa del lavoratore gli effetti della conformazione della condotta lavorativa ai canoni di cui all’art. 2104 c.c., coerentemente con il livello di responsabilità proprio delle funzioni e in ragione del soddisfacimento dell’interesse dell’azienda, la quale deve conoscere le modalità con cui i propri dipendenti lavorano (fattispecie relativa alla domanda di risarcimento danni avanzata dagli eredi di un manager morto per infarto a causa dello stress psico-fisico a cui era sottoposto durante l’attività lavorativa).
Cassazione civile sez. lav., 08/05/2014, n.9945
Risarcimento del danno biologico
Deve essere escluso il risarcimento del danno biologico ai familiari della vittima, deceduta per infarto determinato dalla stressante attività lavorativa cui era stata sottoposta, allorchè emerga che l’eventuale attività stressante sia stata circoscritta ad un periodo di pochi mesi verificatosi circa due anni e mezzo prima rispetto al momento del decesso.
Cassazione civile sez. lav., 23/04/2014, n.9200