Il magistrato Davigo propone soluzioni per risolvere i problemi della prescrizione: scoraggiare i ricorsi in Appello e rendere responsabili gli avvocati.
Il magistrato Piercamillo Davigo, giudice della Corte di Cassazione e membro togato del Consiglio superiore della magistratura, spiega oggi in un’intervista a ‘Il Fatto Quotidiano’, riportata dall’agenzia stampa Adnkronos, la ricetta per risolvere il nodo della prescrizione dei processi. Davigo risponde così a chi teme l’arrivo di processi interminabili, con l’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, come prevede la riforma Bonafede in vigore dal 1° gennaio 2020.
Secondo Davigo, bisogna fare “come fa la Francia, che non è un Paese barbaro: abolire il divieto di reformatio in peius in Appello. Se ti condannano e tu appelli, può toccarti una pena più alta. In Italia non si può. Il che incentiva tutti a provarci: mal che ti vada, non rischi niente, anzi non vai in carcere e magari ti prendi pure la prescrizione. Perché non dovrebbero tentare? Perciò qui patteggiano in pochissimi e negli Usa quasi tutti: lì, se l’imputato si dichiara innocente, sceglie il rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di provarci. In Italia puoi patteggiare senza dirti colpevole e poi finanche ricorrere in Cassazione contro il patteggiamento che hai concordato”.
“Non c’è nessuna lesione delle garanzie – aggiunge Davigo – la reformatio in peius è già prevista per i decreti penali di condanna, emessi dal giudice quando la pena è solo pecuniaria. Se il condannato si oppone, si va a processo e alla fine, anziché la multa, può arrivare la reclusione. Se impugni, lo fai a tuo rischio e pericolo. Dov’è la lesione dei diritti dell’uomo? Li hanno inventati i francesi con la Rivoluzione e la reformatio in peius ce l’hanno eccome”.
“Oggi tutti propongono i ricorsi e si perde un sacco di tempo – sottolinea Davigo – la sanzione pecuniaria, 2-6mila euro a imputato, non spaventa nessuno. Anzi, non la paga quasi nessuno: lo Stato incassa solo il 4%, perché gran parte degli imputati non dichiara redditi né ha beni al sole. Basterebbe rendere responsabile in solido l’avvocato. Così, quando il cliente gli chiede di ricorrere, gli fa depositare fino a 6mila euro e poi, in caso di inammissibilità del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente”.
Inoltre suggerisce Davigo, ”nei Paesi di Common Law, c’è il reato di oltraggio alla Corte per chi fa perdere tempo inutile. Basterebbe consentire al giudice di valutare anche le impugnazioni meramente dilatorie per aumentare la pena“. “Altra cosa – prosegue – per legge, può emettere la sentenza solo il giudice che ha acquisito personalmente tutte le prove. Se un membro del collegio va in maternità o in pensione o viene trasferito, a richiesta della difesa bisogna riacquisire tutte le prove, anche se ora le Sezioni Unite della Cassazione hanno tentato di arginare questa prassi insensata”.
“Io rivedrei il patrocinio gratuito a spese dello Stato per i non abbienti – propone poi Davigo – la non abbienza è una categoria fantasiosa, perché molti imputati risultano nullatenenti. Così lo Stato paga i loro avvocati a piè di lista per tutti gli atti compiuti, e quelli compiono più atti possibile per aumentare la parcella. Molto meglio fissare un forfait una tantum secondo i tipi di processo: così gli avvocati perdono interesse a compiere atti inutili. E lo Stato, con i risparmi, può difendere gratis le vittime, che invece la dichiarazione dei redditi la presentano e di rado accedono al gratuito patrocinio”.
Sulla questione, però, gli avvocati controbattono: ieri il presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin, era intervenuto su “Il Dubbio” affermando che ”Tra le cause del maturare della prescrizione non possono allinearsi immaginarie e inesistenti tecniche dilatorie della difesa, sappiamo bene che quasi il 70% delle prescrizioni (per lo più di reati minori) si verificano in sede di indagine preliminare. Qualsiasi rinvio chiesto dalla difesa non fa decorrere il termine prescrizionale”.
E aggiunge: “Parlare di impugnazioni come strumenti dilatori – sottolinea – sarebbe come negare al malato di seguire tutte le strade possibili di cura o di sollievo alla malattia. Come avvocati siamo chiamati a garantire il diritto alla difesa per tutti, e naturalmente difendiamo l’idea di una giurisdizione fondata sul principio di eguaglianza e di solidarietà, così come è stata tracciata dalla Costituzione – spiega il presidente del Cnf – ma il punto è che qualsiasi cittadino responsabile dovrebbe pretendere che i temi fondanti di una società solidale e democratica, come la giurisdizione, vadano trattati con il metodo primo delle democrazie, ovvero il rispetto delle tesi e delle idee altrui, senza criminalizzazioni e uso di distorsioni comunicative”.
Inoltre, sottolinea Mascherin, ”La questione della durata dei processi sarebbe come è sempre stato sotto ogni governo, facilmente risolvibile investendo in maniera importante in organico di magistrati, di personale amministrativo, di mezzi, in edilizia giudiziaria, e quindi potrebbero poi bastare pochi ritocchi processuali, e l’istituto della prescrizione sarebbe meno rilevante a fronte di un processo garantito e di regola dalla durata ragionevole“.