Dequalificazione professionale, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro; riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno.
Indice
Danno al lavoratore tra mobbing e demansionamento
Nella liquidazione del danno da demansionamento o dequalificazione, deve tenersi conto delle circostanze del caso concreto, pur valorizzando o ritenendo preminenti alcune di esse in base a requisiti di precisione, gravità e concordanza.
Cassazione civile sez. lav., 03/05/2022, n.13928
Divieto di demansionamento
Sul divieto di demansionamento, ai fini dell’applicabilità dell’art.2103 cod. civ., non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente ad integrarlo. Si deve invece fare riferimento all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale, e, con riguardo al dirigente, invece alla rilevanza del ruolo.
Corte appello Genova sez. lav., 03/03/2022, n.25
La riorganizzazione aziendale giustifica il demansionamento?
Anche nella nuova formulazione dell’art. 2103 c.c., ai fini del demansionamento è sufficiente che il lavoratore venga adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle corrispondenti al livello di inquadramento; la riorganizzazione aziendale può escludere l’illecito demansionamento solo se il conseguente mutamento peggiorativo di mansioni è comunicato al dipendente – a pena di nullità – in forma scritta.
Corte appello Roma sez. III, 01/03/2022, n.663
Straining e demansionamento
Un impiegato di banca conveniva in giudizio la propria azienda lamentando di aver subito, per oltre dieci anni, un continuativo ed intenzionale demansionamento inscrivibile nella fattispecie dello straining. Più precisamente, dopo aver svolto per alcuni anni le mansioni di addetto al Centro Estero della società datrice essendo inquadrato nel 4° livello retributivo dell’Area 3a del CCNL Abi, a causa della chiusura della struttura veniva relegato nell’ambito dell’area antiriciclaggio prima a mansioni meramente esecutive e segretariali alternate a periodi di inattività lavorativa totale e successivamente, dopo alcuni mesi, veniva definitivamente preposto alle mansioni di cassiere di filiale. Chiedeva pertanto, oltre alla cessazione delle condotte strainizzanti e all’adibizione a mansioni conformi al proprio inquadramento, anche il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti nel corso degli anni.
All’esito della costituzione della Banca e dello svolgimento dell’istruttoria, il Tribunale di Bergamo pronunciava la sentenza in commento, con cui accertava e dichiarava l’illegittimità del demansionamento subito dal ricorrente per oltre dieci anni, conseguentemente condannando la banca al risarcimento del danno subito nella misura di 50.000,00 euro.
La pronuncia in esame si distingue per un’ampia ed articolata motivazione, in cui viene fatto il punto su diversi argomenti relativi alle condotte persecutorie sul posto di lavoro, adottando al contempo alcune originali soluzioni.
Tribunale Bergamo sez. lav., 24/02/2022, n.49
Risarcimento dei danni
Nell’ambito del sistema volto a garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, con la conseguenza che ogni forma di tecnopatia derivante da attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata’) il Tribunale ha ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine all’organizzazione del lavoro descritta in ricorso (integrante una fattispecie di mobbing o comunque di demansionamento), l’esistenza della malattia denunciata e il nesso eziologico tra la modifica dell’organizzazione del lavoro imposta dal datore di lavoro e l’insorgenza della malattia.
Corte appello Palermo sez. lav., 21/02/2022, n.154
Illegittimità del demansionamento
In tema di dequalificazione professionale, ove il lavoratore richieda l’accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest’ultimo evento soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza ma non sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto.
(In applicazione del suddetto principio, la S.C. – con riferimento a vicenda in cui era intervenuta, nel corso del giudizio di primo grado, la cessazione del rapporto di lavoro in conseguenza della declaratoria giudiziale, emessa in altro procedimento, di legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore – ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato il sopravvenuto difetto di interesse ad agire del lavoratore medesimo, nonostante quest’ultimo, sin dal ricorso introduttivo, avesse fatto espressa riserva di proporre azione per il risarcimento del danno da demansionamento).
Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, n.4410
Lavoratore temporaneamente riammesso in servizio
Il demansionamento del lavoratore, temporaneamente riammesso in servizio a seguito di pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, costituisce fatto illecito suscettibile di tutela risarcitoria anche quando la pronuncia venga successivamente riformata in sede di gravame, atteso che la “fictio iuris”, per la quale la declaratoria di legittimità del licenziamento a seguito della riforma della sentenza resa in prime cure determina l’effetto della risoluzione “ex tunc” del rapporto di lavoro, non può valere a porre nel nulla la condotta illecita tenuta dal datore di lavoro nell’arco temporale coincidente con il periodo in cui il rapporto di lavoro era stato riattivato.
Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, n.4410
Accertamento del demansionamento nel pubblico impiego
Per accertare il demansionamento nel pubblico impiego, occorre anzitutto confrontare le attribuzioni del profilo professionale di appartenenza e dei profili inferiori e poi verificare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore e valutare se i compiti prevalenti a lui assegnati integrino la violazione dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001. Dunque per aversi demansionamento e/o dequalificazione professionale è necessario il prevalente e costante svolgimento di compiti afferenti ad un livello di inquadramento inferiore a quello di assunzione, poiché solo in tal caso si configura un vero e proprio inadempimento datoriale, potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, di natura sia patrimoniale, sia non patrimoniale.
Tribunale Salerno sez. lav., 09/02/2022, n.204
Dequalificazione e demansionamento
Qualora il lavoratore lamenti una dequalificazione o un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo.
Corte appello Milano sez. lav., 28/01/2022, n.1590
Condotta illecita del datore di lavoro
In tema di lavoro subordinato, nell’ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale del dipendente, nonché all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore.
Tribunale Reggio Emilia sez. lav., 20/01/2022, n.8
Controversia
La controversia avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità per i danni derivanti da mobbing e demansionamento attivata da un professore universitario, con riferimento all’attività assistenziale svolta sotto la direzione del Direttore del Dipartimento e del Direttore Generale del Policlinico Tor Vergata vede come parte datoriale la sola Azienda Sanitaria e ricade nella giurisdizione del G.O. .
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 29/12/2021, n.13609
Lesione della dignità professionale del lavoratore
Nel rapporto di lavoro subordinato, il danno da ‘demansionamento’ trova appropriata definizione nel vulnus alla professionalità, ossia nella lesione della dignità professionale del lavoratore, quest’ultima intesa come espressione delle utilità e delle capacità del prestatore nel contesto lavorativo, per l’appunto attraverso lo sfruttamento del patrimonio di cognizioni teorico pratiche in precedenza acquisite, così che l’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, entro i limiti consentiti dall’art. 2103 c.c., impone a costui di salvaguardare, in concreto, il livello professionale raggiunto dal dipendente e di garantirgli in modo effettivo la conservazione e l’accrescimento delle sue conoscenze e capacità professionali, pur nell’adibizione dello stesso a mansioni diverse dalle ultime svolte.
Pertanto, l’art. 2103 c.c., anche nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2015, non sancisce un principio di immodificabilità assoluta delle mansioni, ma circoscrive entro precisi confini l’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, il quale, attraverso l’assegnazione a nuove mansioni, non può comunque pregiudicare il patrimonio professionale già acquisito dal lavoratore, né inibirgli le possibilità di crescita professionale nello specifico settore.
Corte appello Ancona sez. lav., 17/11/2021, n.284
Il protrarsi nel tempo del demansionamento
Il protrarsi nel tempo di una situazione illegittima come il demansionamento del lavoratore, non può essere intesa semplicemente come acquiescenza ad una situazione imposta dal datore di lavoro, trattandosi di una forma di illecito permanente. Ne consegue che la pretesa risarcitoria per il danno alla professionalità si rinnova in relazione al protrarsi dell’evento dannoso, impedendo il decorso della prescrizione fino al momento in cui il comportamento “contra jus” non sia cessato, né sussistono limiti alla proposizione della domanda ed al conseguente soddisfacimento del diritto ad essa sotteso per tutto il tempo durante il quale la condotta è stata perpetuata.
(Nel caso di specie, la S.C. ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva fatto decorrere il diritto al risarcimento, anziché dall’inizio della condotta illecita posta in essere dal datore di lavoro, dalla data in cui era stato esperito il tentativo di conciliazione).
Cassazione civile sez. lav., 04/11/2021, n.31558
Domanda di ripristino delle mansioni
In tema di dequalificazione professionale, proposta domanda di reintegrazione nelle mansioni corrispondenti al livello di inquadramento posseduto non accompagnata da una domanda (di condanna o di accertamento del diritto) al risarcimento del danno, la cessazione del rapporto di lavoro in corso di causa determina il sopravvenuto difetto dell’interesse ad agire per impossibilità di conseguire un risultato utile giuridicamente apprezzabile, in quanto il mero accertamento dell’inadempimento datoriale non importa automaticamente l’insorgenza di una pretesa risarcitoria in favore del lavoratore demansionato.
Cassazione civile sez. lav., 28/10/2021, n.30584
L’onere a carico del datore di lavoro
In tema di demansionamento, il lavoratore ha solo l’onere di allegare l’inadempimento, mentre spetta al datore l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che l’una o l’altro siano state giustificate dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari.
Tribunale Lucca sez. lav., 18/10/2021, n.248
Demansionamento nel pubblico impiego privatizzato
Nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore può essere adibito a mansioni accessorie inferiori rispetto a quelle di assegnazione, a condizione che sia garantito al lavoratore medesimo lo svolgimento, in misura prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, che le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico, restando ininfluente che la P.A., nell’esercizio della discrezionalità amministrativa, non abbia provveduto alla integrale copertura degli organici per il profilo inferiore, venendo in rilievo il dovere del lavoratore di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio della sua attività.
Tribunale Trapani sez. lav., 08/10/2021
Quantificazione del danno da demansionamento
Il danno da demansionamento può essere dimostrato tramite presunzioni, facendo leva sul fatto notorio che della inattività del dipendente derivi senza dubbio la prova dell’impoverimento dello stesso e del mancato accrescimento del suo bagaglio professionale. In particolare, per quanto concerne la quantificazione, appare ragionevole calcolare il danno in misura percentuale rispetto alla retribuzione percepita, tenendo conto dell’età del lavoratore e dell’approssimarsi al pensionamento.
Tribunale Roma sez. lav., 21/09/2021, n.7400
Criteri di quantificazione del danno non patrimoniale
La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. non può essere operata in base al criterio consistente nel determinare il danno da demansionamento in una percentuale della retribuzione. Un tale criterio presenta il duplice inconveniente di determinare una ingiustificata disparità di trattamento, dal momento che porta a un risarcimento differenziato in base alla retribuzione, e di parametrare il danno alla retribuzione o a una sua aliquota in maniera del tutto arbitraria. Appare preferibile rifarsi al criterio che assume come parametro di riferimento l’importo previsto per il danno biologico da inabilità temporanea assoluta dell’art. 139, c. 1, d.lgs. n. 209 del 2005.
Corte appello Catanzaro sez. lav., 16/09/2021
Perdita delle mansioni svolte con il progressivo svuotamento dei compiti più qualificanti
L’illecito di demansionamento non è ravvisabile in qualsiasi inadempimento alle obbligazioni datoriali bensì nell’effettiva perdita delle mansioni svolte, con il progressivo svuotamento dei compiti più qualificanti appartenenti alla posizione professionale del lavoratore e con il conseguente depauperamento del suo patrimonio professionale e della sua dignità lavorativa.
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 05/08/2021, n.9277
Contenzioso per demansionamento ed onere della prova
n tema di contenzioso per demansionamento, spetta al lavoratore -creditore allegare l’inesattezza dell’adempimento della controparte datoriale e dunque, nel caso di adibizione a mansioni inferiori a quella della propria qualifica, indicare quali siano i compiti di cui egli assume il carattere dequalificante. E l’onere della prova dell’esatto adempimento, che grava sul datore di lavoro -debitore, è logicamente successivo a quello di allegazione che si sostanzia nell’indicazione dei compiti che il lavoratore denuncia dequalificanti. Se, perciò, il lavoratore non assolve al suo onere di allegazione, non scatta l’onere della prova del datore di lavoro.
Corte appello Catanzaro sez. lav., 29/07/2021, n.859
Nuove mansioni: quando non c’è demansionamento?
Il demansionamento non si configura automaticamente ogniqualvolta le nuove mansioni siano diverse da quelle precedentemente espletate dal dipendente, ovvero abbiano natura sussidiaria rispetto alle precedenti. Ciò posto, va esclusa dunque la configurabilità del demansionamento qualora il lavoratore venga chiamato a svolgere in una diversa – e di maggior dimensione – realtà lavorativa una parte di mansioni già precedentemente svolte, data la diversa allocazione delle stesse nella nuova realtà lavorativa.
Tribunale Lecce sez. lav., 27/07/2021, n.2547
Danno da demansionamento: presunzioni
Il demansionamento professionale di un lavoratore comporta una pluralità di danni: esso, infatti, non solo viola lo specifico divieto di cui all’art. 2103 c.c., ma costituisce lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro.
La prova del danno da demansionamento, proprio perché comporta danni specificamente materiali ed immateriale, ben può essere data anche per presunzioni laddove siano offerti e provati elementi di fatto da cui possa ragionevolmente inferirsi che tali lesioni si siano effettivamente verificate.
Tribunale Roma sez. lav., 07/04/2021, n.1280
Demansionamento: conseguenze pregiudizievoli
Al fine di ottenere il risarcimento del danno da dequalificazione professionale, requisito ineludibile è la specifica allegazione e la relativa prova da parte del dipendente demansionato, da fornire anche a mezzo di presunzioni ai sensi dell’art. 2727 c.c., delle conseguenze pregiudizievoli prodottesi della sfera del lavoratore demansionato, non potendo il danno ritenersi in re ipsa, quale danno -evento identificantesi con il demansionamento stesso.
Tribunale Cassino sez. lav., 30/03/2021, n.260
Demansionamento del dirigente
In tema di mansioni del lavoratore, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2103 cod. civ. sul divieto di demansionamento, non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente ad integrarlo, dovendo invece farsi riferimento all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale, e, con specifico riguardo al dirigente, altresì alla rilevanza del ruolo. La figura del dirigente apicale, dunque, può subire una dequalificazione, qualora il datore, ponendo in essere un inadempimento nel rapporto di lavoro – che, nonostante, l’elevato grado di fiducia, potrebbe rimanere in essere -, proceda a demansionare il dirigente di vertice riconducendolo a figura della c.d. ‘media” o “bassa” dirigenza.
Tribunale La Spezia sez. lav., 10/03/2021, n.55
Mobbing e straining
In tutti i casi in cui non si riscontri il carattere della continuità delle azioni vessatorie del datore di lavoro, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro, se la condotta nociva si realizza con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità, si è in presenza dello straining, che è pur sempre un comportamento che può produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psicosomatici o anche psicofisici o pscichici al lavoratore, pertanto, pur mancando il requisito della continuità nel tempo della condotta, essa può essere sanzionata in sede civile in applicazione dell’art. 2087 cod. civ. ma può anche dare luogo a fattispecie di reato, se ne ricorrono i presupposti.
Tribunale Modena sez. lav., 26/01/2021, n.41
Assegnazione a mansioni inferiori
L’assegnazione a mansioni inferiori è potenzialmente idonea a produrre una pluralità di conseguenze dannose, relative all’impoverimento della capacità professionale del lavoratore, alla perdita di chance, ed a beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, ossia a diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela.
Tenuto conto del principio di onnicomprensività del danno non patrimoniale, una volta che sia accertato, come nel caso concreto, che l’illegittimo trasferimento ed il contestuale demansionamento delle lavoratrici appellate non hanno causato alle stesse un pregiudizio patrimoniale in termini retributivi, ma sono risultati lesivi della loro dignità professionale nei suoi aspetti oggettivi relativi tanto allo sviluppo della professionalità quanto alla dignità nello svolgimento delle prestazioni contrattuali nella formazione sociale dove si esplica l’attività lavorativa, il danno risarcibile conseguenza dell’inadempimento datoriale è accertabile per presunzioni e liquidabile complessivamente nelle sue varie sfaccettature con individuazione di un’unica posta risarcitoria, parametrata una sola volta ad una quota della retribuzione.
Corte appello Roma sez. lav., 22/02/2019, n.374
Demansionamento professionale del lavoratore
In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto al lavoratore il danno patrimoniale da demansionamento in misura corrispondente all’importo da questi versato all’Inps per il riscatto degli anni universitari, onde accedere prima al pensionamento anticipato di anzianità e porre fine alla situazione di degrado ed emarginazione professionale).
Cassazione civile sez. lav., 23/07/2019, n.19923
Prova del danno da demansionamento
La prova del danno da demansionamento e dequalificazione professionale può essere offerta dal lavoratore anche ai sensi dell’art. 2729 c.c. con l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. L’onere del lavoratore di specifica allegazione dei fatti è alleggerito però in caso di inadempimento del datore di lavoro con conseguente totale inattività del lavoratore.
Cassazione civile sez. lav., 13/12/2019, n.32982
Dequalificazione professionale: risarcibilità danno non patrimoniale
In tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti.
La relativa prova spetta al lavoratore, il quale tuttavia non deve necessariamente fornirla per testimoni, potendo anche allegare elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata, che aveva omesso qualsiasi indagine in ordine al prospettato danno non patrimoniale, astenendosi dal fare cenno alle circostanze di fatto dedotte dal lavoratore, anche solo al fine di escluderne la sussistenza o il valore sintomatico).
Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, n.24585
Risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale
In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno professionale ed esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove.
Corte appello Palermo sez. lav., 28/10/2019, n.801
Durata del demansionamento
In tema di dequalificazione professionale, l’esistenza del danno alla professionalità, di natura patrimoniale, può essere desunto in base alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento ed alle altre circostanze del caso concreto.
Tribunale Milano sez. lav., 20/08/2019, n.1844
Risarcimento del danno non patrimoniale
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio provocato sul reddito del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex articolo 2697 del Cc del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale.
Cassazione civile sez. lav., 19/08/2019, n.21467
Diritto del lavoratore al risarcimento del danno esistenziale
In caso di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno esistenziale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, né può prescindere da una specifica allegazione dell’esistenza di un pregiudizio provocato sul fare reddituale del soggetto.
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 27/06/2019, n.8361
Danno alla professionalità: si può quantificare in via equitativa?
Il danno alla professionalità, conseguente al demansionamento, deve essere allegato dal lavoratore che lo lamenta e può essere quantificato dal giudice anche in via equitativa ai sensi dell’art 1226 c.c., ma nell’ambito del proprio potere discrezionale, il giudice è chiamato in motivazione a rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione, consentendo il sindacato nel rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento, attraverso l’indicazione almeno sommaria dei criteri seguiti per determinare l’entità del danno.
Cassazione civile sez. lav., 20/06/2019, n.16595
Ripartizione dell’onere probatorio tra lavoratore e datore
In tema di demansionamento e relativo onere probatorio, il lavoratore può reagire al potere direttivo che assume esercitato illegittimamente prospettando circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia e, quindi, con un onere di allegazione di elementi di fatto significativi dell’illegittimo esercizio, mentre il datore di lavoro, convenuto in giudizio, è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda (art. 416 c.p.c.) e può allegarne altri, indicativi, per converso, del legittimo esercizio del potere direttivo.
Cassazione civile sez. lav., 10/05/2019, n.12530
Allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti
II danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore anche ai sensi dell’art. 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
Tribunale Bari sez. lav., 09/05/2019, n.2013
Demansionamento del dipendente comunale con intento discriminatorio
Integra il reato di abuso di ufficio il demansionamento di un dipendente comunale attuato con intento discriminatorio o ritorsivo, atteso che tale condotta determina l’inosservanza dei doveri costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonchè la violazione del dovere di adempiere con disciplina ed onore all’esercizio di funzioni di pubbliche previsto dall’art. 54 Cost.
(In motivazione, la Corte ha precisato che le suddette norme costituzionali dettano regole di immediata portata precettiva ed esprimono il divieto per i pubblici agenti di comportamenti connotati da ingiustificate preferenze e favoritismi).
Cassazione penale sez. VI, 21/02/2019, n.22871
Il lavoratore che abbia citato in giudizio il datore di lavoro per mobbing e demansionamento, deve prospettare le circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia e, quindi, allegare specifici fatti significativi dell’illegittimo esercizio del potere datoriale
Il demansionamento rappresenta a tutti gli effetti un inadempimento del contratto da parte del datore di lavoro, che non rispetta il proprio obbligo di adibire il dipendente alle mansioni per cui è stato assunto o, al massimo, di adibirlo a mansioni inferiori ma solo nei casi e nei limiti posti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Il dipendente che sia vittima di demansionamento ha interesse ad ottenere due tipi di tutele. In primo luogo, ha interesse alla cessazione del comportamento illegittimo del datore di lavoro. Vorrebbe, cioè, che il demansionamento cessasse e che tornasse ad occuparsi delle mansioni per le quali è stato assunto. Per ottenere questo risultato il primo passo è scrivere una lettera all’azienda in cui far presente la situazione illegittima che si è creata e chiedere l’adibizione alle mansioni originarie.
Il demansionamento è un fatto potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale. Per quanto concerne i danni patrimoniali, il demansionamento può provocare un danno da perdita della professionalità che può consistere sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali.