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Assegno di mantenimento: l’importo cambia a seconda della città?

10 Gennaio 2020
Assegno di mantenimento: l’importo cambia a seconda della città?

Criteri di calcolo dell’assegno divorzile: pesa il potere di acquisto e il costo della vita in una città rispetto a un’altra? Quanto incide la residenza dell’ex coniuge?

Non è una novità che in determinate città d’Italia il costo della vita sia più basso rispetto ad altre. Si prenda il confronto tra Nord e Sud, ad esempio. Senza contare poi che, nei paesi della provincia è più facile vivere e pagare l’affitto rispetto al capoluogo di Regione. Se allora è vero che il potere di acquisto della moneta cambia a seconda del luogo, l’eventuale residenza prescelta dagli ex coniugi dopo la separazione o il divorzio può influire sull’importo da versare mensilmente a titolo di alimenti? In altri termini, l’importo dell’assegno di mantenimento cambia a seconda della città? La questione è stata decisa, proprio di recente, dalla Cassazione [1]. Ecco cosa hanno detto i giudici supremi.

Assegno di mantenimento variabile a seconda del costo della vita

Diciamo subito che, secondo la Corte Suprema, l’elevato costo della vita nella città in cui vive il marito o la moglie può influire sull’ammontare del mantenimento. Quindi, tanto per fare un esempio, se l’ex marito – obbligato a versare il contributo mensile – dovesse trasferirsi da Cosenza a Roma, potrebbe rivolgersi in tribunale e chiedere una riduzione dell’assegno a causa delle maggiori spese che è costretto ad affrontare. Viceversa, se dovesse essere l’ex moglie a cambiare residenza e, quindi, a traslocare per lavoro in una metropoli, avrebbe diritto a un incremento dell’importo (sempre compatibilmente con le condizioni economiche dell’uomo). 

Si tratta di una sentenza che, se anche non può definirsi epocale, farà certo scalpore. Questo perché, da un lato amplia ulteriormente la discrezionalità del giudice nella determinazione dell’assegno di mantenimento – discrezionalità che ancora nessuna norma di legge ha voluto definire, dettando delle tabelle generali – e, dall’altro lato, potrebbe aprire il filone dei giudizi di revisione, dettati però da puri intenti simulatori (il fenomeno delle false residenze è purtroppo una realtà conclamata nel nostro Paese). 

Insomma, se è vero che l’importo dell’assegno di mantenimento cambia a seconda della città, o meglio «del costo della vita» allora è anche vero che, così facendo, le scelte sulla residenza di uno dei due ex coniugi finiscono per incidere sul futuro dell’altro. Ma in che termini? Questo lo spiega la Cassazione. Cerchiamo quindi di analizzare, più nel dettaglio, il contenuto della pronuncia in commento.

Assegno di mantenimento: tabelle

Non esistono tabelle per il calcolo dell’assegno di mantenimento. Tutto è rimesso alla determinazione del giudice sulla base di parametri individuati in parte dal legislatore e in parte dalla stessa giurisprudenza. 

Il primo criterio per calcolare l’ammontare dei cosiddetti “alimenti” è il divario di reddito tra i due coniugi. Divario che, nel caso dell’assegno di mantenimento, deve essere eguagliato, sino a creare una situazione di sostanziale uniformità tra i due, garantendo anche a quello più povero lo stesso tenore di vita che aveva quando ancora era sposato. Invece, nel caso dell’assegno divorzile (quello cioè che scatta dal momento del divorzio), il contributo deve mirare a garantire solo l’autosufficienza qualora l’ex coniuge non sia in grado di procurarsela da sé e ciò non dipenda da sua colpa (ad esempio, dall’inerzia nella ricerca di un lavoro). 

Nel calcolo dell’assegno divorzile conta, però, anche il contributo fornito dal coniuge disoccupato, durante l’arco del matrimonio, al patrimonio della famiglia: se questi si è dedicato alla casa, ai figli o, comunque, al ménage domestico sacrificando la propria carriera, avrà diritto a un importo superiore alla semplice “sopravvivenza”. Qui, il giudice deve tenere conto di un ulteriore elemento: in un matrimonio di lunga durata, il fatto di aver svolto i lavori di casalinga per tutto il tempo, può generare una ricchezza maggiore per l’uomo (che ha così potuto concentrarsi sul proprio lavoro) e l’incapacità di rioccuparsi per la donna (che va, quindi, ricompensata per il sacrificio).

Puoi trovare approfondimenti sul calcolo dell’assegno di mantenimento nelle seguenti guide:

Assegno di mantenimento variabile da città a città

Se non esistono delle tabelle per il calcolo dell’assegno di mantenimento, non esistono anche variabili fisse al cui ricorrere cambia l’importo. È sempre il giudice l’unico soggetto capace di quantificare l’importo. Ma pur sempre sulla base della cornice dell’ordinamento. E in questa cornice ora la Cassazione ha inserito anche il potere di acquisto della città. L’elevato costo della vita nella città in cui vive l’ex marito, tenuto a pagare il contributo alla donna, pesa ai fini della riduzione dell’assegno di divorzio.

La Corte ha così respinto il ricorso dell’ex moglie contro la decisione della Corte d’Appello di tagliare l’assegno, rispetto a quanto riconosciuto in primo grado, a causa del costo della vita a Roma, città nella quale l’ex coniuge risiedeva e anche in considerazione delle cure che l’uomo doveva sostenere.

Il contenzioso tra i due ex coniugi ha il suo passaggio decisivo in Appello, laddove i giudici confermano il diritto della moglie a percepire «l’assegno divorzile», ma riducono la cifra stabilita in tribunale, portandola a «400 euro mensili», alla luce delle spese che deve sostenere l’uomo. A questo proposito, i giudici di secondo grado richiamano «l’elevato costo della vita nella città di Roma ove risiede l’ex marito» e «le spese per cura ed assistenza» dovute alle sue «condizioni di salute».

A questo punto, però, il principio può essere applicato anche in senso inverso. Se, ad esempio, dovesse essere la donna a trasferirsi, magari per esigenze lavorative, potrebbe accampare maggiori pretese rispetto all’ipotesi di residenza in un piccolo centro.  


note

[1] Cass. sent. n. 174/2020.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 2 ottobre 2019 – 9 gennaio 2020, n. 174

Presidente Scaldaferri – Relatore Acierno

Ragioni della decisione

La Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha riconosciuto in favore di Ma. Ma. un assegno divorzile dell’importo di E 400 mensili a carico dell’ex coniuge Sa. Zo..

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che la situazione economico patrimoniale della Ma. non era di autosufficienza economica e che doveva esserle riconosciuto un contributo a titolo di assegno di divorzio da ridursi rispetto alla decisione di primo grado in relazione all’elevato costo della vita nella città di Roma ove l’obbligato risiedeva ed in considerazione dei costi per cura ed assistenza dovute alle sue condizioni di salute, tenuto conto della disponibilità reddituale mensile e delle sue complessive condizioni economico patrimoniali meglio descritte a pag. 9 della sentenza impugnata. Infine si deve tenere conto, secondo la Corte, dell’importo pagato per il mantenimento del figlio maggiorenne ma non autosufficiente, in precedenza convivente con il padre. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Ma. Ma.. Ha depositato controricorso Sa. Zo.. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 5, c.6, L. n. 898 del 1970 perché la Corte d’Appello ha posto a base della decisione circostanze nuove (patologie dello Zo. e versamento diretto al figlio An.) e non la situazione cristallizzatasi alla decisione di primo grado.

La censura è manifestamente infondata. Nei procedimenti di separazione e divorzio, gli elementi di fatto che possono incidere sull’attribuzione e determinazione degli obblighi economici, ove verificatisi in corso di causa, devono essere presi in esame nel corso del giudizio, in quanto governato dalla regola rebus sic stantibus e trovando applicazione il giudizio di revisione ex art. 9 L. n. 898 del 1970 soltanto in relazione ai fatti successivi all’accertamento coperto da giudicato, dovendo le altre emergenze essere esaurite nei gradi d’impugnazione relativi al merito. (Cass.3925 del 2012 nella quale è affermata l’ammissibilità di nuova domanda anche in corso di causa; 1824 del 2005).

Nel secondo motivo si contesta l’omessa esecuzione d’indagini istruttorie relative all’obbligato. La censura è inammissibile. La Corte svolge un accertamento di fatto comparativo selezionando insindacabilmente gli elementi di fatto ritenuti di più incisiva rilevanza. La censura peraltro difetta anche di specificità perché non indica dove e quando siano state formulate queste richieste istruttorie.

Nel terzo motivo analoga censura viene formulata in relazione alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. ed in relazione all’omesso esame di produzioni documentali relative a partecipazioni societarie. La censura è inammissibile dal momento che la Corte territoriale ha valutato,- i cespiti societari, ritenendoli irrilevanti, con giudizio insindacabilmente di merito, (pag. 9 sentenza penultimo capoverso.) Il quarto motivo contiene una censura analoga e sovrapponibile a quella contenuta nel primo motivo.

Il quinto e sesto motivo evidenziano, al di là della intestazione formale della censura (la quinta formulata come violazione di legge, la sesta ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) esclusivamente censure relative alla valutazione dei fatti (mantenimento figlio maggiorenne non autosufficiente; cespiti immobiliari) esaminati dalla Corte d’Appello. Infine le rilevate contraddittorietà emergenti dalla motivazione non sono più censurabili alla luce del nuovo paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (e sono del tutto estranee a quello contenuto nell’art. 350 n. 3 c.p.c.) non determinando nella specie, l’inesistenza di un coerente tessuto argomentativo a sostegno della decisione. Al rigetto del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali da liquidarsi in E 3000 per compensi, 100 per esborsi oltre accessori di legge.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto.


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