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Il padre naturale può imporre al figlio il suo cognome?

20 Gennaio 2020 | Autore:
Il padre naturale può imporre al figlio il suo cognome?

Si può dare solo il cognome della madre oppure bisogna rispettare anche la volontà del padre?

In una coppia non sposata il padre è obbligato a fare il cosiddetto “riconoscimento”, ossia a dichiarare all’anagrafe come proprio il bambino nato dalla propria compagna. Se non lo fa, la madre o il figlio stesso, divenuto maggiorenne, possono citarlo in giudizio in qualsiasi momento al fine di ottenere l’accertamento della paternità (una sorta di riconoscimento coattivo). Anzi, più passa il tempo e più il genitore assente verrà condannato al risarcimento del danno per aver fatto mancare al bambino l’affetto paterno che egli è tenuto a dargli per il solo fatto di averlo messo al mondo, a prescindere dal tipo di legame (stabile o occasionale, matrimoniale o solo convivente) instaurato con la madre.  

Immaginiamo allora il figlio di una coppia di fatto. Appena saputo della gravidanza, lui scappa e non si fa più vivo. Lei decide di prendersi cura del piccolo e gli dà il suo cognome. Dopo qualche anno, il padre naturale sbuca dal nulla e riconosce il bambino; infine, pretende che, al cognome materno, venga aggiunto anche il suo. La madre chiaramente si oppone: dopo tutto questo tempo di latitanza, non ritiene l’uomo meritevole di tanto. Cosa dice la legge a riguardo? Il padre naturale può imporre al figlio il suo cognome? 

Sul punto si è pronunciata di recente la Cassazione [1]. Ecco le istruzioni dei supremi giudici in merito a questo delicato argomento. 

Si può dare al figlio solo il cognome della madre?

Se il bambino è stato riconosciuto solo dalla madre, assume il cognome di quest’ultima. Ma che succede se il padre successivamente vuole riconoscere il figlio come proprio? 

Se la madre può abbandonare il figlio in ospedale e chiedere di restare anonima, per il padre, invece, l’atto di riconoscimento non è una scelta, ma un obbligo. Ciò nonostante è chiaro, però, che se l’uomo non esercita questo diritto-dovere e la madre non agisce in giudizio per ottenere l’accertamento della paternità, il bambino resta legalmente privo di un padre. Con la conseguenza che l’unico accertamento sarà quello del rapporto che lo lega con la madre. Di quest’ultima, quindi, prenderà il cognome. 

Nel caso di coppia sposata è possibile, con il consenso di entrambi i genitori, attribuire al figlio il doppio cognome, ossia quello paterno e quello materno. Ma, in questo caso, il cognome del padre resta sempre anteposto a quello della madre. Leggi sul punto: si può dare al figlio solo il cognome della madre?

Figlio non riconosciuto: il padre può imporre il suo cognome?

Torniamo ora all’ipotesi di partenza: immaginiamo un padre che, dopo aver inizialmente deciso di non riconoscere il figlio, faccia marcia indietro dopo diversi anni e, a seguito di riconoscimento, chieda di attribuirgli il proprio cognome. La madre deve sottostare a tale richiesta?

In un precedente del 2006, la Cassazione [2] ha detto che, ove la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta dopo il riconoscimento eseguito della madre, non scatta più in automatico il cosiddetto patronimico, ma può prevalere l’esigenza di conservare il cognome materno. Ciò succede, però, solo se sussistono valide ragioni di tutela del minore. In pratica, dinanzi al contrasto tra il volere del padre e quello della madre, il giudice deve operare una scelta prudente ed evitare eventuali perturbazioni nella sfera “personale” del figlio.

Per la Suprema Corte «nell’operare la valutazione richiestagli dall’enunciato normativo, il tribunale deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre».

Con la più recente pronuncia, la Suprema Corte ha osservato che, in assenza di comportamenti pregiudizievoli del padre biologico, è interesse del minore assumerne il cognome, postponendolo a quello della madre, genitore che lo ha riconosciuto per primo.

Pertanto, è legittimo, in caso di successivo riconoscimento da parte del padre, l’attribuzione del cognome di quest’ultimo, in aggiunta al cognome della madre, purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non ne sia lesivo dell’identità personale. 

Un ulteriore caso in cui si può negare l’attribuzione del cognome del padre è quando, dopo tanti anni in cui il figlio ha avuto solo il cognome materno, questo si sia definitivamente consolidato nella trama dei rapporti personali e sociali, sicché cambiare cognome sarebbe un grave danno. 

Ciò che deve condurre il giudice alla decisione è il perseguimento del miglior interesse del minore che coincide con l’evitare un danno alla sua identità personale. Nel caso di specie, però, secondo la Corte, il figlio di otto anni non aveva ancora acquisito col cognome materno una definitiva e formata identità tale da escludere l’aggiunta di un cognome diverso al proprio.


note

[1] Cass. ord. n. 772/20 del 16.01.2020.

[2] Cass. sent. n. 12641/2006 del 26.05.2006.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 novembre 2019 – 16 gennaio 2020, n. 772

Presidente Scaldaferri – Relatore Tricomi

Ritenuto che:

Il Tribunale di Reggio Calabria, con decreto del 3 novembre 2017, accogliendo la domanda proposta da B.B. in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore B.R. (nato il (…)) nei confronti di G.E.P. e di M.S. , il primo in proprio quale genitore naturale di B.R. ed entrambi in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sui minori C.A. ed A.A. , ha disposto che R. assumesse il cognome del padre naturale “G. “, aggiungendolo a quello della madre, in modo da chiamarsi B.R. G. . Il Tribunale ha stabilito anche l’affido esclusivo del minore alla madre ed altri provvedimenti concernenti la disciplina dei rapporti tra il figlio ed i genitori.

La Corte di appello di Reggio Calabria, con decreto n. 479/2019, pronunciando sul reclamo proposto da G.E.P. , lo ha rigettato.

G. ricorre per cassazione con un mezzo corredato da memoria. B.B. , in proprio e quale genitrice esercente la responsabilità genitoriale in via esclusiva sul minore R. , ha replicato con controricorso; M.S. è rimasta intimata.

Considerato che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 262 c.c..

Il ricorrente contesta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui “l’aggiunta del patronimico non lede l’interesse del minore, che non versa ancora nella fase adolescenziale”. Sostiene che non era consentita una distinzione tra minore in fase adolescenziale e minore in fase preadolescenziale; aggiunge quindi che il minore versava nella fase preadolescenziale e che il giudice del gravame non aveva tenuto conto del fatto che R. aveva potuto già acquisire nella trama dei rapporti sociali una definitiva e formale identità con il matronimico, tale da sconsigliare l’uso del patronimico; si duole della mancata valutazione dell’interesse del minore in maniera ponderata.

La censura è rivolta anche alla statuizione secondo la quale “l’aggiunta del patronimico non reca alcun pregiudizio al minore, tenuto conto dell’assenza di comportamenti negativi del padre di tale gravità da renderlo inidoneo ad assumere il ruolo genitoriale”. A suo parere tale valutazione non era stata compiuta alla stregua dei parametri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità perché non aveva tenuto conto del fatto che dal processo era emersa “una totale inesistenza dei rapporti padre/figlio” e “l’assoluta inidoneità del G. all’esercizio della responsabilità genitoriale” tanto che già in primo grado era stato disposto l’affido c.d superesclusivo o rafforzato del minore.

2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la complessa ratio decidendi.

La decisione impugnata si muove nel perimetro segnato in questa materia dalla costante giurisprudenza di legittimità, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, secondo cui i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta; la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio (Cass. n. 12640 del 18/6/2015). Il giudice è investito dall’art. 262 c.c., commi 2 e 3, del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda nè la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del prior in tempore, nè il patronimico, per il quale non sussiste alcun favor in sé nel nostro ordinamento (Cass. n. 2644 del 3/2/2011; Cass. n. 18161 del 05/07/2019).

Orbene, nel caso in esame, la decisione assunta risulta in linea con il principio secondo il quale “In tema di minori, è legittima, in ipotesi di secondo riconoscimento da parte del padre, l’attribuzione del patronimico, in aggiunta al cognome della madre, purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non ne sia lesivo dell’identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l’uso del solo matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali.” (Cass. n. 26062 del 10/12/2014) e legittimamente è stata disposta l’attribuzione al minore, in aggiunta al cognome della madre, di quello del padre.

Invero, la Corte calabra ha preliminarmente individuato in concreto l’interesse del minore, evidenziandone plurimi profili segnatamente a) l’auspicabile evoluzione positiva del rapporto con il genitore, anche per effetto dell’assunzione dell’ulteriore cognome; b) la facilitazione del legame con gli altri figli del padre; c) l’interesse del figlio ad affermare e palesare la propria appartenenza alla famiglia paterna (fol.4/5 del decreto imp.)-: su tale decisivo accertamento la censura non si sofferma affatto – nemmeno per criticarlo -, atteso che l’interesse del minore è evocato sempre in termini astratti senza un confronto con le anzidette statuizioni.

La Corte territoriale ha, quindi, escluso la ricorrenza di ragioni pregiudizievoli o ostative: da un lato, ha rimarcato che, non versando ancora nella fase adolescenziale o preadolescenziale (all’epoca della pronuncia di primo grado, il bambino aveva circa otto anni) – contrariamente a quanto assume il ricorrente – il minore, tuttora bambino, non avesse ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità, in ipotesi suscettibile di sconsigliare l’aggiunta del patronimico (Cass. n. 2751 del 5/2/2008); dall’altro ha affermato che la modificazione accrescitiva del cognome non comportava alcun pregiudizio sulla considerazione che la carenza di una relazione tra genitore e figlio – dedotta dal G. – non poteva ritenersi come causa ostativa all’aggiunta del cognome paterno “tenuto conto della assenza di comportamenti negativi del padre di tale gravità da renderlo inidoneo ad assumere il ruolo genitoriale” e tali da incidere negativamente sull’interesse del minore all’aggiunta del patronimico.

Si tratta di una decisione chiaramente motivata mediante il raffronto tra il concreto interesse del minore e le circostanze dedotte come pregiudizievoli o ostative e non si colloca su un versante difforme dagli orientamenti di questa Corte, come assume il ricorrente che ha mancato di cogliere la complessa ratio decidendi.

Va, infine, ribadito che l’ampia discrezionalità attribuita, nei termini sopra indicati, al giudice del merito, comporta che tale decisione – da maturare nell’esclusivo interesse del minore, tenendo conto della natura inviolabile del diritto al cognome, tutelato ai sensi dell’art. 2 Cost. – è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata (Cass. n. 15953 del 17/7/2007).

Sotto tale profilo deve rilevarsi che non risulta denunciato alcun vizio motivazionale, per altro, avuto riguardo alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, virtualmente soggetto alle limitazioni introdotte dalla nuova disciplina. (Cass. n. 22397 del 06/09/2019; Cass. n. 14802 del 14/6/2017).

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo a favore della parte costituita.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto che il procedimento risulta esente quanto all’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di B.B. , che liquida in Euro 3.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;

– Dà atto che non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, perché il processo risulta esente.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

 


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