Il collega di lavoro può registrare una conversazione sul luogo di lavoro oppure è vietato dalla legge?
Può un collega di lavoro registrare ciò che dicono altri colleghi, senza alcuna autorizzazione preventiva, solo per tutelarsi da situazioni che lui ritiene illecite e pregiudizievoli? Si possono divulgare le registrazioni o si va contro la legge? Cosa dice la normativa riguardo alle registrazioni sul posto di lavoro? Quali rischi si corrono a registrare colleghi di lavoro? Cerchiamo di fare chiarezza. L’aspetto infatti implica la conoscenza di ben tre branche del diritto: il diritto alla privacy, il diritto penale e il diritto del lavoro.
Indice
Registrazione di colloqui all’insaputa degli altri
La Cassazione ritiene lecito registrare una conversazione avvenuta con persone all’oscuro di ciò. Non c’è quindi bisogno di autorizzazione e informazione preventiva. Chiunque può accendere il proprio smartphone e, senza dirti nulla, registrare ciò che gli stai confidando, anche se si tratta di questioni private e segrete.
Registrare però non significa divulgare. Il file infatti deve essere custodito: non può essere inoltrato tramite WhatsApp o pubblicato su internet. Il file non può neanche essere fatto ascoltare a diverse persone dal proprio dispositivo, configurandosi altrimenti una violazione della privacy. L’unica possibilità di utilizzo è la tutela dei propri diritti. Quindi non c’è alcuna lesione dell’altrui riservatezza nell’allegazione del file a una citazione in giudizio o a una denuncia.
Per poter registrare una conversazione tra presenti ignari è però necessario:
- che colui che registra non si allontani dal luogo ove avviene la registrazione: chi parla infatti deve avere la consapevolezza della presenza di quest’ultimo e quindi deve volergli confidare i fatti che dice. Chi piazza un registratore e va via, solo per stimolare delle confessioni che in sua presenza non sarebbero mai avvenute commette reato di interferenze illecite nella vita privata;
- il luogo di registrazione non può essere la privata dimora del soggetto registrato. Potrebbe essere la sua auto, un luogo pubblico, un negozio, un bar, ma non il domicilio che resta sacro e inviolabile.
Si può registrare una persona sul luogo di lavoro?
Il luogo di lavoro, anche se non corrisponde strettamente al domicilio, è comunque equiparato ad esso ai fini della privacy. Almeno quando si tratta di un luogo non accessibile al pubblico come invece potrebbe essere l’area dei tavoli di un ristorante, il bancone di un negozio destinato al ricevimento della clientela, ecc.
Quindi non si può registrare un professionista nel suo studio o il capo di un’azienda nel proprio ufficio riservato.
Si può registrare il datore di lavoro?
Quello che sto per dirti potrà sembrarti paradossale. Nel mondo del lavoro non sempre i pesi sono uguali e spesso al dipendente è concesso ciò che al suo capo invece è proibito. Così, se il primo può registrare il secondo, all’oscuro di ciò, per tutelare i propri diritti, il datore invece non può fare altrettanto. L’unica possibilità per l’azienda è quella di installare una videosorveglianza, previa autorizzazione sindacale, per controllare eventuali furti o altri illeciti, ma dandone comunque previa comunicazione ai dipendenti.
La Corte di Appello di Milano [1] ha stabilito che la registrazione audio di un colloquio tra presenti, ha natura di prova che può essere usata nel processo civile; sicché la registrazione operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro, non integra alcun illecito disciplinare. Né tale condotta può essere considerata reato in quanto esercizio del diritto di difesa.
Il dipendente che registra un colloquio con il proprio capo non lede il rapporto fiduciario che lo lega all’azienda, che concerne esclusivamente l’affidamento di quest’ultima sulle capacità del dipendente di adempimento dell’obbligazione lavorativa.
Si può registrare un collega sul luogo di lavoro?
Quanto infine alle registrazioni fatte tra colleghi di lavoro, riguardo alle conversazioni tra questi ultimi intervenute in azienda, la giurisprudenza si è pronunciata in senso negativo. È vietato quindi registrare un collega sul lavoro; fuori invece è possibile.
Le conseguenze sono sia di carattere penale (l’incriminazione per il reato), sia di carattere civile (la sanzione disciplinare che potrebbe sfociare, nei casi più gravi, nel licenziamento).
La Cassazione ha confermato il licenziamento del dipende che effettua registrazioni occulte sul luogo di lavoro [2]: la registrazione di conversazioni tra presenti, all’insaputa dei conversanti, configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato. Ma le cose si capovolgono se tali registrazioni servono per tutelare in tribunale un diritto del dipendente stesso. Si pensi a un lavoratore che raccoglie le testimonianze dei colleghi secondo cui il capo avrebbe loro imposto di testimoniare il falso in una causa contro un altro dipendente. In tutti gli altri casi – ossia senza valide ragioni di tutela dei diritti del dipendente – le registrazioni che di norma sono lecite, negli ambienti lavorativi sono vietate.
Sempre secondo la Cassazione [3], l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal Codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio; ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.
note
[1] C. App. Milano, sent. n. 369/2019.
[2] Cass. sent. n. 11999/2018.
[3] Cass. sent. n. 11322/2018: «Il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere eseguito anche in assenza di tale consenso, se volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive; ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Le registrazioni di colloqui ad opera di una delle persone presenti e partecipi ad essi, effettuate all’insaputa dei soggetti coinvolti, posto che vengano adottate tutte le dovute cautele al fine di non diffondere le registrazioni, trattandosi di una condotta posta in essere dal dipendente per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda ritenuta pregiudicata dalla condotta altrui, sono legittime e come tali non integrano in alcun modo non solo l’illecito penale ma neanche quello disciplinare».