Se il datore di lavoro non paga regolarmente lo stipendio o omette di versare alcune mensilità il dipendente deve attivarsi per recuperare quanto a lui dovuto.
Quando viene firmato un contratto di lavoro ognuna delle parti del rapporto si assume dei precisi obblighi verso l’altra parte. Il lavoratore si impegna a recarsi regolarmente al lavoro e svolgere le attività previste nel contratto di assunzione. Il datore di lavoro si impegna, tra le altre cose, a pagare regolarmente lo stipendio. Può accadere, però, che questo obbligo venga disatteso.
In questi casi, è ovvio che il lavoratore si ponga una semplice domanda in caso di mancata retribuzione: cosa fare?
Il rapporto di lavoro, infatti, è caratterizzato da una certa soggezione del lavoratore rispetto al proprio datore di lavoro e questo potrebbe scoraggiare il dipendente dal far valere i propri diritti e chiedere immediatamente quanto gli spetta.
Come vedremo, proprio considerando la posizione di debolezza del dipendente, la legge cerca di tutelare il credito del lavoratore in vari modi.
Indice
Cos’è la retribuzione?
Come abbiamo premesso, il contratto di lavoro fa sorgere tra le parti un rapporto di scambio [1].
Il lavoratore dà al datore di lavoro la sua forza lavoro e, in particolare, svolge con diligenza e professionalità le mansioni previste nel contratto di lavoro.
Il datore di lavoro, dal canto suo, oltre ad uniformarsi alle varie regole previste dalla legge in materia di contributi previdenziali, salute e sicurezza sul lavoro, libri del lavoro, etc. si obbliga a versare al dipendente una somma di denaro mensile in cambio del lavoro ricevuto: questa somma di denaro è detta anche retribuzione o stipendio.
La retribuzione spettante al dipendente è quella prevista nel contratto individuale di lavoro.
Le parti, nel contratto, infatti, stabiliscono il trattamento economico spettante al dipendente e, nel fare questo, devono rispettare i minimi retributivi previsti, nel settore di riferimento, dalla contrattazione collettiva, ossia dai contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel comparto sul piano nazionale.
I Ccnl vincolano le parti solo nel minimo stipendiale ma non vietano, di certo, un accordo che preveda uno stipendio più alto del minimo.
Retribuzione del lavoratore: quando deve essere pagata?
Lo stipendio è il prezzo che il datore di lavoro paga al lavoratore per la prestazione di lavoro resa durante il mese. Ne consegue che lo stipendio deve essere pagato alla fine del periodo al quale si riferisce.
Tuttavia, per individuare la data esatta entro la quale il datore di lavoro deve accreditare lo stipendio al dipendente, occorre fare riferimento, innanzitutto, al contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro.
In caso di dubbio, occorre seguire i seguenti indici per individuare il Ccnl applicabile:
- verificare se il datore di lavoro aderisce ad una associazione datoriale di imprese firmataria di un Ccnl;
- verificare se nelle lettere di assunzione dei dipendenti viene richiamata l’applicazione di un determinato Ccnl;
- in alternativa, appurare se il datore di lavoro non stia comunque applicando un determinato Ccnl (ad esempio, perché l’ufficio del personale gestisce le risorse umane con un software che si riferisce ad un dato Ccnl).
Una volta individuato il Ccnl applicato, occorre verificare cosa prevede con riferimento alle tempistiche di pagamento dello stipendio mensile.
La maggior parte dei Ccnl prevede che la retribuzione mensile debba essere pagata entro le seguenti scadenze alternative:
- entro il giorno 27 del mese;
- entro il giorno 10 del mese successivo a quello di paga.
In caso di assenza di un Ccnl e di altri contratti collettivi anche di livello aziendale che disciplinino le tempistiche di erogazione dello stipendio, questo deve essere accreditato alla fine di ogni mese di paga, ossia il 30 o il 31.
Retribuzione del lavoratore: l’obbligo di consegna della busta paga
La legge prevede che, contestualmente al pagamento dello stipendio, il datore di lavoro debba anche consegnare al dipendente la busta paga (detta anche prospetto paga o cedolino) [2].
In caso di mancata o ritardata consegna al lavoratore della busta paga, di omissione o di inesattezza delle registrazioni in essa contenute, sono applicate al datore di lavoro le sanzioni amministrative da 150 a 900 euro. Se le omissioni o inesattezze della busta paga o la mancata o ritardata consegna della stessa si protraggono per più mensilità è possibile applicare, in sede di ordinanza-ingiunzione, la sanzione prevista per la violazione più grave aumentata sino al triplo.
Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori o a un periodo superiore a 6 mesi la sanzione va da € 600 a € 3.600. Se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o a un periodo superiore a 12 mesi, la sanzione va da € 1.200 a € 7.200.
Ricordiamo, tuttavia, che la consegna della busta paga non rappresenta una prova del pagamento dello stipendio.
Ciò è vero, a maggior ragione, oggi visto che la legge vieta di pagare lo stipendio in contanti. Ne consegue che, in caso di mancato pagamento dello stipendio, il datore di lavoro non potrà difendersi dimostrando di aver correttamente consegnato la busta paga ma dovrà dimostrare l’accredito dello stipendio sul conto corrente del lavoratore.
Mancata retribuzione: cosa fare?
Può accadere che, alla data limite prevista dal Ccnl oppure, in assenza, alla fine del mese, lo stipendio non sia stato ancora accreditato sul proprio conto corrente. In questi casi, il lavoratore si chiede come sia corretto procedere.
Il mancato pagamento dello stipendio, purtroppo, è una prassi molto diffusa soprattutto in aziende che hanno problemi di liquidità di denaro e non riescono ad assolvere al proprio obbligo di pagamento in modo tempestivo, mese per mese. Occorre, innanzitutto, distinguere caso per caso.
Se si tratta di un ritardo fisiologico, ad esempio perché la società è sempre in ritardo sui pagamenti, ma si ha comunque adeguata certezza che il pagamento avverrà, il lavoratore, anche se la situazione non è piacevole, può anche pensare di non fare nulla ed accettare questa prassi per quieto vivere con il datore di lavoro.
In caso contrario, occorre agire prontamente per il recupero dello stipendio non versato.
I passi da seguire sono i seguenti:
- innanzitutto, è possibile far precedere qualsiasi azione legale da una richiesta informale rivolta al responsabile delle risorse umane e/o alla ragioneria;
- se tale richiesta non porta ad alcun risultato, si può scrivere un sollecito di pagamento inviandolo tramite raccomandata a/r, firmato direttamente dal lavoratore;
- se anche questo sollecito resta privo di un riscontro occorre mettere la pratica in mano ad un avvocato.
Il legale tenterà, dapprima, di ricevere il pagamento inviando un ulteriore sollecito tramite raccomanda a/r o pec.
Se, tuttavia, il sollecito non conduce ad apprezzabili risultati occorrerà presentare un ricorso per decreto ingiuntivo al tribunale del lavoro.
Con questo ricorso, il lavoratore, per il tramite del suo legale, chiede al giudice di emettere un decreto ingiuntivo [3] che intimi al datore di lavoro di pagare le spettanze del dipendente non ancora saldate con applicazione degli interessi.
Il datore di lavoro, una volta ricevuta la notifica del decreto ingiuntivo, può presentare opposizione nel termine di 40 giorni dalla notifica o in quello minore o maggiore fissato dal giudice.
Se il decreto ingiuntivo non viene opposto, e diventa dunque, definitivo, il lavoratore può avviare il procedimento esecutivo per il recupero coattivo delle somme a lui spettanti.
Si tratta, tuttavia, di una procedura lunga ed il cui esito è spesso negativo in quanto il lavoratore potrebbe non recuperare quanto a lui spettante.
Mancata retribuzione: quando scatta la prescrizione?
Come noto, ogni soggetto giuridico deve far valere i propri diritti entro un lasso di tempo, trascorso il quale il diritto si prescrive.
Nell’ambito del rapporto di lavoro i crediti retributivi, come lo stipendio mensile, si prescrivono in cinque anni.
Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, considerando che durante lo svolgimento del rapporto il lavoratore, nella sua posizione di sudditanza verso il datore di lavoro, potrebbe essere scoraggiato a far valere i propri diritti, la prescrizione non decorre dal momento in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile ma dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Ne consegue che in caso di mancato pagamento dello stipendio mensile, che diventa liquido ed esigibile il 27 del mese oppure nella diversa data prevista dal contratto per il pagamento della retribuzione, il termine prescrizionale di cinque anni non decorre da questa data ma dalla cessazione del rapporto di lavoro. Questa regola vale per tutti i rapporti di lavoro tranne che per i dipendenti pubblici per i quali continua a trovare applicazione la tutela reintegratoria piena in caso di licenziamento illegittimo.
Tale forte tutela, infatti, non impedisce al dipendente di far valere i suoi diritti ed attenua il cosiddetto metus, ossia, la posizione di sudditanza e di timore del dipendente verso il datore di lavoro.
Mancata retribuzione: il Fondo di garanzia Inps
Presso l’Inps è istituito il Fondo di garanzia per il Trattamento di Fine Rapporto [4] che opera con regole diverse a seconda che il datore di lavoro sia o meno assoggettato alle procedure concorsuali.
Tale Fondo interviene quando il datore di lavoro omette di pagare al dipendente, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, il trattamento di fine rapporto e i crediti di lavoro inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro (tre mesi di calendario o l’arco di tempo compreso tra la data di cessazione del rapporto di lavoro e la stessa data del terzo mese precedente).
La domanda di accesso al Fondo per il recupero degli ultimi tre stipendi può essere presentata a partire dal 30° giorno successivo alla ricezione della comunicazione con la quale il curatore informa che lo stato passivo è stato reso esecutivo ed il diritto alla prestazione si prescrive in un anno.
note
[1] Art. 2094 cod. civ.
[2] L. 4/1953.
[3] Art. 633 cod. proc. civ.
[4] Art. 2 L. n. 297 del 29.05.1982.