Quando il rumore proviene dai clienti di un bar o di un locale notturno, il relativo titolare è sempre responsabile?
Sotto la tua finestra, proprio quella della camera da letto, c’è un bar frequentato soprattutto durante la notte. I clienti sostano all’aperto: discutono, ridono, scherzano ad alta voce. Qualche volta scappa anche qualche litigio. Il tutto ai danni del tuo sonno che, puntualmente, viene interrotto dagli schiamazzi notturni sotto casa: che fare in situazioni di questo tipo? Hai provato a parlare con gli altri condomini per presentare un esposto, ma tutti si tirano indietro, temendo ritorsioni. È tua intenzione, invece, andare avanti per tutelare i tuoi diritti. Sai bene che il disturbo alla quiete pubblica è un reato e, a tuo avviso, ci sono tutte le condizioni per poter procedere penalmente contro il titolare del locale.
A suggerire cosa fare in caso di schiamazzi notturni sotto casa è una recente e interessante ordinanza della Cassazione [1]. L’argomento è di quelli scottanti e, in passato, ha dato origine a una copiosa giurisprudenza, anche con oscillazioni sensibili tra l’una e l’altra pronuncia. Vediamo ora cosa è stato fissato dalla Suprema Corte.
Il titolare del locale è responsabile per i clienti che stanno all’aperto?
Secondo la Cassazione, il titolare del bar non può consentire ai clienti di sostare nell’area scoperta del locale se le immissioni rumorose, superando i limiti consentiti, disturbano i residenti.
Numerose sentenze hanno attribuito al titolare del locale notturno la responsabilità non solo per i rumori prodotti all’interno del bar, del pub, della pizzeria, della discoteca, ma anche all’esterno. Egli deve fare in modo, quindi, che i frequentatori dell’esercizio commerciale rispettino il riposo delle persone. Come? Apponendo cartelli e predisponendo un servizio di sorveglianza che possa far rispettare il divieto. E non solo. Secondo una recente pronuncia della Cassazione [2], l’accertata esposizione di cartelli informativi nello spazio esterno al bar «non è sufficiente ad assolvere all’obbligo di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete», chiariscono i Giudici, i quali poi aggiungono che «neppure l’eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo è sufficiente». Per escludere la responsabilità del titolare del locale, invece, sono necessari altri comportamenti quali «l’aver chiamato le forze dell’ordine e l’essersi avvalso della facoltà di allontanare ed escludere i clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete».
Che succede se i clienti del locale fanno schiamazzi all’aperto?
Il titolare del locale può essere punito penalmente per il reato di disturbo del riposo delle persone (meglio noto come disturbo della quiete pubblica). Scatta, quindi, un procedimento penale nel corso del quale gli inquilini molestati potrebbero costituirsi anche parte civile per chiedere il risarcimento del danno.
Che succede se il locale è insonorizzato?
L’adozione degli accorgimenti da parte della società che gestisce il bar per riportare la soglia nei valori di legge non basta per cancellare il divieto a usare gli spazi esterni dopo le 24. Il rumore nei limiti di legge non esclude, infatti, la sua intollerabilità per le case vicine.
Come spiega la Cassazione, «l’eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può, tuttavia, fare considerare lecite le immissioni. Il giudizio sulla loro tollerabilità deve formularsi in relazione alla situazione ambientale concreta, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo o da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi». Spetta, peraltro, al giudice di merito accertare in concreto «gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità».
Quando i rumori sono illegali?
Il Codice civile stabilisce che i rumori diventano illegali quando superano la soglia della normale tollerabilità. Non vengono fissati i limiti di decibel e il giudizio viene fatto caso per caso dal giudice, in base alla condizione dei luoghi e alla possibilità, per l’autorità giudiziaria di bilanciare esigenze di produzione e diritti derivanti dalla proprietà, tenendo anche conto della priorità di un determinato uso.
La Cassazione precisa che «se le immissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela degli interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi del Codice civile e, pertanto illecite, anche sotto il profilo civilistico».
A partire da quale orario bisogna fare silenzio?
Scrive la Cassazione: anche se il gestore del bar rumoroso ha fatto degli interventi per ridurre le emissioni sonore e riportarle nell’ambito dei limiti dettati dalla legge 447/95 e relativi decreti attuativi, resta il divieto ad usare gli spazi esterni a partire dalla mezzanotte.
Pertanto, il principio della «normale tollerabilità» può prescindere dal rispetto dei limiti previsti dalla «normativa rilevante in materia». Per la Cassazione, infatti, anche se le emissioni acustiche rientrano nei limiti normativi, possono comunque risultare intollerabili per le proprietà vicine.
Chi deve presentare la denuncia?
Non c’è bisogno di un esposto da parte di tutto il condominio. Essendo il reato di «disturbo della quiete pubblica» procedibile d’ufficio, basta anche la segnalazione di una sola persona, residente o meno, che si lamenti dei rumori. Sarà compito della polizia o dei carabinieri, a seguito di sopralluogo, effettuare le verifiche e, poi, informare la Procura della Repubblica dei comportamenti vietati dal Codice penale.
note
[1] Casss. ord. n. 2757/2020 del 6.02.2020.
[2] Cass. ord. n. 21097/21.
Cass. civ., sez. VI, ord., 22 luglio 2021, n. 21097
Presidente Cosentino – Relatore Casadonte
Rilevato che:
– il sig. P.R. impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Bologna con la quale in totale riforma della sentenza del Giudice di pace è stato accolto l’appello presentato dal Comune di Bologna e sono state confermate le ordinanze-ingiunzione emesse dal Comune appellante in relazione ai verbali di accertata violazione del Reg. comunale di polizia urbana, art. 15, comma 2, poiché il ricorrente, in qualità di titolare di pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, non aveva adottato tutte le misure idonee a contenere il fenomeno del disturbo della quiete pubblica, arrecato dagli avventori che stazionando all’uscita dello stesso e nelle immediate vicinanze emettevano urla e schiamazzi; – la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di due motivi, cui resiste il Comune di Bologna con controricorso; – la relatrice ha formulato proposta ex art. 380 bis c.p.c., di rigetto del ricorso.
Considerato che:
– con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme a tutela della quiete pubblica e cioè l’art. 659 c.p., comma 1, il Reg. di polizia urbana del comune di Bologna, art. 15, comma 2, e art. 12, comma 1, lett. a); – assume il ricorrente con riguardo al primo profilo che il tribunale bolognese aveva escluso che il ricorrente abbia esercitato il potere di controllo sulla clientela sulla scorta del richiamo a precedenti giurisprudenziali sull’art. 659 c.p., inconferenti; – aggiunge il ricorrente che, con riguardo al Reg. di polizia urbana del Comune di Bologna, art. 15, comma 2, il comportamento posto in essere dal gestore dell’esercizio di somministrazione di cibo e bevande nei confronti degli avventori, al fine di evitare il disturbo, sarebbe conforme a quello previsto dalla disposizione richiamata; – osserva ancora il ricorrente che l’interpretazione della normativa sostenuta dal tribunale finiva per imputare al gestore dell’esercizio di somministrazione di cibo e bevande la responsabilità per la condotta degli avventori e non la propria; – la censura è, sotto tutti i profili, inammissibile perché, sebbene formalmente articolata come violazione di legge, propone, in realtà, una diversa interpretazione delle circostanze valorizzate dal giudice d’appello; – il tribunale ha, infatti, fondato l’accoglimento del gravame sulla ricostruzione del duplice obbligo sancito dal regolamento comunale di polizia a carico del gestore dell’esercizio commerciale e consistente nel sensibilizzare gli avventori e nello svolgere adeguata azione informativa all’interno ed all’esterno; – alla luce di tale ricostruzione ha poi ritenuto che l’accertata esposizione di cartelli informativi all’esterno non fosse sufficiente ad assolvere all’obbligo in capo al gestore del pubblico esercizio di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete e che neppure l’eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo, ove provata, diversamente dal caso de quo in cui tale prova non era stata raggiunta, fosse sufficiente, richiedendo, al fine di escludere la responsabilità del titolare, comportamenti quali l’aver chiamato le Forze dell’Ordine e l’essersi avvalso dello ius excludendi nei confronti dei clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete alle ore 00.55 del 17/3/2016, alle ore 00,20 del 10/4/2016 ed alle ore 00,30 del 19/5/2016 in cui i tre separati verbali erano stati elevati; – l’interpretazione dell’obbligo posto a carico del gestore dell’esercente così ricostruita dal giudice di appello non appare contraria a principi di diritto, che peraltro, il ricorrente non ha indicato e la censura mira a contestarla senza specificare quale errore di diritto avrebbe commesso il giudice nella sentenza impugnata, finendo per attingere, come già anticipato, l’apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito; – con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; – ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe configurato la responsabilità del sig. P. senza considerare che egli aveva incaricato alcuni suoi collaboratori di svolgere i controlli per evitare i comportamenti dei clienti lesivi della quiete pubblica; – la censura è inammissibile perché non considera la ratio decidendi atteso che il giudice d’appello ha affermato che la suddetta circostanza non era provata e che, ove anche confermata, la stessa non era decisiva aì finì di escludere la responsabilità del ricorrente, non risultando nè la chiamata, da parte del P. delle Forze dell’Ordine, nè lo ius excludendi nei confronti degli avventori irrispettosi della pubblica quiete; – in definitiva ed avuto riguardo all’inammissibilità di entrambi i motivi, il ricorso è inammissibile e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del Comune controricorrente nella misura liquidata in dispositivo; – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 510,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Prendendo lo spunto dal vostro articolo redatto, comme d’habitude, semplicemente A REGOLA D’ARTE (chiaro, lineare, inequivocabile, comprensibile anche all’uomo della strada come me…), chiedo: e nei condomìnii? Ormai la villania la fa ovunque da padrona… C’è poi il famoso limite del disturbo causato a PIù DI UNA PERSONA… Insomma, più vespaio di così… Ed ecco che, talvolta, salta fuori il… regolamento di conti, più o meno all’arma bianca o… fumante!
Grazie Ted. Puoi trovare maggiori informazioni nei seguenti articoli:
-Rumori molesti in condominio: ecco i limiti da rispettare https://www.laleggepertutti.it/331352_rumori-molesti-in-condominio-ecco-i-limiti-da-rispettare
-Esposto per rumori molesti condominio https://www.laleggepertutti.it/321450_esposto-per-rumori-molesti-condominio
-Inquilino rumoroso: poteri dell’amministratore di condominio https://www.laleggepertutti.it/362396_inquilino-rumoroso-poteri-dellamministratore-di-condominio
-Rumori: tutela legale https://www.laleggepertutti.it/356121_rumori-tutela-legale