Cosa rischia un pensionato che lavora in nero?


Il pensionato che svolge un’attività lavorativa dipendente oppure in forma autonoma può ricevere pesanti sanzioni, subire il pignoramento della pensione e, in determinati casi, commettere reati.
La pensione molte volte non basta, specie se l’importo è basso per sostenere le esigenze di vita; così pensi a continuare a svolgere il lavoro che avevi oppure a trovarne uno nuovo. Magari si tratta di qualcosa che avevi sempre desiderato fare durante gli anni di attività, ma non ti bastava il tempo a disposizione e forse anche le energie non erano sufficienti dopo una giornata fitta di impegni lavorativi. Non potevi certo lanciarti in un’impresa commerciale o in un’attività artistica se ogni giorno dovevi andare in ufficio o in fabbrica o al tuo studio professionale. Invece, adesso che sei più libero – e se hai una pensione media o alta sei anche tranquillo economicamente – decidi di lavorare ancora.
I motivi che ti inducono a farlo possono essere i più disparati: puoi essere uno dei fortunati che vogliono arrotondare il reddito per programmare qualche viaggio o vacanza, oppure pensi che hai figli o i nipoti da aiutare economicamente. In altri casi, vorresti accumulare un gruzzoletto per pensare alla vecchiaia, se dovessi avere bisogno di assistenza sanitaria o di una badante; oppure semplicemente ti piace lavorare e vuoi mantenerti attivo: e così continuare ad essere utile a te stesso e agli altri.
Sono tutte ragioni valide e anche nobili. Non c’è nulla di male in tutto ciò, ma lo diventa se decidi di lavorare in nero. Lo Stato non è tenero con coloro che aggiungono alla pensione un altro reddito, di lavoro dipendente o autonomo, senza dichiararlo fiscalmente. Dunque, se lo fai rischi parecchio. Vediamo allora precisamente cosa rischia un pensionato che lavora in nero. Scoprirai che forse ti conviene essere in regola con tasse, dichiarazioni, adempimenti e comunicazioni. La pensione non ti esime da queste necessità. Che tu sia pensionato o no, devi sempre dichiarare e pagare per le attività retribuite che svolgi.
Indice
Lavoro nero: cos’è e cosa comporta
Il lavoro nero è un impiego non comunicato nei modi di legge. C’è prestazione, ma non ci sono contributi previdenziali e assistenziali versati; c’è opera, ma non ci sono garanzie e tutele per chi la presta; c’è retribuzione, ma non tasse da pagare.
Ogni assunzione di un lavoratore subordinato deve essere comunicata al Centro per l’impiego, a cura del datore, mediante una comunicazione telematica ufficiale e obbligatoria, chiamata Unilav. È unificata perché con un solo adempimento si dà notizia a tutti gli Enti interessati alla pratica: Inps, Inail, Ispettorato del Lavoro. Va inviata entro il giorno precedente a quello di avvio del rapporto, salvi i casi di urgenza (nei quali va compilato un altro modello, Uniurg, entro 5 giorni dall’assunzione).
Dunque, il lavoro nero è quello che si realizza quando c’è un contratto di lavoro ma manca questa comunicazione obbligatoria. Nel caso dei pensionati, la casistica è molto ampia: non c’è soltanto chi ha il classico impiego in un ufficio o il normale lavoro di operaio (che sarebbe ben difficile, se non impossibile, mantenere nelle precedenti aziende dove si è lavorato un’intera vita) ma una serie di attività eterogenee, svolte anche a tempo parziale.
Così, ad esempio, sarà lavoratore in nero anche l’operaio pensionato che continua a recarsi al cantiere anche se solo a giorni alterni, l’impiegato pensionato che tiene contabilità di imprese o cura pratiche amministrative, o chi fa il giardiniere in una villa o presso una struttura, o la pensionata che assiste un anziano o fa la donna delle pulizie in case, uffici e condomini.
Il pensionato che lavora in nero
Le attività di lavoro che può svolgere in nero un pensionato possono essere le più varie ed eterogenee, come ti abbiamo esemplificato poco fa, ma la sostanza non cambia: ci sarà sempre un rapporto di lavoro che non è stato regolarmente comunicato nei modi di legge che ti abbiamo descritto.
Ora, devi tenere presente che quello che conta davvero e viene in maggior rilievo per il pensionato con lavoro nero non è tanto lo sfruttamento da parte del datore di lavoro, quanto invece l’occultamento dei redditi o dei compensi percepiti. È qui che si gioca la partita delle pesanti sanzioni previste dalla legge.
Il lavoratore dipendente
Sia che si tratti di un lavoro dipendente, pagato a stipendio, non importa se part time o a tempo pieno, sia che l’attività riguardi un lavoro autonomo o artigianale, retribuita attraverso compensi per le opere manuali o intellettuali svolte, la sostanza non cambia: ci saranno sempre dei guadagni non dichiarati e, perciò, sottratti a tassazione.
Per i lavoratori dipendenti è facile accertarli, una volta verificata la durata del rapporto, il tipo di inquadramento e di mansioni svolte e gli orari effettuati. I limiti contrattuali di categoria sono infatti inderogabili e, in assenza di contratto di lavoro, non si potrà provare di aver percepito una retribuzione inferiore a quella stabilita dalla legge o dai contratti collettivi. Così l’intero importo dello stipendio in nero farà reddito e si accumulerà a quello di pensione e agli eventuali altri del pensionato, come vedremo tra poco.
Il lavoratore autonomo
L’autonomo non ha padroni, non c’è un datore di lavoro che lo retribuisce ma tutto dipende dalla sua opera e dall’andamento dell’attività. Questo comporta due conseguenze per il pensionato che intraprende un’attività autonoma in nero: la prima è che non è mai considerato “vittima”, neppure nel caso in cui dipenda da aziende terze o soggetti economicamente più forti di lui, quindi non avrà un datore su cui rivalersi per contributi non versati o voci accessorie della retribuzione; la seconda è che non avendo dichiarato nelle forme prescritte l’attività svolta – a partire dall’apertura della partita Iva e dalla tenuta delle scritture contabili obbligatorie, per arrivare alle dichiarazioni dei tributi applicabili, passando per le liquidazioni periodiche e i versamenti dell’Iva e delle altre imposte dovute – non avrà nessuno “schermo” per potersi riparare dagli accertamenti fiscali.
Sarà cioè considerato come un evasore totale, ed è giusto che sia così perché il concetto si applica non a chi è totalmente sconosciuto al Fisco come soggetto (nessuno ormai lo è più, essendo tutti dotati di codice fiscale e altre caratteristiche nominative che rendono ciascuno di noi facilmente individuabile) ma a chi svolge un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, professionale, artistica che sia ignota all’Amministrazione finanziaria perché chi la esercita si è “dimenticato” di dichiararne l’inizio e di documentarne periodicamente lo svolgimento e l’andamento.
Se poi si tratta di una professione regolamentata con iscrizione ad albi, c’è da considerare anche l’aspetto dell’illecita attività svolta dopo essere andati in pensione; non si può, infatti, continuare ad esercitare dopo la cancellazione dall’albo, che è necessaria nella maggior parte dei casi (dipende dai regolamenti di ciascun ordine professionale) per ottenere la pensione, di anzianità o di vecchiaia. Dunque, o pensione o professione, salve eventuali deroghe previste dalle specifiche categorie.
Lavoro in nero: cosa rischia il pensionato?
Tralasciando l’aspetto delle sanzioni previste a carico del datore di lavoro (che sono state notevolmente inasprite dal Jobs Act con maxi multe fino a 36 mila euro per ogni lavoratore abusivamente occupato) devi sapere che i rischi che corre il pensionato scoperto a svolgere un qualsiasi lavoro dipendente o una qualunque attività autonoma in nero comportano automaticamente l’accertamento e il recupero a tassazione dei maggiori redditi evasi.
Se il rapporto di lavoro in nero viene accertato dalla Guardia di Finanza o da un altro organo ispettivo, questi trasmetteranno gli atti che documentano l’entità e la consistenza del “nero” all’Agenzia delle Entrate, che ricalcolerà l’Irpef dovuta secondo il ben noto meccanismo di scaglioni e aliquote applicabili.
Il reddito di lavoro dipendente o autonomo, infatti, si sommerà agli altri redditi imponibili già dichiarati, come il reddito di pensione, e sul cumulo complessivo la tassazione salirà notevolmente, per la progressività delle aliquote.
Ad esempio, se hai 30 mila euro di pensione e nessun altro tipo di reddito pagherai 7.720 euro di Irpef (deduzioni e detrazioni a parte, ad esempio per familiari a carico, spese sanitarie, mutui, ecc.) che ti saranno già state trattenute in partenza dal tuo sostituto d’imposta; ma se a questo importo aggiungi altri 15 mila euro di redditi da lavoro svolto in nero, l’imposta dovuta sarà di 13.420 euro in totale; infatti per la parte eccedente scatta l’aliquota prevista per lo scaglione superiore, che è del 38%: in soldoni, quasi 6 mila euro in più, e su questi saranno applicate le sanzioni nella misura del 30% più interessi fino al giorno del pagamento.
Inutile dire che se non paghi scatteranno le procedure esecutive previste dalla riscossione, con possibilità, tra l’altro, di eseguire proprio il pignoramento della pensione, sia pure nei limiti previsti (ad esempio, un decimo per le pensioni fino a 2.500 euro mensili).
Ma non finisce qui, perché se sei un lavoratore in nero autonomo dovrai pagare anche i contributi previsti e non versati (che invece nel lavoro dipendente sono a carico del datore): anche qui l’omissione costa cara, perché è punita con la sanzione del 30% dell’ammontare dei contributi evasi, oltre i consueti interessi di mora. Ecco cosa succede se non si versano i contributi. Anche l’Inps, come l’Agenzia Entrate Riscossione, potrà agire in via coattiva per il recupero delle somme e arrivare a pignorarti facilmente la quota della pensione.
Infine, se sei titolare di Pensione di cittadinanza e lavori in nero potrai subire la decadenza dal beneficio, dovrai restituire gli importi percepiti nel periodo in cui hai lavorato e, nei casi più gravi, potresti essere chiamato a rispondere dei reati di indebita percezione di contributi pubblici e di false attestazioni per ottenere questi benefici, come anche nel caso di tutti gli altri ammortizzatori sociali o sussidi di cui potresti aver usufruito grazie ad un Isee dichiarato più basso del reale, perché non teneva conto dei proventi ottenuti con il lavoro in nero.
E se sei un forfettario?
Se nel 2019 eri in regime forfettario, dunque con un reddito non superiore a 65 mila euro annui, e beneficiavi della flat tax al 15%, ti potrebbe venire la tentazione di chiudere la partita Iva ora che, con la nuova legge di Bilancio, è stato stabilito il limite di 30 mila euro di redditi di lavoro dipendente o assimilati – come appunto quello della pensione – per beneficiare del regime agevolato. Se non lo sai ancora, la legge di Bilancio 2020 ha introdotto questo paletto, che taglia fuori dal forfettario proprio chi, come molti pensionati, percepiscono più di 30mila euro annui.
Questa nuova condizione svantaggia moltissimo i pensionati che hanno una partita Iva con la quale svolgono un’altra attività; si parla già, secondo gli studi fatti, di almeno 300 mila esclusi che probabilmente abbandoneranno la partita Iva. I nuovi limiti, infatti, sono già entrati in vigore e dunque l’aver percepito nel 2019 altri redditi per un ammontare superiore a 30 mila euro costituisce condizione ostativa per beneficiare dell’aliquota fissa al 15% e delle altre agevolazioni contabili e fiscali previste per la flat tax 2020; se vuoi proseguire l’attività, non potrai più fruire di queste agevolazioni, salvi ripensamenti del legislatore.