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L’Italia rischia una maxi multa Ue

8 Febbraio 2020
L’Italia rischia una maxi multa Ue

La Corte di Giustizia Ue ha già condannato l’Italia per i ritardi delle Pa nei pagamenti dei debiti commerciali; è probabile ora l’applicazione di sanzioni. 

Adesso l’Italia rischia seriamente una maxi multa dall’Unione Europea per i debiti non pagati dalla Pubblica amministrazione ai fornitori: dopo la recente condanna dell’Ue per il mancato rispetto della direttiva europea che impone termini stretti di pagamento (a 30 o a 60 giorni) che quasi mai le nostre amministrazioni pubbliche rispettano, la Cgia lancia l’allarme: “rischiamo di essere chiamati a pagare una maximulta da 2 miliardi di euro”, annuncia oggi all’agenzia stampa Adnkronos il coordinatore, Paolo Zabeo.

La Cgia ha diffuso oggi uno studio sul fenomeno dei ritardi nei pagamenti delle Pa italiane, e avverte che questo sistema generalizzato, al quale non è stato posto rimedio, “potrebbe far scattare una maximulta come quella ricevuta per le quote latte che, fino ad ora, ci è costata circa 2 miliardi di euro“. L’unica soluzione per evitarla sarebbe, a giudizio della Cgia, “mettere fine in tempi rapidissimi a questa cattiva abitudine. Ipotesi, viste le performance realizzate nel 2019, difficilmente attuabile”.

Lo studio della Cgia ha analizzato le cause e l’entità di questo fenomeno, arrivando così a prefigurare le conseguenze in danno dell’Italia. Ecco di cosa si tratta.

A quanto ammonta il debito delle Pa?

La Cgia rileva un paradosso: nonostante l’obbligo della fatturazione elettronica per tutte le transazioni commerciali effettuate verso un’amministrazione pubblica, “lo stock del debito della pubblica amministrazione italiana “è sconosciuto“. “La cosa più assurda di tutta questa vicenda -prosegue la Cgia- è che nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta esattamente il debito commerciale della nostra Pa, nonostante le imprese che lavorano per quest’ultima abbiano da parecchi anni l’obbligo di emettere la fattura elettronica”.

La Cgia delinea un ‘percorso’ su come funzionano i pagamenti in queste transazioni commerciali. “Una volta emessa, la fattura elettronica -spiega l’associazione- transita in una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Siope +) che la smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile”.

La Cgia continua a spiegare che “una volta che il destinatario della fattura dà il suo consenso, il pagamento dovrebbe transitare per questa piattaforma, permettendo al dicastero dell’economia di monitorare istantaneamente i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite”. Nonostante ciò,”sebbene questa prassi sia partita gradualmente dal luglio del 2017″, ricorda la Cgia – “lo Stato non conosce ancora adesso a quanto ammonta complessivamente il debito contratto da tutte le Amministrazioni pubbliche con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo gli enti
periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite dalla legge”.

A quanto ammontano dunque i debiti complessivi che le Pubbliche amministrazioni italiane hanno accumulato nei confronti delle imprese fornitrici di beni o servizi? A circa 53 miliardi di euro, secondo le stime della Banca d’Italia, ma – osserva la Cgia – anche qui con “un elevato grado di incertezza sulla cifra”.  Infatti, “Secondo i dati riportati nella ‘Relazione annuale 2018’, presentata il 31 maggio 2019 dalla Banca d’Italia, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra Pa sarebbe pari a circa 53 miliardi di euro, metà dei quali ascrivibili ai ritardi di pagamento” riferisce la Cgia.

“L’utilizzo del condizionale è d’obbligo, visto che il periodico monitoraggio condotto dai ricercatori di via Nazionale si basa su indagini campionarie condotte sulle imprese e dalle segnalazioni di vigilanza da cui emergono dei risultati che, secondo gli stessi estensori delle stime, sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza”, aggiunge la Cgia.

Perché le Pa non pagano? 

Ma perchè le pubbliche amministrazioni italiane saldano così in ritardo i propri debiti commerciali? La mancanza di liquidità è solo una delle cause: stando alla lista stilata dalla Cgia, si parte “dalla mancanza di liquidità da parte del committente pubblico ma ci sono anche ritardi intenzionali, l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento e le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture”.

A queste ragioni, segnala ancora la Cgia nel suo studio, tra le principali cause che hanno dato origine ai ritardi dei pagamenti della Pa, “ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Corte di Giustizia europea a condannarci nelle scorse settimane, come la richiesta, spesso avanzata dalla Pa nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo”.

Dove sono i maggiori ritardi? 

Anche nel 2019 i ritardi nei pagamenti dello Stato e delle sue articolazioni a livello locale sono stati molto diffusi. La Cgia rileva che se la Direttiva 2011/7/Ue impone, nelle transazioni commerciali tra Pa e imprese private, termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni (in quest’ultimo caso solo per il settore sanitario), l’anno scorso, ad esempio, il Comune di Napoli ha liquidato i propri fornitori con 395 giorni medi di ritardo; l’Asl Napoli 1 Centro con 169; il Comune di Reggio Calabria con 146, la Regione Basilicata con 83, l’Asl Roma 1 con 72 e il Comune di Roma Capitale con 63.

Situazioni, queste ultime, che, secondo l’analisi della Cgia “saranno estremamente difficili da azzerare in tempi ragionevolmente brevi. Una condizione, come abbiamo segnalato, indispensabile affinché Bruxelles ci risparmi una maximulta“.

Senza contare, avverte ancora la Cgia, che “nel settore della sanità e in quello delle costruzioni i ritardi, rispetto ai tempi massimi di attesa previsti dalla legge, vengono superati, secondo le rilevazioni effettuate dalle associazioni imprenditoriali di questi settori, rispettivamente di 39 e di 73 giorni di media”. Ritardi, osserva l’associazione, “che, purtroppo, difficilmente potranno essere riportati celermente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa.

 Cosa succederà ora?

Il mancato rispetto degli obblighi stabiliti da una precisa direttiva europea sui termini di pagamento – che sono stati palesemente violati, come accertato nella sentenza di condanna contro l’Italia emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 28 gennaio scorso – potrà comportare l’apertura di una procedura di infrazione per il mancato rispetto di queste disposizioni comunitarie.

Se l’Italia non si adeguerà prontamente e non fornirà prova di aver introdotto le misure necessarie a velocizzare i pagamenti dei debiti commerciali fino a farli rientrare nei limiti temporali previsti, di 30 o 60 giorni dalla data di emissione della fattura – cosa piuttosto difficile, secondo l’analisi Cgia che abbiamo esposto – è probabile l’irrogazione delle sanzioni economiche pecuniarie previste dalla normativa comunitaria.



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