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Distanze tra edifici non rispettate: quando è possibile?

9 Febbraio 2020
Distanze tra edifici non rispettate: quando è possibile?

Si può derogare alle regole sulle distanze tra costruzioni? È legale una distanza inferiore a quella fissata dal Comune o dal Codice civile se sono tutti d’accordo?

Tempo fa, hai chiuso il tuo balcone con pannelli di vetro e alluminio, ricavandone una veranda molto ampia. Nonostante tu sia in regola, avendo chiesto al Comune l’autorizzazione e, quindi, il relativo permesso di costruire, il vicino ti ha fatto inviare una diffida dal suo avvocato. Il tenore della lettera è chiara: devi demolire la costruzione perché non rispetta le distanze dal confine. Insomma, la veranda è troppo vicina alla proprietà altrui e rischia di invaderne la privacy.

In realtà, l’opera è stata completata diversi anni prima e, poiché avevi già intravisto questo problema, ti eri fatto autorizzare per iscritto dal precedente confinante. Ora, però, che questi ha venduto, il nuovo proprietario intende disconoscere la scrittura privata intercorsa tra voi. Sostiene, infatti, di non esserne venuto mai a conoscenza prima di acquistare e che, pertanto, non gli può essere opposto alcun accordo. Può farlo? Distanze tra edifici non rispettate, quando è possibile disporle? Si può derogare alle regole sulle distanze tra costruzioni ed, eventualmente, se così fosse, come bisogna comportarsi per evitare contestazioni? 

La questione è stata decisa dalla Cassazione con una recente sentenza [1]. Si tratta di una pronuncia molto interessante che precisa entro che termini i proprietari di terreni confinanti possono accordarsi per stabilire limiti diversi alle distanze tra costruzioni confinanti: diversi cioè rispetto alla legge o agli eventuali regolamenti comunali. Ma procediamo con ordine.

Come funzionano le distanze dal confine?

Chi vuole costruire un manufatto, un box, un edificio, una veranda, un gazebo o qualsiasi altra costruzione deve rispettare la normativa sulle distanze dal confine, al fine di lasciare il corretto spazio rispetto alle altrui costruzioni vicine.

La disciplina sulle distanze si applica a chi edifica per secondo, ossia chi edifica quando sul terreno confinante esiste già una costruzione. Chi edifica per primo, infatti, non è obbligato a rispettare alcuna distanza se il fondo confinante non è edificato (criterio di prevenzione).

La disciplina sulle distanze riguarda solo le costruzioni immobilizzate al suolo o comunque stabili ed elevate dal suolo stesso. Non riguarda, quindi, una piscina interrata o un gazebo mobile che viene smontato dopo pochi giorni. 

Le distanze dal confine sono fissate nei regolamenti comunali attraverso i piani regolatori e, pertanto, possono essere diverse da Comune a Comune. Per cui è necessario informarsi presso l’ente di appartenenza. 

Non tutti i Comuni, però, hanno previsto una propria disciplina. In questi casi, valgono le distanze fissate in generale dal Codice civile. Le norme del Codice civile stabiliscono che le costruzioni poste su fondi confinanti appartenenti a proprietari diversi – a meno che siano unite o aderenti tra loro – devono essere tenute ad una distanza:

  • non minore di 3 metri le une dalle altre, fermo restando che nei regolamenti locali/comunali può essere stabilita una distanza maggiore;
  • una distanza minima assoluta di 10 metri fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, in tutte le zone omogenee del territorio comunale ad eccezione dei centri storici, nei quali per gli interventi di risanamento e di ristrutturazione, le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti fra i volumi edificati preesistenti.

Distanze tra edifici non rispettate: è legale se sono tutti d’accordo?

Si possono derogare le norme sulle distanze? Nella sentenza in commento, la Cassazione stabilisce che, per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge o dai regolamenti comunali, non è sufficiente una semplice dichiarazione scritta del proprietario del terreno vicino che autorizza la costituzione di una servitù, ma è necessario un contratto dinanzi al notaio che dia luogo alla costituzione di una servitù prediale. 

Difatti, si tratta di una limitazione della proprietà sull’immobile che ha diritto alla distanza legale, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio. 

Del resto, proprio la presenza dell’atto notarile e della successiva trascrizione nei pubblici registri immobiliari, consente a tutti i successivi acquirenti dell’immobile sui cui grava la limitazione di prendere conoscenza di questa e, quindi, di essere consapevoli di ciò che si sta comprando. Diversamente, alcun limite al diritto di proprietà può essere opposto ai successivi proprietari del bene. 

Del resto, la scrittura privata – redatta cioè dalle parti senza il notaio – è priva di data certa; si presterebbe, quindi, a facili strumentalizzazioni potendo essere redatta in un momento successivo e retrodatata, così frustrando i diritti dei successivi titolari del bene che tale limitazione non hanno mai approvato o conosciuto. 

Inoltre, a prescindere dai profili della mancanza di una data certa e della mancata trascrizione e dell’omessa menzione nell’atto di compravendita, l’atto che manifesti la volontà delle parti di derogare alle norme in tema di distanze dal confine dettate dagli strumenti urbanistici è illecito.

Secondo, infatti, sia la Cassazione che il Consiglio di Stato [2] le norme sulle distanze sono inderogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti di vicinato, ma mirano a tutelare anche interessi generali.


note

[1] Cass. sent. n. 1731/20 del 27.01.2020.

[2] Cons. Stato 23 giugno 2017 n. 3093, Cass. 14 novembre 2016 n. 23136.


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