Introdurre il lavoro carcerario ai fini della rieducazione dei condannati: è la proposta del procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, per favorire il reinserimento nella società.
È un fiume in piena oggi il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ospite della trasmissione televisiva Mezz’ora in più, condotta da Lucia Annunziata su Rai Tre. Dopo aver dribblato facilmente le domande della giornalista sul tema del giorno, la prescrizione («la questione non è quella di allungare la prescrizione, ma è accelerare i processi») i temi di cui parla il magistrato si allargano, fino alle riforme della giustizia, dove Gratteri sfodera il cavallo di battaglia dell’innovazione tecnologica, che non compromette le garanzie ma anzi le accresce, perché ogni attività è tracciata in partenza e diventa possibile prevenire gli abusi.
Il procuratore è deciso anche sullo spinoso argomento della corruzione del sistema giudiziario, e a proposito dei magistrati che prendono mazzette affonda affermando: «È ingordigia». Poi ricorda l’assoluta necessità di applicare la costituzione e le leggi, sempre «lavorando con il codice in mano», nel pieno rispetto della legalità secondo le norme esistenti, per non dare ai mafiosi un’arma di attacco e farli diventare vittime, perché «se io vado oltre la legge, il mafioso cerca solidarietà dagli sporcaccioni».
Gratteri chiede poi riforme che combattano la convenienza a delinquere («non è una questione di morale e di etica, si tratta di convenienza che bisogna spezzare», dice), ma è disincantato e scettico sulle proposte politiche quando afferma che i governi «le cose dirompenti le fanno nei primi sei mesi di legislatura, poi con il tempo si perde potere e si fanno mediazioni al ribasso».
Ma la novità arriva alla fine della trasmissione, quando Gratteri parla del sovraffollamento carcerario e della necessità di reinserimento dei detenuti, affermando: le carceri oggi sono dei contenitori, non si fa né rieducazione né trattamento. Perché un detenuto deve stare otto ore al giorno davanti al televisore? Come si potrebbe cambiare? Ma se noi diciamo il lavoro come terapia, rieducazione e trattamento, allora le cose potrebbero cambiare».
Però – ammette Gratteri – per fare questo «non ci sono i soldi per pagare questi circa 50mila detenuti», per retribuire il lavoro svolto (a parte l’assicurazione obbligatoria). Ma appunto per questo, e per superare il problema economico, il lavoro carcerario dovrebbe diventare una terapia. Da svolgersi in forma gratuita, per educarli insegnando loro concretamente l’importanza del lavoro. Infine aggira la provocazione della conduttrice («Il lavoro rende liberi?», lo pungola la Annunziata, con una chiara reminescenza dei lager nazisti come Auschwitz) e risponde così: «certo che il lavoro rende liberi, ma dalle mafie e dalla ‘ndrangheta, perché ridà dignità alle persone».