Licenziamento disciplinare, per giusta causa, per giustificato motivo o per crisi e riduzione personale: quali sono le regole che deve seguire il datore di lavoro e quali i diritti del dipendente.
Chi riceve la lettera di licenziamento può contestarla entro 60 giorni e, nei successivi 180, è tenuto a depositare il ricorso in tribunale. Ma prima di avviare una causa contro l’ex datore di lavoro è bene farsi consigliare al meglio dal proprio avvocato. Non tanto per non fare la figura di chi avanza pretese illegittime, quanto per non sostenere inutilmente delle spese legali gravose. Ed allora come stabilire se il licenziamento è valido?
Tutto dipende dal tipo di licenziamento e dai fatti a fondamento di esso. Esiste, infatti, il licenziamento disciplinare, quello cioè determinato da comportamenti gravemente colpevoli del lavoratore, e quello per motivi aziendali, dettato cioè da ragioni produttive e organizzative.
Alcune regole generali fissate dalla legge e dalla giurisprudenza possono aiutare a districarsi in questa articolata materia. Ne parleremo qui di seguito, anche alla luce di una recente ordinanza della Cassazione [1] che ha fornito interessanti spiegazioni in merito a una vicenda assai comune: quella della risoluzione del rapporto di lavoro per presunta (ma di fatto inesistente) crisi aziendale.
La pronuncia è solo la scusa per tornare su un tema sempre attuale, affrontandolo in modo più completo e generale. All’esito di queste spiegazioni potrai farti un’idea di come stabilire se il licenziamento è valido. Ma procediamo con ordine.
Indice
Tipi di licenziamento
Il licenziamento può essere innanzitutto disciplinare, quando la ragione è una grave violazione, da parte del dipendente, del contratto di lavoro o della legge.
Nell’ambito del licenziamento disciplinare, a seconda della gravità del comportamento contestato, si distingue il licenziamento per giusta causa, ossia quello in tronco cioè senza preavviso; scatta quando la colpa del lavoratore è talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche per un giorno in più (si pensi al furto, alle aggressioni al superiore, alle reiterate assenze non giustificate da certificato medico).
Sempre nell’ambito del licenziamento disciplinare c’è quello giustificato motivo soggettivo, che trae fondamento sempre da una colpa del lavoratore tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, tuttavia non tanto grave da impedire il rispetto del periodo di preavviso. Durante tale frangente, quindi, il rapporto di lavoro prosegue regolarmente salvo una delle parti vi rinunci (dovendo però corrispondere all’altra l’indennità sostitutiva di preavviso).
C’è poi il licenziamento determinato da ragioni aziendali, anche detto licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Non è solo quello scaturito da una crisi, ma anche giustificato da una migliore organizzazione, dall’ottimizzazione delle risorse, dall’innovazione tecnologica che renda obsoleta la mano d’opera, dalla cessazione di una specifica attività o dall’esternalizzazione delle funzioni prima gestite internamente. C’è poi il caso di pericolo di fallimento o di cessione del ramo d’azienda. La giurisprudenza ha stabilito che è anche possibile il licenziamento sorretto dall’intenzione di fare più utili.
Quando il licenziamento è illegittimo per motivi di forma
Il licenziamento deve essere sempre scritto. Il licenziamento orale è inesistente. In più, nel caso di licenziamento per motivi disciplinari, deve avvenire a ridosso dei fatti, ossia non dopo tanto tempo da far ritenere al lavoratore di essere stato perdonato.
Trovi numerosi ulteriori casi nella guida Quando il licenziamento è illegittimo.
Come stabilire se il licenziamento disciplinare è valido?
Il licenziamento deve essere l’ultima spiaggia. Esso, infatti, è la sanzione più grave che si possa infliggere al dipendente, sicché può essere giustificato solo quando la sua colpa è tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto. In pratica, deve cessare il rapporto di fiducia che lega il datore al proprio prestatore d’opera.
Non è solo il caso di comportamento in malafede (furto, violenze, insubordinazione, ecc.), ma anche di quelli commessi involontariamente, per colpa, ma comunque gravi o reiterati (dipendente molto più lento dei colleghi, continuamente distratto, ecc.).
Se il contratto collettivo stabilisce, per un determinato comportamento, una sanzione meno grave del licenziamento, il datore di lavoro non può adottarne una più grave. Se viceversa il Ccnl prevede il licenziamento, il datore può prevedere una sanzione meno afflittiva.
Se il contratto collettivo non prevede nulla, il datore di lavoro è chiaramente libero di licenziare qualora ritenga il comportamento grave. Naturalmente, il suo giudizio potrà essere poi sottoposto al vaglio del giudice.
È illegittimo, chiaramente, il licenziamento disciplinare per fatti mai commessi.
Come stabilire se il licenziamento per ragioni aziendali è valido?
Il licenziamento per ragioni aziendali non può essere sindacato dal giudice: solo l’imprenditore sa, infatti, cosa è meglio per la sua azienda. Il tribunale può solo verificare se le ragioni addotte nella lettera di licenziamento siano vere ossia non contraddette da altri fatti (si porrebbe una situazione del genere se il datore sostenesse di chiudere una determinata attività quando, invece, a seguito del licenziamento, affida le stesse mansioni ad altre persone).
Prima del licenziamento per giustificato motivo soggettivo il datore di lavoro deve verificare se il lavoratore può essere adibito ad altre mansioni non ricoperte da altri. A tal fine, deve verificare se esistono compiti compatibili con le capacità del lavoratore in questione e se questi non sono già stati affidati ai suoi colleghi. È il cosiddetto obbligo di repechage.
In sintesi, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sussiste quando il posto di lavoro viene cancellato, la soppressione è frutto di una vera riorganizzazione aziendale e non risulta possibile ripescare il lavoratore in mansioni diverse.
La Cassazione ha ricordato che si può licenziare anche senza crisi, se ci sono esigenze organizzative o di produzione che lo richiedano per il bene di tutti. In caso di recesso per giustificato motivo oggettivo, il giudice del merito deve solo controllare che sia effettiva la riorganizzazione aziendale sottesa alla soppressione del posto: la scelta dell’imprenditore, infatti, non risulta sindacabile e il datore non deve provare l’andamento economico negativo per legittimare il suo provvedimento. Non si possono, però, ignorare assunzioni successive nelle stesse mansioni del lavoratore estromesso.
note
[1] Cass. sent. n. 3819/20 del 14.02.2020.