Regole per il secondo lavoro: si può avere un contratto di lavoro part time e uno full time oppure più di uno part time?
Un dipendente pubblico non può mai avere un doppio lavoro, anche se il rapporto con la pubblica amministrazione è un part time o a tempo determinato. La legge glielo vieta espressamente. Il rischio è il licenziamento. Sono previste tuttavia alcune eccezioni (le puoi trovare nell’approfondimento Doppio lavoro per il dipendente pubblico: è vietato?).
Ma cosa succede al dipendente privato? Chi ha già un contratto di lavoro full time con un’azienda può accettare un secondo lavoro oppure può collezionare più di un contratto part time?
Puoi trovare tutte le regole sul doppio lavoro del dipendente privato in questa breve guida. La materia, infatti, è tutt’altro che complessa. Basta conoscere i limiti che la legge pone al “secondo lavoro” per sapere come comportarti senza commettere illeciti.
Esistono sostanzialmente due ordini di divieti. Il primo attiene al numero massimo di ore in cui si può lavorare; la Costituzione infatti riconosce ad ogni persona il diritto inalienabile al riposo: un diritto indisponibile, ossia a cui non si può rinunciare neanche dietro pagamento. Il secondo divieto invece attiene al rapporto con il proprio datore di lavoro a cui non si può fare concorrenza.
Ma procediamo con ordine.
Indice
Divieti di orari
Come anticipato, il primo divieto relativo al doppio lavoro del dipendente privato attiene al numero massimo di ore lavorate. Una persona non può lavorare più di 48 ore ogni settimana. Tale regola è fissata nell’interesse del dipendente e del suo diritto al riposo settimanale e giornaliero.
Poiché questo limite non può mai essere oltrepassato, è impossibile avere un impiego full time e uno part time nello stesso tempo.
Al contrario risulta lecito avere due o più contratti part time alle dipendenze di datori di lavoro differenti. In ogni caso non si può mai superare il tetto massimo di 48 ore a settimana.
Proprio per far sì che questo divieto non venga mai violato, la legge impone al dipendente, che prende servizio presso due o più aziende, di comunicare al proprio datore l’ammontare di ore in cui già lavora, proprio perché spetta a quest’ultimo garantire il diritto al riposo settimanale (almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni) e il diritto al riposo giornaliero (11 ore consecutive ogni 24 ore). Leggi sul punto Quando è possibile avere un lavoro full-time e uno part-time.
La Cassazione ha esplicitamente chiarito che il datore di lavoro non può mai impedire al proprio dipendente di avere un secondo lavoro, se in orario compatibile e svolto per un settore non in diretta concorrenza [1].
Questo non toglie tuttavia che, durante il periodo di malattia e di assenza dal lavoro, il dipendente con contratto full time privato possa svolgere una seconda attività limitatamente a tale frangente di tempo in cui non deve lavorare. Il tutto però deve svolgersi secondo modalità compatibili con il suo stato di salute e purché non ne pregiudichi la rapida guarigione.
Ad esempio, ben potrebbe essere che un dipendente che si è ingessato una gamba e che non può svolgere l’attività di autista, lavori da casa con il computer per un’altra azienda, eseguendo attività intellettiva.
Divieto di concorrenza e correttezza
Tutti i dipendenti hanno l’obbligo di non porre attività in concorrenza con il proprio datore di lavoro (salvo diverso accordo tra le parti). Questo significa che un secondo lavoro è possibile solo nella misura in cui riguardi un campo completamente diverso di attività o settore merceologico. Solo una esplicita autorizzazione di entrambi i datori di lavoro potrebbe superare questo ostacolo.
L’articolo 2105 del Codice civile stabilisce infatti che «Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizi».
Questo divieto viene meno alla cessazione del rapporto di lavoro, sia che ciò dipenda da dimissioni o licenziamento. Ma ciò solo a patto che il dipendente non abbia firmato un patto di non concorrenza valevole anche dopo la cessazione del rapporto, patto tuttavia che dovrà essere remunerato a parte (ossia in aggiunta al normale stipendio).
C’è poi da rispettare il dovere di riservatezza che impone al dipendente di non comunicare a terzi – neanche ad altri datori di lavoro – tutte le informazioni di cui sia a conoscenza proprio in virtù delle sue mansioni.
Si tratta di un vincolo imposto non solo dalle regole del diritto civile sul lavoro ma anche dal Codice penale. L’articolo 622 del Codice penale stabilisce infatti che «Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro».
La violazione di tutti questi obblighi può implicare un licenziamento in tronco, ossia «per giusta causa».
Come fa il datore di lavoro a verificare il doppio lavoro?
Il datore di lavoro che voglia procurarsi le prove dell’infedeltà del dipendente può dotarsi di investigatori privati. La Cassazione [2] ha più volte sdoganato la prova fornita mediante le testimonianze e le foto di un’agenzia investigativa. Scatta così il licenziamento per giusta causa del dipendente che durante i frequenti periodi di malattia lavora per altre aziende dello stesso settore, come testimoniato dalle fotografie di un investigatore assoldato dal datore stesso.
Il detective può fare il segugio senza violare la privacy della persona sotto controllo, a meno che le sue incursioni non si spingano all’interno del domicilio di quest’ultimo.
note
[1] Cass. sent. n. 13196/2017.
[2] Cass. sent. n. 17514/18.