Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 gennaio – 17 febbraio 2020, n. 6215
Presidente Sabeone – Relatore Zaza
Ritenuto in fatto
1. Ch. Gi. Bu. ricorre avverso la sentenza del 14 gennaio 2019 con la quale la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bari del 16 maggio 2016, confermava l’affermazione di responsabilità del Bu. per il reato di illecita detenzione di una placca distintiva identica a quella in dotazione all’Arma dei Carabinieri, di cui all’art. 497-ter cod. pen., commesso fino al 5 novembre 2011, escludendo la recidiva e rideterminando la pena.
2. Il ricorrente propone due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio motivazionale sull’affermazione di responsabilità, in quanto giustificata con il mero richiamo al contenuto della decisione di primo grado, omettendo di esaminare le argomentazioni proposte con l’appello in ordine alla mancanza di un accertamento diretto a verificare se l’oggetto detenuto corrispondesse effettivamente al segno distintivo in uso all’Arma dei Carabinieri o costituisse un falso grossolano, ed all’esclusione di una lesione del bene giuridico ove la placca era custodita all’interno dell’abitazione dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo deduce la prescrizione del reato.
Considerato in diritto
1. Il motivo dedotto sull’affermazione di responsabilità dell’imputato è inammissibile.
La censura di omessa motivazione sull’effettivo accertamento della corrispondenza dell’oggetto detenuto dall’imputato al distintivo in uso all’Arma dei Carabinieri è generica ove di tale verifica si dava atto nella sentenza impugnata in base non al mero richiamo alla sentenza di primo grado, come sostenuto dal ricorrente, ma al contenuto del verbale di sequestro ed alla riproduzione fotografica della placca sequestrata.
E’ poi manifestamente infondata la doglianza per la quale non si sarebbe tenuto conto che la placca era custodita all’interno dell’abitazione dell’imputato, che ha ad oggetto una circostanza irrilevante nel momento in cui, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e come del resto rammentato dalla Corte territoriale, l’art. 497-ter, n. 1, cod. proc. pen. incrimina la mera illecita detenzione dei segni distintivi in uso ai Corpi di polizia o, come nel caso di specie, di oggetti che ne simulino la funzione, a prescindere alla loro collocazione in un luogo pubblico o privato (Sez. 5, n. 26537 del 12/03/2014, Chiodi, Rv. 260222).
2. Anche il motivo dedotto sulla prescrizione del reato è inammissibile.
La relativa deduzione, oltre ad essere preclusa dall’inammissibilità del motivo appena esaminato, è comunque manifestamente infondata ove non tiene conto che, per effetto di sospensioni verificatesi in primo grado per la complessiva durata di sette mesi e quindici giorni, il termine prescrizionale scade il 15 gennaio 2020 e non è pertanto decorso.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare equo determinare in Euro quattromila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Cassazione penale sez. V, 25/02/2019, (ud. 25/02/2019, dep. 12/06/2019), n.26042
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 29/03/2018 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato C.A. responsabile del reato di cui all’art. 497 ter c.p., condannandolo alla pena di mesi 8 di reclusione, per aver illecitamente detenuto una paletta segnaletica usata dai Corpi di Polizia e recante l’effige dello Stato Italiano e la dicitura del Ministero della Difesa Carabinieri, da ritenersi contraffatta e comunque non in uso ai Carabinieri.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.A., Avv. Colucci Angelo, deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 25 Cost., comma 2, artt. 49 e 497 ter c.p. e per mancanza di motivazione. La Corte non avrebbe chiarito, essendo l’imputato appartenente all’Arma dei Carabinieri, come tale detenzione avrebbe mai potuto porre in pericolo la pubblica fede, bene giuridico protetto ai sensi dell’art. 497 ter c.p..
2.2. Violazione di legge per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità: trattandosi di giudizio abbreviato, contesta l’atipica modalità di assunzione delle dichiarazioni auto-indizianti rilasciate dallo stesso imputato che, avvenute per mezzo telefonico subito dopo l’accertamento del reato, non sarebbero state verbalizzate successivamente e trasfuse in atti di polizia giudiziaria.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Giova premettere, quanto alla fattispecie concreta, che la notte del 23.2.2012 veniva fermata una autovettura Ford Fiesta, con a bordo due persone, che esponeva nel “parasole” lato guidatore una paletta apparentemente in uso a Corpo di Polizia; all’esito del controllo, accertata l’identità dei due occupanti – D.G.N. alla guida, e R.F. al lato passeggero -, entrambi non appartenenti a forze di polizia, veniva rinvenuta la paletta che, prima della perquisizione, era stata occultata sotto il sedile del guidatore; la paletta, del tutto identica a quella in uso ai Carabinieri, era tuttavia priva del numero seriale identificativo; la conducente del veicolo, D., dichiarava che l’autovettura era stata loro prestata da un amico carabiniere, C., che chiamava telefonicamente per confermare, passando la comunicazione anche agli operanti.
1.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce l’inoffensività del fatto, è dunque infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di cui all’art. 497 ter c.p., comma 1, n. 1, seconda parte, (possesso di segni distintivi contraffatti), la detenzione di un contrassegno (nella specie una paletta segnaletica), ancorchè attualmente non più in uso alla Polizia, considerato che il requisito dell’attualità dell’uso è richiesto solo per l’ipotesi di cui all’art. 497 ter c.p., comma 1, n. 1, prima parte, – che commina la sanzione per il detentore dei segni distintivi in questione solo quando essi siano “in uso” alla Polizia – mentre l’ipotesi di cui all’art. 497 ter c.p., comma 1, n. 1, seconda parte, sanziona anche la detenzione di segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione che, pur senza riprodurre fedelmente gli originali, ne simulino la funzione, siano cioè idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali di colui che ne fa uso e sul potere connesso all’uso stesso del segno (Sez. 5, n. 35094 del 23/05/2013, Bongiorno, Rv. 256951, a proposito della paletta, ancorchè non più in uso, recante i segni del Ministero dei trasporti, direzione della motorizzazione civile, con lo stemma della Repubblica italiana; analogamente, Sez. 5, n. 3556 del 31/10/2014, dep. 2015, Rubino, Rv. 262177: “integra il delitto di cui all’art. 497 ter c.p., comma 1, seconda parte, (possesso di segni distintivi contraffatti), la detenzione di un tesserino riferibile alla Guardia di finanza, ancorchè da questa non in uso, considerato che detta disposizione sanziona la detenzione di segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione che, pur senza riprodurre fedelmente gli originali, ne simulino la funzione, siano cioè idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali di colui che ne fa uso e sul potere connesso all’uso del segno stesso”).
Nel caso in esame, la paletta rinvenuta nell’autovettura dell’imputato era identica a quella “in uso” ai Carabinieri, priva soltanto del numero identificativo seriale; sicchè risulta integrata la fattispecie di cui all’art. 497 ter c.p., comma 1, n. 1, prima parte, che incrimina la illecita detenzione di un contrassegno in uso ai Corpi di Polizia.
La qualifica di Carabiniere dell’imputato, peraltro, non è idonea ad elidere la concreta offensività del fatto, in quanto la paletta contraffatta, del tutto identica all’originale, oltre ad essere senz’altro dotata di astratta idoneità ingannatoria, veniva concretamente esibita a bordo di un’autovettura concessa in uso a persone non appartenenti a Corpi di Polizia (ed anzi con precedenti di polizia).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, il ricorso deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato al telefono, allorquando chiamato dalla conducente del veicolo D., affermava ai militari che stavano eseguendo il controllo che i due fermati erano degli amici ai quali aveva prestato la propria auto, non rilevando nulla di illecito nel possesso di una paletta “non ufficiale”; omette, tuttavia, di confrontarsi con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata, che ha fondato l’affermazione di responsabilità non già sulle dichiarazioni rese dal C. al telefono, bensì sugli esiti della perquisizione e del sequestro della paletta contraffatta, e sulle dichiarazioni rese dalla conducente del veicolo, D., oltre che, sul piano logico, sulla non contestata circostanza della proprietà dell’autovettura a bordo della quale si trovava il contrassegno.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019