Tutela della salute; divieto di fumo sul luogo di lavoro e nei locali pubblici; risarcimento del danno.
Indice
Divieto di fumare stabilito da contratto collettivo
La giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo onde lo stesso può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (fattispecie relativa al licenziamento intimato ad un lavoratore sorpreso a fumare nonostante il contratto collettivo nazionale applicato in azienda – nella specie, pulizia- servizi integrati- multiservizi -, statuisse come inderogabile il divieto di fumare).
Cassazione civile sez. lav., 26/06/2020, n.12841
Uso di cellulare e di sigaretta elettronica
In tema di licenziamento disciplinare, le condotte di uso del telefono cellulare e della sigaretta elettronica durante l’orario di lavoro non sono equiparabili, anche ai fini della recidiva, alla fattispecie di “sospensione dell’attività lavorativa senza giustificato motivo“, prevista come infrazione passibile di licenziamento – se reiterata – dall’art. 192 c.c.n.l. pubblici esercizi del 20 febbraio 2010, in relazione alle lett. a) e b) del precedente art. 138, comma 7, dello stesso c.c.n.l.; ciò perché la sospensione del lavoro postula una totale (e transitoria) assenza della prestazione da parte del lavoratore, laddove tanto l’uso del telefono cellulare, quanto quello della sigaretta, non sono in sé incompatibili con lo svolgimento, in tutto o in parte, dell’attività lavorativa, deponendo in tal senso, altresì, l’individuazione della contravvenzione al divieto di fumare quale illecito disciplinare suscettibile di sanzione conservativa nel citato art. 138, comma 7, lett. e), c.c.n.l. cit.
Cassazione civile sez. VI, 27/06/2018, n.16965
Fumare una sigaretta elettronica giustifica un licenziamento disciplinare?
La condotta di sospensione dell’attività lavorativa, prevista come infrazione passibile di licenziamento disciplinare, se reiterata, dall’articolo 192 c.c.n.l. pubblici esercizi, consiste in una situazione transitoria di totale assenza della prestazione lavorativa (nella specie, in cui al lavoratore era stato contestato l’utilizzo di una sigaretta elettronica, la Corte ha ritenuto che il fumo della sigaretta elettronica non è in sé incompatibile con il contestuale svolgimento della prestazione lavorativa, in tutto o parzialmente).
Cassazione civile sez. VI, 27/06/2018, n.16965
Asma bronchiale cronica ed allergica in presenza di fumo
Deve essere respinta la domanda di risarcimento danni avanzata da uno studente in ragione dell’impossibilità di frequentare i locali universitari, essendo egli affetto da asma bronchiale cronica ed allergica, patologia che gli impediva di entrare in contatto con ambienti nei quali aveva spesso riscontrato una considerevole presenza di fumo, allorché venga riscontrata l’assenza del nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva dell’Ateneo (ravvisabile nel mancato svolgimento delle attività di controllo riguardo al rispetto del divieto di fumo nei locali) e l’impossibilità, dedotta dal ricorrente, di frequentare i locali e partecipare alle attività didattiche e di studio, atteso che l’attore non aveva minimamente fornito la prova che la pretesa inagibilità dei locali avesse interessato le aule di lezione, la Biblioteca Generale e quelle di Dipartimento e di Istituto, quei luoghi cioè nei quali appunto si svolgono le attività didattiche, di ricerca e di studio che l’Amministrazione universitaria è tenuta a garantire.
Cassazione civile sez. I, 20/04/2016, n.7967
Licenziamento per giusta causa
È fondato il licenziamento per giusta causa di un caporeparto che violi il divieto di fumo vigente in un’azienda in cui vi sia rischio di incendio. La fondatezza e la proporzionalità del provvedimento espulsivo nel caso di specie deve essere valutata anche con riferimento alle mansioni concretamente svolte dal lavoratore ed in particolare al ruolo di caporeparto svolto, tale da costituire un modello diseducativo per gli altri dipendenti.
Cassazione civile sez. lav., 10/07/2015, n.14481
Divieto di fumo
La materia del divieto di fumo, nel quale rientra anche l’uso delle sigarette elettroniche, attiene alla tutela della salute e quindi rientra nella competenza concorrente dello Stato e della Regione ai sensi dell’art. 117 cost.
T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. III, 15/12/2014, n.3039
Fumo passivo
Il datore di lavoro risponde dei danni subiti dal proprio dipendente in seguito alla prolungata esposizione al fumo passivo di altri colleghi ai sensi dell’art. 2087 c.c., ed a prescindere dalla ricorrenza di una normativa che imponga uno specifico divieto di fumo sul luogo di lavoro.
Tribunale Messina sez. lav., 02/02/2011, n.283
Divieto di fumo nei locali pubblici
Legittimamente la circolare del Ministero della salute 17 dicembre 2004, in materia di divieto di fumo nei locali pubblici, impone una redistribuzione dei medici di controllo in quanto alle aree topografiche comprese tra la sede committente e l’abitazione del medico e, di conseguenza, al fine di pervenire all’ottimizzazione economica e gestionale del servizio, prevede l’assegnazione delle visite di controllo, in via prioritaria, ai medici inseriti nell’apposita lista che hanno il loro domicilio in prossimità dell’indirizzo di reperibilità indicato dal lavoratore, in quanto trattasi di regole che tendono a contenere la spesa dell’Inps entro una valenza evidentemente interna.
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 20/10/2010, n.32903
Divieto di fumo nei locali pubblici: i controlli medico-legali
La circolare del Ministero della salute 17 dicembre 2004, in materia di divieto di fumo nei locali pubblici, fissando le modalità dei controlli medico-legali e i loro compensi interviene in un ambito che non le è stato assegnato, pertanto non può dirsi interpretativa ma dispositiva e quindi adottata in violazione delle norme che stabiliscono i vari livelli di intervento.
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 20/10/2010, n.32903
Divieto di fumo nei locali aperti al pubblico
Sono illegittimi i provvedimenti amministrativi interpretativi ed attuativi delle norme di legge concernenti il divieto di fumo nei locali aperti al pubblico, nella parte in cui impongono ai soggetti responsabili di tali locali, o loro delegati, l’obbligo di richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza del divieto di fumare e di segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento dei trasgressori ai pubblici ufficiali competenti a contestare la violazione e ad elevare il conseguente verbale di contravvenzione.
Consiglio di Stato sez. V, 07/10/2009, n.6167
Fumo passivo: risarcimento danni
Non essendo la potestà legislativa suscettibile di coazione, non può essere accolta la domanda di risarcimento danni da esposizione a fumo passivo per la non adozione, anteriormente alla entrata in vigore della l. n. 3 del 2003, di un provvedimento legislativo di divieto di fumo nei locali pubblici diversi da quelli indicati dall’art. 1 l. n. 584 del 1975.
Tribunale Venezia sez. III, 06/06/2008
L’esposizione al fumo passivo
In materia di divieto di fumo viene in rilievo un bene, quale la salute della persona ugualmente pregiudicato dall’esposizione al fumo passivo sull’intero territorio della Repubblica e dunque non suscettibile di ottenere protezioni diverse alla stregua di valutazioni differenziate rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali; pertanto, è incostituzionale per violazione dei principi fondamentali della legislazione nazionale evocati dagli art. 9 n. 10) e 5, statuto regione Trentino Alto Adige, la l.prov. Bolzano 25 novembre 2004 n. 8. in quanto intende sostituire una propria disciplina organica a quella statale vigente sui divieti di fumare nei locali pubblici, non spettando alla Corte costituzionale valutare le motivazioni sociali e politiche dedotte alla base della disciplina censurata.
Corte Costituzionale, 16/02/2006, n.59
Divieto di fumo nei locali chiusi
L’art. 51, l. 16 gennaio 2003, n. 3, che ha introdotto un generale divieto di fumo nei locali chiusi, con l’esclusiva possibilità di attrezzare all’uopo locali attigui come tali contrassegnati, si applica a tutti i locali pubblici, comprese le sale Bingo, a nulla rilevando la circostanza che queste ultime siano state attivate sotto la vigenza della l. 1 novembre 1975, n. 584, che prevedeva una diversa e meno pregnante disciplina.
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 01/08/2005, n.6057
Violazione del divieto di fumo
È infondata la q.l.c. dell’art. 52 comma 20 l. 28 dicembre 2001 n. 448, nella arte in cui modifica le sanzioni amministrative già previste dall’art. 7 l. 11 novembre 1975 n. 584 per la violazione del divieto di fumo e per la mancata esposizione, da parte di coloro cui compete, degli avvisi riportanti il divieto medesimo, in riferimento all’art. 117, comma 3, cost.
Corte Costituzionale, 19/12/2003, n.361
Gli effetti patogeni del fumo
Con riguardo agli effetti patogeni del fumo, onde impedire il danno che può derivare al bene primario della salute, l’art. 1 della legge n. 584 dell’11 novembre 1975, che espressamente commina il divieto di fumare in determinati locali con specifica considerazione dei soggetti che, in quanto non fumatori, subiscono gli effetti nocivi dell’altrui fruizione del tabacco, è destinato a disciplinare il predetto divieto di fumo solamente in quei locali in cui si realizzi una permanenza di pubblico che vi accede onde usufruire dei servizi o dell’attività prestati dai pubblici dipendenti: detta norma, viceversa, non ha inteso stabilire il divieto di fumare nei locali pubblici destinati ad attività di lavoro del personale dipendente e nei quali non è prevista, seppure non vietata, la presenza del pubblico.
T.A.R., (Lazio) sez. I, 17/03/1995, n.462
Divieto di fumare nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione
Il divieto di fumare nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione, a tutela dal c.d. fumo passivo, è da intendersi circoscritto ai luoghi ordinariamente aperti al pubblico, ivi compresi quelli in cui gli utenti possono usufruire dei servizi, mentre non va esteso ai luoghi di lavoro dei dipendenti pubblici, in cui l’accesso al pubblico sia solo occasionale.
T.A.R., (Lazio) sez. I, 17/03/1995, n.462
Il fumo dovrebbe essere vietato anche nei pressi dei monumenti pubblici di particolare valore storico ed artistico in quanto insieme allo smog, danneggia non solo la salute dell’uomo ma anche le opere d’arte, che possono deteriorarsi a causa delle sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera.
I danni cagionati alla salute dal fumo sono rilevanti, soprattutto se si considera che il fumo da sigaretta è la prima causa di tumore ai polmoni. Fumare provoca anche la broncopneumopatia cronico-ostruttiva, una ostruzione delle vie aeree che rende difficoltosa la respirazione oltre a peggiorare l’asma e la tubercolosi.Il fumo, inoltre, può avere ripercussioni negative sull’apparato genitale maschile, può essere causa di una riduzione della fertilità nelle donne ed aumenta il rischio di malattie cardiache.Per quanto riguarda il fumo passivo a casa o nei posti di lavoro, anche per i non fumatori aumenta il rischio di tumore ai polmoni.
Occorre incentivare le campagne informative soprattutto per i giovani e per le donne, per le quali è in aumento la mortalità per tumore al polmone, considerato che in Italia le sigarette causano annualmente la morte di 80.000 persone.
Si sa che il fumo non fa male soltanto a chi lo aspira direttamente dalle sigarette ma anche a chi sta vicino ai fumatori. In pratica, è come se chi non ha mai preso il vizio e tiene alla propria salute si facesse fuori una parte del pacchetto di sigarette che il familiare, l’amico o il collega fumano durante il giorno. Basti pensare che, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ogni anno 6 milioni di persone perdono la vita a causa del tabacco e 600mila muoiono per lo stesso motivo senza avere mai toccato una sigaretta. Oggi, però, c’è un’ampia diffusione dei vaporizzatori tra chi non vuole o non riesce a rinunciare a «fare qualche tiro» e alla sua razione di nicotina.
Gli esperti sostengono che il fumo passivo sia il maggiore fattore inquinante degli ambienti chiusi e che provochi, come abbiamo accennato, oltre 600mila decessi ogni anno in tutto il mondo. Persone che muoiono prevalentemente di cancro, per giunta acquisito da chi ha la brutta abitudine di fumare vicino agli altri. La maggior parte dei tumori si focalizzano sui polmoni, ma il fumo, diretto o passivo che sia, può provocare altre neoplasie come il cancro al seno, al collo dell’utero, al pancreas o alla vescica.
Premesso che l’abitudine migliore sarebbe quella di smettere di fumare qualsiasi cosa, il fumo passivo da sigaretta elettronica non sarebbe così dannoso come quello della sigaretta tradizionale, della pipa o del sigaro. Ad oggi, infatti, non esistono prove concrete che dimostrino degli effetti nocivi sulla salute provocati dai vapori emanati dall’e-cig. O, almeno, non così gravi.La sostanza che produce il fumo sintetico è il glicole propilenico, cioè la stessa che viene usata ad esempio nelle discoteche o nei concerti per produrre l’effetto speciale del fumo sulla pista o sul palcoscenico. Tuttavia, inalare in modo prolungato questa sostanza può causare irritazione delle vie aeree e tosse. In casi estremi, si può arrivare all’asma o alla rinite, cioè all’infiammazione delle vie aeree superiore.Gli altri «ingredienti» aspirati con la sigaretta elettronica sono gli aromi. Non è detto che siano dannosi, ma anche questi possono provocare delle irritazioni quando vengono inalati caldi. Uno di questi è il diacetile, usato ad esempio nella produzione del burro. Un aroma sicuro, certamente, ma che se inalato spesso, a lungo ed in grandi quantità può provocare una bronchiolite, cioè un’infiammazione dei bronchioli.Tutto, comunque, è da appurare. Non mancano gli esperti che sostengono come gli idrocarburi policiclici aromatici emanati dall’e-cig possano risultare cancerogeni per chi è costretto a subire il fumo passivo. Così come la nicotina sprigionata dalla sigaretta elettronica non è destinata a dissolversi nell’ambiente ma può depositarsi su qualsiasi superficie (un mobile, un divano, un vestito).
Ho necessità di inviare una comunicazione all’amministratore del condominio, affinché rimanga agli atti per eventuali ulteriori provvedimenti legali. In breve, chiedo che un balcone non venga utilizzato per fumare perché il fumo di sigaretta da lì immesso (a causa anche della carente ventilazione naturale in quella parte di edificio) oltre a entrare nell’appartamento direttamente contiguo, in cui abito, rimane comunque stagnante, troppo a lungo, nel balcone. Nel documento non ancora compilato, per evitare errori/inammissibilità di formulazione/sostanza, sono necessarie altre voci (data, luogo di nascita,…)? È obbligatoria la firma in corsivo o è sufficiente riportare il proprio nome e cognome?
La comunicazione, così come predisposta, è sicuramente idonea a formalizzare una messa in mora nei confronti dei condomini che infastidiscono la Sua quotidianità con il fumo passivo. In un eventuale giudizio, Lei, infatti, potrà comprovare il tentativo di risolvere la questione stragiudizialmente, poi fallito per la mancata collaborazione della controparte.Inoltre, nella lettera potrebbe anche riservarsi il diritto di richiedere il risarcimento del danno esistenziale, utile come deterrente per chi, a seguito di quella lettera, non volesse porre fine a quella condotta molesta. In un caso trattato dalla Suprema Corte di Cassazione si è, infatti, stabilito che deve essere riconosciuto il diritto ad ottenere un risarcimento a titolo di danno esistenziale determinato da immissioni moleste di fumo di sigarette ai componenti di una famiglia che, abitando sopra un bar frequentato da molti fumatori, non può vivere liberamente nel proprio appartamento, in quanto la presenza degli impianti di filtraggio collocati proprio sotto le finestre dell’abitazione ne impedisce l’apertura (Cassazione civile, sez. III, 31/03/2009, n. 7875).
Inoltre, se dovesse ritrovare dei mozziconi di sigaretta, potrebbe perseguire gli autori anche penalmente per il reato di getto pericoloso di cose; in questo caso, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone (Cassazione penale, sez. III, 12/12/2017, n. 9474).I Suoi dati (codice fiscale, data e luogo di nascita) sarebbero opportuni per permettere ai destinatari di identificare il mittente della lettera nel caso in cui non sia facilmente individuabile per via dell’esistenza di una moltitudine di unità abitative; così come opportuno sarebbe inserire nome e cognome del proprietario dell’appartamento in questione, al fine di determinare con precisione a chi è rivolta la stessa.È necessaria la firma in corsivo, posto che un’intimazione senza sottoscrizione potrebbe non essere considerata valida.La comunicazione all’amministratore, con la quale allegare l’intimazione ai condomini interessati, è corretta, dovendo questi gestire tali controversie e mettere Lei a conoscenza di qualsivoglia novità in merito. Dopodiché, se la questione non dovesse risolversi, prima di agire legalmente, occorrerebbe precostituirsi la prova del futuro giudizio, misurando, tramite un tecnico, le immissioni moleste di fumo.In questo modo, eviterebbe che il vicino, a giudizio inoltrato, interrompendo temporaneamente la sua condotta molesta, ponga nel nulla gli accertamenti che saranno effettuati dal consulente nominato dal giudice, rischiando oltre il danno (il fumo molesto), anche la beffa (la perdita della causa).
Posso fumare al lavoro?
Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure che si rendano necessaria a tutelare la tua integrità psico-fisicae quella degli altri dipendenti. In altri termini, il tuo capo deve valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei suoi dipendenti e attivarsi per garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro e per evitare l’insorgenza di eventuali patologie. Naturalmente deve tener conto, non soltanto dei rischi direttamente derivanti dall’attività lavorativa svolta, ma anche di quelli che possono essere causati da altri fattori. Il fumo passivo, in quanto altamente nocivo anche nel caso di brevi esposizioni allo stesso, deve essere incluso nella valutazione dei rischi. Per evitare ogni questione legata a fumo e sigarette sul luogo di lavoro, il datore dovrebbe adottare una politica aziendale incentrata sui seguenti punti:
includere il fumo passivo nel documento di valutazione dei rischi;
informare i suoi dipendenti sui rischi da fumo;
individuare ed indicare le soluzione per evitare tali rischi (predisposizione di spazi per la pausa sigaretta o divieto assoluto di fumare sul luogo di lavoro);
esporre cartelli che indichino in quali spazi sia vietato fumare ed in quali sia consentito;
vigilare sull’osservanza delle regole;
definire gli interventi da attuare in caso di trasgressione delle regole e di lamentele da parte dei non fumatori o di contrasti tra dipendenti fumatori e non fumatori.
Il datore di lavoro, il quale ometta di valutare i rischi derivanti dall’esposizione passiva al fumo, il quale non applichi le misure necessarie a garantire la salubrità degli ambienti e non segnali il divieto di fumare con apposita cartellonistica, può essere sanzionato per inosservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro. Oltre alla sanzione, rischia di essere chiamato a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali da te subìti, a causa del fumo passivo. Sul punto, si è pronunciata la Corte di Cassazione, secondo cui il datore, il quale non faccia rispettare il divieto di fumo in azienda, deve risarcire il danno esistenziale per il fumo da sigarette, involontariamente e ripetutamente inalato dal proprio dipendente. In particolare, è stato evidenziato come la ripetuta esposizione al fumo passivo determini, per il dipendente non fumatore, una condizione di disagio e di pericolo di gravi danni alla sua salute nel lungo periodo. Inoltre, verrebbe ad essere intaccato un diritto costituzionalmente garantito, come quello al lavoro, nel quale è incluso il diritto di ciascuno a lavorare in condizioni di sicurezza per la propria integrità psico-fisica.Ne consegue che, il datore di lavoro, il quale di fronte al comportamento trasgressivo dei tuoi colleghi fumatori, ometta di intervenire nei loro confronti, è da ritenersi responsabile dei danni patrimoniali e non patrimoniali da te sofferti e, quindi, può essere condannato al risarcimento. Addirittura, è stato qualificato come mobbing il comportamento del capo che non faccia nulla per impedire ai suoi dipendenti di fumare in azienda, benché sia cosciente del danno che ne deriva ad uno o più lavoratori (infiammazione delle vie respiratorie, fastidi alla vista, ecc.).La condotta di mobbing si ritiene integrata soprattutto nel caso in cui la mancata adozione di misure contro al fumo passivo sia intenzionalmente diretta a perseguitare il lavoratore, sì da costringerlo a presentare le sue dimissioni. In tali casi, aumenta l’entità del risarcimento che puoi richiedere all’azienda.
Si può ammettere o vietare l’uso della sigaretta elettronica?
Il datore di lavoro, il quale è tenuto a garantire la salubrità degli ambienti e tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori, ha piena facoltà di ammettere o vietare l’uso della sigaretta elettronica in azienda, soltanto dopo aver compiuto un’attenta valutazione dei rischi. Nel caso in cui ne ammetta l’uso, deve predisporre appositi spazi per chi voglia svapare, sì da non esporre a fastidi o rischi te e gli altri non fumatori. Ove l’uso venga vietato, il datore deve esporre cartelli ben visibili e vigilare sul comportamento dei suoi dipendenti. In ogni caso, il tuo capo deve intervenire nei confronti del collega che vìoli le regole. In mancanza, potrai avanzare lamentele o agire contro di lui.
Come posso chiedere risarcimento per fumo passivo?
Se il datore di lavoro non fa di tutto per evitare che i dipendenti fumino è personalmente responsabile. Significa che dovrà risarcire la vittima del fumo passivo non potendo scaricare la colpa su chi ha contravvenuto al divieto. È questo l’indirizzo espresso dalla Cassazione. La normativa sull’obbligo di risarcimento alle vittime del fumo passivo sul lavoro si ricava sempre dal codice civile ed è diretta conseguenza del dovere – esposto in precedenza – di garantire idonee condizioni di sicurezza psicofisica dei dipendenti.Nel caso di specie sono bastati 14 anni di fumo passivo, a un dipendente di Poste Italiane, per contrarre un tumore alla faringe. Subito è scattata la causa contro l’azienda, colpevole di non aver impedito il fumo negli ambienti lavorativi. Per i giudici, prima in tribunale, poi in Corte d’Appello e infine in Cassazione, è assolutamente legittima la pretesa avanzata dal lavoratore.Nessun dubbio, in sostanza, sul «nesso» fra «patologia diagnosticata e attività lavorativa». Soprattutto tenendo presente che, come certificato da un consulente, «l’uomo era stato esposto in modo significativo all’inalazione di fumo passivo – riconosciuto, secondo le acquisizioni della scienza medica, quale causa di cancro delle vie aeree superiori – per quattordici anni e per una media di sei ore al giorno».Irrilevante, ribattono i Magistrati del Palazzaccio, il richiamo dell’azienda all’«intervallo temporale» tra la cessazione del rapporto di lavoro – risalente al febbraio del 1994 – e l’insorgenza della patologia, avvenuta nel dicembre del 2000.
Non basta dire «il mio collega fuma troppo davanti a me» per chiedere un risarcimento per fumo passivo: ci devono essere, infatti, queste circostanze:
si deve aver subito un danno;
ci deve essere un comportamento scorretto o illegittimo da parte di qualcuno;
ci deve essere un nesso causale provato tra il comportamento scorretto e il danno subito.
Il diritto alla pausa sigaretta non deve mai sfociare in un abuso, ma può essere sanzionato?
Se sul luogo in cui lavori sono presenti appositi spazi per i fumatori, tali da tenere al riparo dal fumo te e gli altri non fumatori, il datore di lavoro deve controllare che nessuno fumi ovunque gli venga in mente e quando gli venga in mente. Premesso che il divieto opera anche al di fuori dell’orario di lavoro, nel caso in cui un collega venga beccato a fumare in spazi in cui ciò è vietato, o nel caso sia tu stesso a segnalare il fatto, il datore di lavoro deve prendere dei provvedimenti nei confronti del dipendente indisciplinato. Può essere anche attivato un procedimento disciplinare che comporti l’irrogazione di in una sanzione, pur sempre proporzionata alla violazione commessa. Tale procedimento disciplinare può anche sfociare in un licenziamento, ma soltanto nei casi più gravi. Pensa all’ipotesi in cui la sigaretta venga accesa vicino a materiali facilmente infiammabili, incendiabili o esplodenti (legno, archivi cartacei, solventi, prodotti chimici vari, ecc.), con pericolo per la tua incolumità e per quella degli altri dipendenti, nonché per i beni dell’azienda
Non si considera grave, ad esempio, il caso in cui il tuo collega sia stato scoperto una volta soltanto a fumare nei bagni oppure il caso in cui si sia preso arbitrariamente una piccola pausa per fumare. Si reputa grave, invece, il comportamento reiterato, nonostante i continui rimproveri. In questo caso si configura una giusta causa di licenziamento perché l’insana abitudine del tuo collega, posta in essere ripetutamente malgrado i rimproveri dei superiori, crea una situazione di pericolo per la tua salute ed incolumità. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza, il licenziamento deve essere l’ultima soluzione cui ricorrere, la sanzione residuale per quei comportamenti più gravi che non consentono più la prosecuzione del rapporto di lavoro per aver compromesso la fiducia che il datore riponeva nel suo dipendente. Non ha alcun rilievo che un danno alla tua salute o alle cose si sia effettivamente prodotto. Ciò che conta è che si sia verificata una situazione di pericolo, anche soltanto potenziale. Devi inoltre tener presente che, il comportamento del tuo collega, il quale abbia determinato tale situazione di pericolo, si riterrà aggravato in presenza di cartelli di divieto ben visibili.
chi subisce un danno da fumo passivo al lavoro ha qualche diritto?
Secondo la Cassazione, sì.La Suprema Corte, con una recente sentenza, ha stabilito che anche in assenza di una normativa specifica il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a tutelare la salute dei propri dipendenti. Il caso specifico riguardava un impiegato dell’Asl Roma D deceduto a causa dell’esposizione al fumo delle sigarette di due colleghi con cui aveva lavorato per anni in una piccola stanza, oltre che delle radiazioni che arrivavano dal vicino centro di radiologia.Inutili le argomentazioni dell’Asl, secondo cui non era chiaro il nesso di causalità tra i fattori e la malattia del dipendente e, in più, la normativa sul divieto di fumo in vigore ai tempi si riferiva solo a determinati locali per prevenire il rischio di incendi.La Cassazione, però, non la vede così. I giudici della Suprema Corte hanno rispolverato l’articolo 2087 del Codice civile, che recita: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». In altre parole: anche se non c’è una legge che vieta espressamente di accendere una sigaretta in un determinato locale, se il fumo può risultare dannoso per qualcuno spetta al datore di lavoro imporre il divieto per tutelare i dipendenti.Risultato: l’Asl è stata condannata a risarcire gli eredi del defunto con 200mila euro.
Il divieto di fumare si estende anche agli studi professionali ed agli uffici aperti unicamente ad utenza interna come, tipicamente, alcuni uffici bancari o l’ufficio di ragioneria di un’azienda. Inoltre, è vietato fumare negli spazi comuni dei condomini ad esempio nelle scale, nell’ascensore, ecc.Negli alberghi ed in genere nelle strutture ricettive il divieto interessa tutti gli spazi comuni (reception, bar, sale da pranzo, salotti, ecc.) mentre le camere possono essere assimilate alle private abitazioni. Tuttavia, è possibile prevedere camere per fumatori e per non fumatori secondo le preferenze dei clienti.
Il divieto vale, tra gli altri, per le scuole, gli ospedali, gli uffici della Pubblica Amministrazione, gli autoveicoli di proprietà dello Stato, di Enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per il trasporto collettivo di persone, i taxi, le metropolitane, i treni, le sale di attesa di aeroporti, stazioni ferroviarie, autofilotranviarie e portuali-marittime, le biblioteche, le sale di lettura, i musei, le pinacoteche, i bar, i ristoranti, i circoli privati, le discoteche, le palestre, le sale corse, le sale gioco, le sale video game, le sale Bingo, i cinema multisala, i teatri.