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Servizio di ricerca persone tramite foto: è legale?

29 Febbraio 2020
Servizio di ricerca persone tramite foto: è legale?

Chiedo un parere circa la fattibilità legale di un servizio di ricerca di persone tramite immagini: il servizio consentirebbe a ciascun utente di caricare una foto di persona e riceverne in risposta una serie di volti che un software di riconoscimento facciale individua come simili tra quelle pubblicate sul web nei social networks.

Il servizio è apparentemente analogo a quello attualmente offerto da Google in cui l’utente carica una foto e ne ottiene come responso delle immagini cromaticamente simili, ma opererebbe tramite riconoscimento facciale in maniera mediata da una banca dati costituita da immagini reperite sul web o all’interno di social network.

È lecito costituire una banca dati di immagini pubblicate sul web e sui social network (solo immagini del profilo pubbliche)?

Sarebbe lecito fornire la possibilità di ricercare una immagine ed ottenerne in risposta una serie di foto profilo caricate da altri utenti sul web o su social network?

Bisogna partire dal presupposto che, contrariamente a quanto si possa pensare, le immagini di profilo pubblicate su Facebook restano di proprietà dell’autore: non è pertanto lecito riutilizzarle.

Per la precisione, l’utente è proprietario di tutti i contenuti e delle informazioni pubblicate sul social network; ciò significa che foto e video sono coperti da diritti di proprietà intellettuale: oltre all’autore, solo Facebook può utilizzare questi contenuti, in quanto possiede una licenza non esclusiva e trasferibile.

Da tanto deriva che chi pubblica le immagini prelevate dal profilo Facebook altrui commette un reato ed è tenuto a risarcire sia il danno patrimoniale che quello morale, connesso al mancato riconoscimento della titolarità del materiale fotografico.

Chi copia l’altrui foto, inoltre, risponde della violazione del diritto d’autore (Trib. Roma, sent n. 12076 del 01/06/2015):  l’art. 88 della legge n. 633/41 (legge sul diritto d’autore) ha previsto il diritto esclusivo dell’autore di riproduzione, diffusione e commercializzazione dell’opera fotografica.

Un conto, però, è ripubblicare un’immagine prelevata da un social network in un altro sito web o in una fonte differente, come un giornale, un conto è condividerla nello stesso social network: quest’ultimo fatto non costituisce un reato, essendo la condivisione un’azione tipica di Facebook.

Sebbene la certezza assoluta si potrebbe ricavare solamente leggendo tutte le condizioni d’uso di ciascuna piattaforma, quanto detto per Facebook può estendersi praticamente alla totalità dei social network. Ciò significa che di nessuna immagine tratta da un social network se ne può fare un uso diverso dalla condivisione sul social stesso (esistono poi casi eccezionali, tipo quelli dettati da motivi di cronaca, ma anche qui bisogna valutare da caso a caso).

Quanto detto risponde in gran parte al quesito: non si può inviare la foto di altre persone, nemmeno se presa dal profilo pubblico di un social. Ciò perché la foto appartiene al suo autore, e la pubblicazione sul social non fornisce automaticamente l’autorizzazione a chiunque di farne ciò che si vuole.

Il problema si sposta poi sul crinale della privacy: poiché la ricerca non avviene “cromaticamente” come fa Google, ma mediante raccolta di informazioni sparse sul web (da ricordare che le immagini che ritraggono una persona sono dati sensibili o particolari, secondo il Gdpr), creare una banca dati contenente tutte le immagini profilo pubblicate potrebbe costituire una violazione del diritto alla riservatezza, atteso che le suddette immagini verrebbero gestite e messe a disposizione per una ricerca. Come ricordato, infatti, non si può disporre delle foto profilo altrui, nemmeno se visibili al pubblico.

Ciò che potrebbe essere fatto è, al più, creare una banca dati contenente i link ai siti e social network ove le immagini sono state pubblicate, evitando così di violare il diritto d’autore e la privacy: così facendo, infatti, ogni immagine verrebbe ricondotta alla legittima fonte. Altrimenti, occorrerebbe stipulare delle convenzioni con ciascun sito affinché venga concesso il consenso all’impiego di immagini di cui legittimamente si è in possesso grazie all’iscrizione dell’utente.

In assenza di tale convenzione, bisognerebbe chiedere il consenso a ciascuna persona ritratta: in questo senso, si potrebbe creare un servizio ove spontaneamente le persone rilasciano i propri dati e le proprie foto affinché vengano inserite in una banca dati e messe a disposizione di chi le cerca. Potrebbe funzionare per persone in cerca di visibilità o liberi professionisti, ai fini pubblicitari.

In sintesi, non si ritiene lecita la gestione delle immagini e delle informazioni altrui; non a caso, quando si aderisce a un social o ad altri siti si sottoscrivono le condizioni d’utilizzo esclusivamente con il sito o il portale a cui ci si iscrive (la famosa licenza d’uso). Il rapporto di utilizzo dei dati forniti, dunque, è esclusivo tra l’utente e la piattaforma a cui ci si è iscritti: non ci si può appropriare dell’immagine altrui, gestendola e magari inviandola a chi la richiede.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva



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