Parcheggio pubblico su proprietà privata: come difendersi?


Ho acquistato un terreno di mq 2500, classificato urbanisticamente come bosco, nelle vicinanze della mia abitazione. Il terreno non aveva registrato tavolarmente nessun vincolo servitù.
Ho fatto confinare da un professionista i limiti della mia nuova proprietà e nell’apposizione dei confini si è scoperto che nella particella acquistata (con relativo atto notarile) era inserito un parcheggio ad uso pubblico di 5 posti macchina, che il comune aveva costruito anni prima, in abuso ed in spregio all’altrui proprietà. Il comune nel corso degli anni ha sempre messo ha disposizione pubblica il parcheggio.
Per poter fare dei lavori sulla nostra proprietà, nonché per esimerci da responsabilità verso terzi sul parcheggio, abbiamo contattato il comune il quale ha subito rivendicato l’uso del parcheggio e paventando il fatto di farci un azione di usucapione. Come dobbiamo comportarci?
Se sul terreno non grava alcun vincolo desumibile da visura ipocatastale, allora il Comune ha torto. In altre parole, l’area destinata a parcheggio, per poter essere lecita, deve risultare dagli atti: in mancanza, non è possibile adibire il suolo privato a uso pubblico.
Se il Comune volesse far valere l’usucapione dovrebbe intraprendere una causa lunga e complessa, in quanto dimostrare l’usucapione non è affatto semplice: occorrerà innanzitutto tentare la conciliazione bonaria innanzi a un mediatore; in caso di esito negativo, bisognerà esperire l’azione giudiziaria vera e propria, ove il Comune dovrà dimostrare, con ogni mezzo di prova, il possesso ultraventennale del suolo.
A sommesso avviso dello scrivente, occorre diffidare formalmente per iscritto l’ente pubblico, invitandolo a eliminare le eventuali costruzioni installate per favorire il parcheggio. In caso di esito negativo, si potrà citare in tribunale il Comune con azione di rivendicazione (art. 948 cod. civ.), sempre previo tentativo di mediazione.
Prima di procedere in tal senso, però, occorre essere certi che sul terreno non insista alcun tipo di vincolo, né che in passato vi sia stato un provvedimento ablativo della pubblica amministrazione, cioè un provvedimento con cui si è sottratta porzione della proprietà a fronte del pagamento di un indennizzo.
Peraltro, la trasformazione di un suolo in parcheggio potrebbe rappresentare un’illecita mutazione di destinazione dell’area, se non autorizzata dal Comune in conformità al piano regolatore generale: la destinazione di terreno privato a parcheggio pubblico, infatti, può essere impressa solo in base a previsioni di tipo urbanistico (potendo imporre, peraltro, un vincolo conformativo e non espropriativo, senza necessità di pagare alcun indennizzo).
Secondo la giurisprudenza (Cons. Stato, II sez., n.3546/03; V Sez., n. 4102 del 2003), tutte le volte che le modificazioni unilateralmente realizzate dal proprietario configurano un mutamento della destinazione d’uso, con appesantimento, rilevabile e documentabile, dei carichi urbanistici o con manifesto contrasto con i vigenti assetti urbanistici di zona, è necessaria l’autorizzazione dell’Ente locale, per l’elementare e basilare esigenza collettiva di consentire allo stesso Ente locale di gestire in modo ordinato, equo e proporzionato, rispetto alla situazione reddituale degli amministrati, i carichi di urbanizzazione complessivamente considerati.
L’illecito del Comune, dunque, potrebbe essere doppio, perché non solo ha usurpato la proprietà privata altrui, ma ha anche realizzato un’illecita mutazione della destinazione.
Va peraltro ricordato quell’orientamento giurisprudenziale (sentenza 926/2011 del T.A.R. Sardegna) secondo cui «non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la destinazione agricola di un’area e la sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che la destinazione a zona agricola di un’area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l’edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna».
Tirando le fila di quanto detto sinora, se dalla visura ipocatastale, risalendo indietro nel tempo ai precedenti proprietari, non risulta alcun vincolo di destinazione né altro tipo di limitazione della proprietà, né provvedimenti ablativi dell’amministrazione, allora si dovrà diffidare formalmente il Comune, intimando il rilascio immediato del fondo e la rimozione di quanto costruito, pena il ricorso al tribunale per ottenere il rilascio forzoso dell’immobile, oltre al risarcimento dei danni.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva