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Chi lascia il cane a un’altra persona è responsabile?

10 Marzo 2023 | Autore:
Chi lascia il cane a un’altra persona è responsabile?

Responsabilità penale e civile del custode ed estensione al proprietario dell’animale: le risposte della legge e della Cassazione.

Se dovessi andare in vacanza e lasciare il tuo cane a un amico o a un familiare, cosa rischieresti se l’animale dovesse far del male a qualcuno o se, al contrario, il custode dovesse maltrattarlo? Potresti essere oggetto di una richiesta di risarcimento o di un procedimento penale? Chi lascia il cane a un’altra persona è responsabile?

Secondo il Codice civile [1], il proprietario dell’animale o chi, per conto di questi, lo ha in custodia deve risarcire tutti i danni cagionati dall’animale stesso, anche se si è smarrito o è fuggito. Tale responsabilità può venire meno solo dimostrando che il danno si è verificato per un caso fortuito (ossia imprevisto e inevitabile).

Il «caso fortuito» è di solito tutto ciò che avviene per una condotta imprevedibile e innaturale del terzo: non è il caso di un bambino che accarezza il cane contropelo ma lo è quello di chi gli tira la coda o gli calpesta volontariamente una zampa.

La legge, dunque, attribuisce la responsabilità del danno:

  • al proprietario del cane, cioè a chi risulta esserne titolare all’anagrafe canina;
  • al custode del cane, ossia alla persona che ha un rapporto di fatto con l’animale tale da consentirgli il controllo: si pensi al dog sitter o al coniuge del proprietario, al titolare della pensione a cui i cani vengono affidati quando i padroni sono in vacanza o al contadino che si prende cura del terreno incolto altrui custodendone anche i cani [2].

Il custode non può però essere anche il vicino di casa che, a titolo di favore, accetta di tenere l’animale del dirimpettaio finché questi è fuori per il week end. Infatti, secondo la Cassazione [3], per custode non deve intendersi chi detiene il cane per conto e nell’interesse del proprietario ma chi lo gestisce autonomamente e in modo indipendente, in vista del perseguimento di un interesse proprio ed autonomo rispetto a quello del proprietario (ad esempio il compenso).

Pertanto, il custode di un cane a titolo di mera cortesia, anche ove tenga con sé l’animale per lungo periodo, non risponde per il danno provocato a terzi dallo stesso. La suddetta forma di responsabilità sussiste solo a carico del proprietario dell’animale o di chi ne faccia uso nel proprio interesse, concetto quest’ultimo non riconducibile alla mera custodia. In ogni caso, il custode ha colpa ove sia provato che nella custodia dell’animale ha violato comuni regole di prudenza e diligenza [4].

Sotto un aspetto penale, tuttavia, la responsabilità per il reato di lesioni colpose determinato dal morso del cane resta solo in capo a chi ha in gestione l’animale, sia esso il proprietario o il custode anche a titolo di cortesia.

Se l’animale muore o viene maltrattato chi ne risponde?

Immaginiamo ora il caso in cui un uomo, proprietario di un cane, vada in vacanza e lasci l’animale alla moglie. Quest’ultima, incapace di gestirlo, lo picchia e poi lo abbandona in una piazzola in mezzo alla strada. Chi è responsabile per il reato di abbandono di animale?

Secondo la Cassazione [5], anche il padrone è colpevole per i reati perpetrati ai danni del quadrupede se è in grado di rappresentarsi l’esito della vicenda. Se cioè la situazione lascia ben intendere che il custode maltratterà il cane e il proprietario è in grado di intuire ciò, quest’ultimo ha l’obbligo di impedire che tale evento si verifichi.

Tutto quindi si gioca su un piano di probabilità e prevedibilità: laddove la condotta vietata sia infatti ipotizzabile alla luce delle pregresse vicende e della psicologia delle parti, allora può configurarsi un’estensione della responsabilità anche in capo a chi lascia l’animale in gestione a un altro.

Più precisamente, la Cassazione richiama il principio secondo cui «il proprietario, che abbia affidato il cane a una terza persona, risponde dell’abbandono solo quando detto abbandono sia concretamente prevedibile».


note

[1] Art. 2052 cod. civ.

[2] Cass. sent. n. 45247/2018.

[3] Cass. sent. n. 22632/2012.

[4] Trib. Genova, sent. del 24.03.2010.

[5] Cass. sent. n. 6609/20 del 20.02.2020.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2019 – 20 febbraio 2020, n. 6609

Presidente Lapalorcia– Relatore Corbetta

Ritenuto in fatto

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Napoli-sezione distaccata di Ischia condannava Ni. Bu. e Gi. Bu. alla pena di 800 Euro di ammenda ciascuno, con i doppi benefici di legge per entrambi gli imputati, per il reato di cui all’art. 727 cod. pen., a loro contestato per avere abbandonato, legandolo a un palo sito all’interno del presidio sanitario di Villa romana, un cane di razza bulldog con microchip di riconoscimento n. (omissis…). Fatto commesso in Ischia il 11/10/2012.

2. Avverso l’indicata sentenza, Ni. Bu., per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. e 727 cod. pen. Assume il ricorrente che la motivazione con cui il Tribunale ha affermato la penale responsabilità dell’imputato – e cioè perché era consapevole dell’avversione della ex moglie nei confronti del cane – è frutto di motivazioni apodittiche e illogiche; per un verso, il Tribunale, dopo avere ritenuto credibile la testimonianza della teste Postiglione nella parte in cui ha affermato che il cane si trovasse nella disponibilità del Bu., avrebbe dovuto motivare le ragione per cui Gi. Bu. non avrebbe mai mostrato particolare affetto nei confronti dell’animale; per altro verso, la teste Lucia Dorè ha spiegato di avere appreso che la Bu. abbandonò il cane perché la figlia del nuovo compagno era allergica ai peli.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. e 727 cod. pen. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale non avrebbe correttamente applicato il principio secondo cui il proprietario, che abbia affidato il cane a un terzo, risponde dell’abbandono solo quando detto abbandono sia concretamente prevedibile, circostanza in relazione alla quale il Tribunale ha omesso qualsivoglia motivazione, e tenendo conto che il cane si trovava nella disponibilità di Gi. Bu. da quasi due anni.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. e 727 cod. pen. Secondo il ricorrente, difetterebbero gli elementi costitutivi del reato in esame, considerando che il cane, lasciato per due ore all’ingresso del centro veterinario, non si trovò sprovvisto di custodia e cura e, comunque, esposto a pericolo per la propria incolumità.

2.4. Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 cod. proc. pen. Deduce il ricorrente che il reato, accertato il 11/10/2012, sarebbe in ogni caso prescritto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Per dare un ordine logico alla trattazione delle questioni dedotte, occorre prendere le mosse dal terzo motivo, con cui il ricorrente contesta la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.

3. Il motivo è manifestamente infondato.

3.1. Invero, va ricordato che integra la contravvenzione di abbandono di animali (art. 727, comma primo, cod. pen.) la condotta di distacco volontario dall’animale (Sez. 3, n. 18892 del 02/02/2011 – dep. 13/05/2011, Mariano, Rv. 250366), che consiste nell’interruzione della relazione d custodia e di cura instaurata con l’animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all’abbandono, quali le sofferenze o la morte dell’animale, eventi che fuoriescono dal perimetro della tipicità disegnato dalla norma incriminatrice.

3.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha correttamente ravvisato gli estremi oggettivi del reato ex art. 727 cod. pen., avendo accertato che il cane, in data 11/10/2012, fu casualmente trovato legato a un palo all’esterno del presidio sanitario a.s.l. da un dipendente di detto presidio, Ciro Sarno, il quale, grazie al microchip, risali al proprietario, ossia al Bu., che però non riuscì a contattare perché assente dall’isola per motivi di lavoro, come riferitogli dalla madre dell’imputato; costei precisò che il cane era stato affidato alla moglie del Bu., la quale, sebbene convocata, non passò a prendere l’animale, che fu trasferito al canile e successivamente ritirato da un delegato del Bu..

E’ perciò evidente che il cane sia stato abbandonato, essendo stato lasciato in balia di sé stesso per un apprezzabile lasso di tempo, legato a un palo, e senza essere affidato alla custodia e alla cura di altro soggetto.

4. Il primo motivo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente per la stretta correlazione logica e giuridica delle questioni dedotte, sono manifestamente infondati.

4.1. Secondo quanto accertato dal Tribunale, il cane, al momento del fatto, era nella materiale disponibilità della moglie del Bu., come riferito al Sarno dalla madre dell’imputato, anche considerando che l’imputato medesimo era assente dall’isola per motivi di lavoro dal 01 al 23 novembre.

Il Tribunale ha altresì accertato l’inesistenza di accordi tra il Bu. e la moglie, che avevano deciso di separarsi legalmente e di interrompere la coabitazione, riguardo a chi dei due dovesse prendere in custodia ed accudire il cane in modo esclusivo.

4.2. Quanto all’elemento soggettivo, il reato ex art. 727, comma 1, cod. pen., modellato come illecito contravvenzionale, può essere indifferentemente realizzato con dolo o con colpa. Nessun ostacolo, perciò si oppone alla configurabilità del dolo nella forma eventuale, che si realizza quando l’agente, nonostante si sia chiaramente rappresentato la verificazione dell’abbandono dell’animale, si sia comunque determinato ad agire, anche a costo del verificarsi dell’evento lesivo.

Nel caso in esame, il Tribunale si è attenuto al principio ora enunciato: ritenuta la penale responsabilità di Gi. Bu., non ricorrente, quale autrice materiale dell’abbandono, ha ravvisato in capo all’imputato non la colpa, come dedotto dal ricorrente con il terzo motivo, ma il dolo eventuale, avendo il Bu. accettato che la moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, lo abbandonasse: previsione, questa, sorretta da solidi elementi di fatto, ben noti all’imputato, quali la circostanza che era stato proprio il Bu. a portare in casa il cane, nonostante il dissenso della moglie a causa sia del costo dell’animale, che era stato pagato 1.400 Euro benché le condizioni economiche della famiglia non fossero floride, sia, e soprattutto, del fatto che la donna non amasse gli animali, e considerando che, oltretutto, il cane in casa rompeva le sedie, sbavava continuamente, tanto che la donna era esasperata da questa situazione.

Alla luce di queste circostanze, è perciò evidente che il Bu. si sia rappresentato la circostanza che la donna, a cui aveva affidato il cane durante il suo periodo di assenza per motivi di lavoro, potesse concretamente abbandonare il cane medesimo: rappresentazione che, tuttavia, non ha impedito al Bu. di agire, anche a prezzo che si verificasse l’abbandono, come poi è avvenuto.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

5.1. Il ricorrente, infatti, ai fini del computo della prescrizione non tiene conto del periodo di sospensione, pari complessivi a 329 giorni (dal 31/10/2016 al 20/03/2017 per istanza di rinvio del difensore, dal 20/03/2017 al 25/09/2017 per adesione del difensore all’astensione dalle udienze), che, sommandosi al temine di cinque anni previsto per le contravvenzione, fa si che il reato si sia prescritto il 09/11/2018, quindi dopo la pronuncia della sentenza impugnata.

5.2. Di conseguenza, trova applicazione il principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.


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