Coronavirus: quelle strane polmoniti e il mistero dei contagi


Giallo sui pazienti zero. Tra influenze e polmoniti anomale, si fa strada il sospetto che il virus circolasse da tempo in Italia ma che non sia stato riconosciuto.
Non sappiamo per quanto tempo ancora parleremo di Coronavirus. Altrettanto complicato è risalire, in Italia, alla genesi di questo virus che, di colpo, ha fomentato la psicosi delle mani pulite e delle mascherine introvabili. Mentre cerchiamo ancora i pazienti zero, quelli che per primi hanno diffuso il virus in Lombardia come in Veneto, comincia a farsi strada l’ipotesi che il Coronavirus fosse in Italia da tempo, solo che non era stato diagnosticato. Questo avrebbe reso possibile l’espandersi dei contagi.
Quelle strane polmoniti
A Castiglione D’Adda, nel Lodigiano, primo focolaio italiano della malattia, si erano ammalati in molti prima del ricovero del 38enne di Codogno. Parliamo di due paesi, Castiglione e Codogno, che distano poco più di 7 chilometri l’uno dall’altro. L’Adnkronos ha intervistato C.P., medico di famiglia attualmente in quarantena a Castiglione, che ha dichiarato come il patogeno, in Lombardia, “circolasse già da un po’”.
“La settimana prima – ha detto la dottoressa – avevo visto tante polmoniti insolite fra i miei assistiti. Buona parte è risultata essere da Coronavirus. Alcune avevano richiesto ricoveri, nonostante quest’anno l’epidemia di influenza fosse bassa. Però non c’erano particolari allerte. Per il nuovo Coronavirus tutto quello che dovevamo fare era chiedere agli assistiti se venivano dalla Cina, e in particolare dall’area a rischio. E non è che in una cittadina piccola come Castiglione d’Adda ci fosse tutta questa ressa di pazienti rientrati dalla Cina. I nostri assistiti quando facevamo la domanda si mettevano a ridere. L’unico protocollo da applicare era quello. Nessuno dei pazienti poi risultati positivi al Coronavirus aveva avuto contatti con la Cina”.
Se ne discuteva anche ieri a “Fuori dal coro”, la trasmissione condotta su Rete 4 da Mario Giordano. “Come mai di tutti i contagiati che abbiamo noi in Italia non ce n’è uno che venisse dalla Cina? – si è chiesto Pierluigi Bersani, ospite in puntata – Mi viene il dubbio che il virus ce l’avessimo in casa già prima dell’allarme”.
Il Coronavirus, del resto, nelle forme più blande, è quasi indistinguibile da un’influenza: provoca febbre, tosse, raffreddore. Da quanto abbiamo appreso dai casi finora accertati, si caratterizza per le difficoltà respiratorie tra i sintomi. È altamente probabile che le proporzioni dell’epidemia siano molto più vaste di quanto pensiamo ma questo, anziché preoccupare, dovrebbe, in una certa misura, rassicurare: è possibile che ci sia una quota di sommerso, cioè di casi di Coronavirus non diagnosticati in un recente passato, in cui la malattia ha fatto il suo decorso in forma leggera ed è scomparsa dopo qualche giorno, lasciando pensare a una comune forma influenzale.
Forse è questo che ci ha indotto in errore al punto da impedirci di accorgerci che il virus circolava già in tempi non sospetti. Una problematica, quella dell’effettiva portata dei contagi, che si è con tutta probabilità posta nei mesi scorsi e che continua evidentemente a porsi nel presente: i medici, infatti, sconsigliano di chiedere il tampone per il Coronavirus se non si è stati in contatto con i focolai italiani dell’epidemia, nel Lodigiano e nel Padovano.
Mortalità più bassa di quanto pensiamo
“Se i malati si sono rivolti al sistema sanitario – ha dichiarato nei giorni scorsi a Repubblica Pier Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa – si è pensato che fossero stati colpiti dall’influenza, oppure avevano sintomi così lievi che nemmeno sono andati dal dottore. I pazienti che vediamo adesso potrebbero appartenere alla seconda o terza generazione dei contagiati”.
Non può essere un caso, del resto, come ricorda la stessa dottoressa C.P., intervistata da Adnkronos, che fra i primi ammalati ci siano medici: non bastano pochi minuti di visita a un paziente contagiato per contrarre il Coronavirus. Evidentemente, il patogeno girava già almeno da una settimana, forse più.
L’allarme è cresciuto a partire dal primo caso diagnosticato e con le prime morti che, finora, hanno interessato, in Italia, prevalentemente pazienti in età avanzata. C’è la possibilità, secondo Carlo La Vecchia, ordinario di Epidemiologia all’Università di Milano, che il tasso di mortalità sia “molto inferiore, anche di dieci volte rispetto al 2-4%” calcolato finora.
La Vecchia lo ha dichiarato all’Adnkronos: “È molto verosimile che una grande parte di pazienti non si presenti nelle strutture sanitarie, per via di sintomi lievi o addirittura inesistenti”. Elemento che aumenterebbe il numero reale degli infettati da conteggiare per il calcolo della mortalità: “Se assumessimo che i contagiati fossero 10 volte più di quelli registrati, la mortalità” da 2019-nCoV “scenderebbe dal 2% al 2 per mille e non sarebbe sostanzialmente diversa da quella dell’influenza stagionale”. In questo caso, tuttavia, “il problema sanitario è maggiore – precisa La Vecchia – perché si tratta di un virus nuovo, e che può provocare polmoniti e insufficienza renale anche in persone non anziane bensì di mezza età”. Non portando, però, necessariamente alla morte che, anzi, resta per ora un’ipotesi residuale.