Nuovo dl intercettazioni: come impatta sulle nostre vite?


I cambiamenti introdotti dal decreto che più incidono sulla riservatezza degli indagati. E che, proprio per questo, preoccupano di più.
La fiducia al governo sul decreto legge intercettazioni confermata quasi in sordina, nel generale disinteresse attuale per qualunque questione che non sia il Coronavirus. Dopo il via libera al Senato, l’ok al governo per andare avanti sul decreto intercettazioni è arrivato anche alla Camera, con 304 voti favorevoli, 226 contrari e un astenuto. Ma qual è l’impatto concreto che il decreto, una volta approvato definitivamente, potrà avere sulle nostre vite? Per capirlo bisogna soffermarsi sui punti della riforma che più fanno discutere.
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Più possibilità di usare i trojan
Quello dei cosiddetti “captatori informatici” è probabilmente il nodo più intricato del dl: l’aspetto che meno piace a chi critica la nuova disciplina per la sua invasività. Il trojan altro non è che un software “iniettato” su un cellulare o su computer, per captare dati da questi dispositivi.
Enrico Costa, di Forza Italia, tra i più acerrimi detrattori della riforma, ne aveva elencato i pericoli in una nota diramata giorni fa: “È in grado, a discrezione dell’utilizzatore, di accendere la webcam, di attivare il microfono e di captare conversazioni, comportandosi come un intercettatore ambientale, di leggere qualsiasi dato venga archiviato all’interno del cellulare (dagli indirizzi in rubrica, agli sms, ai messaggi whatsapp, agli appunti salvati nelle note), di visualizzare le foto, di registrare la ‘tracciabilità’ del possessore del cellulare funzionando da gps, di catturare segretamente tutto ciò che viene digitato nel dispositivo, potendo quindi risalire anche ad eventuali password o numeri di carte di credito”. Motivi per i quali, a detta di Costa, il decreto andava necessariamente affondato. Ma non è andata così.
Già la precedente riforma Orlando, mai entrata davvero in vigore e di cui il nuovo decreto rappresenta una versione aggiornata, contemplava l’utilizzo dei trojan, così come la legge “Spazzacorrotti”. Il dl ne estende le possibilità di utilizzo. La Spazzacorrotti, rispetto alla riforma Orlando che limitava l’uso dei trojan a indagini su mafia e terrorismo, ne aveva ampliato le possibilità di utilizzo ai reati contro la pubblica amministrazione con una pena non inferiore nel massimo a 5 anni, anche nei luoghi di privata dimora. Va, però, indicato di volta in volta il motivo di questa scelta invasiva.
Con la nuova normativa, i trojan potranno essere piazzati nei cellulari o nei computer non solo dei pubblici ufficiali (cioè di chi ricopre cariche pubbliche con poteri di autorizzazione, deliberazione e certificazione) ma anche degli incaricati di pubblico servizio (cioè di coloro che svolgono servizi di pubblica utilità senza i poteri dei pubblici ufficiali). Significa, quindi, che un maggior numero di persone, potenzialmente, rischia di essere “spiato” anche dentro le mura di casa.
Più possibilità di usare alcune intercettazioni
Il nuovo dl prevede che le conversazioni captate a fini di giustizia nell’ambito di un’indagine possano essere usate come prova anche in altri procedimenti. Purché si tratti sempre di reati per i quali l’intercettazione è ammessa [1] e siano indispensabili e rilevanti per accertare una responsabilità penale.
”Io ti intercetto per un reato e poi posso molto più di prima utilizzarlo per un altro” ha affermato il presidente delle Camere penali italiane Giandomenico Caiazza, ai microfoni di “Radio anch’io”. Caiazza a questo proposito, ha parlato di “pesca a strascico dei reati” e ha lamentato la mancanza di “sanzioni per l’eventuale mancato rispetto” delle nuove norme.
Le intercettazioni, inoltre, potranno essere autorizzate dai giudici anche per i reati commessi in aiuto alle mafie. Quanto alla pubblicazione, invece, da un lato saranno pubblicabili senza conseguenze per i giornalisti che, quindi, non rischiano incriminazioni per violazione del segreto d’ufficio. Dall’altro conferma il divieto di divulgazione di tutte quelle intercettazioni non acquisite al procedimento, cioè non ritenute indispensabili ai fini della prova del reato. Un tentativo di proteggere la privacy di chi si trova al centro di un’indagine e impedire che aspetti collegati alla sua sfera più intima e personale finiscano sui giornali.
Più potere ai pm
Una differenza con la riforma Orlando riguarda proprio le modalità di esclusione di tutte quelle conversazioni private e non utili ai fini delle indagini. La riforma Orlando prevedeva che fossero gli investigatori, cioè coloro che materialmente eseguivano l’attività di intercettazione, a preoccuparsi di evitare che nel fascicolo finissero anche i colloqui più personali.
Altra novità è che questo compito spetterà ai pubblici ministeri. Una modifica che andrà ad aumentare il loro potere discrezionale ma anche le loro responsabilità in termini di riservatezza e sorveglianza: l’archivio digitale dove confluiranno i verbali delle intercettazioni sarà sotto la loro diretta responsabilità. E mentre l’Associazione nazionale magistrati plaude alla nuova normativa “che va nella giusta direzione”, ritenendo sia stato “migliorato il meccanismo di selezione” delle conversazioni intercettate, c’è anche chi, tra gli appartenenti alla categoria, esprime preoccupazione.
Per esempio, il togato di Magistratura indipendente Antonio D’Amato, interpellato da Adnkronos, sottolinea come si prevedano “nuovi oneri a carico dei pm senza risorse”, così “scaricando sull’autorità giudiziaria una serie di nuovi aggravi, come l’archivio informatico, senza dotare le procure delle risorse economiche necessarie”.
note
[1] art. 266 cpp.