Anemia falciforme: arriva una nuova terapia


La ricerca, coordinata a Verona, apre alla terapia genica e promuove trasfusioni di sangue.
L’anemia falciforme è una malattia genetica ed ereditaria del sangue. Una patologia presente in Europa (in particolare in Italia, Grecia e Albania), il cui nome si deve alla forma irregolare a falce (o mezzaluna) che assumono i globuli rossi. Una forma caratteristica che ne ostacola il movimento attraverso i vasi sanguigni, rallentando o bloccando il flusso del sangue.
Di recente, come riporta una nota dell’agenzia di stampa Adnkronos, la ricerca ha esplorato una terapia genica per l’anemia falciforme. Si tratta della possibilità di trapiantare cellule staminali ingegnerizzate che raggiungano l’ambiente del midollo osseo dei pazienti affetti da anemia falciforme, reso recettivo e normalizzato tramite trasfusioni croniche di sangue.
Uno studio su ‘Blood’, coordinato dal team dell’ateneo scaligero composto da Lucia De Franceschi, Alessandro Matte, Carmine Carbone, Davide Melisi e Wilson Babu Anand, dottorando con una borsa della Fondazione Cariverona, appartenenti al dipartimento di Medicina diretto da Oliviero Olivieri, ha condotto una ricerca che promuove un regime di trasfusioni di sangue per normalizzare l’ambiente del midollo osseo dei pazienti.
La ricerca, che si è guadagnata la copertina della rivista, è stata condotta in collaborazione con un gruppo statunitense della Harvard Medical School. Il lavoro “ha dimostrato come sia possibile normalizzare l’ambiente patologico e inospitale che si viene a formarenella nicchia midollare vascolare in presenza di anemia falciforme attraverso un regime trasfusionale cronico, per un periodo di 6 settimane, che assicuri una riduzione dei livelli dell’emoglobina patologica Sicke (HbS)”, spiega Lucia De Franceschi.
Questo ambiente “favorisce infatti eventi di trombosi locale associati a una forte risposta infiammatoria che perpetua e amplifica il danno. Nell’ottica dell’approccio in terapia genica – spiega ancora – questo significa creare un ambiente ospitale per le cellule ingegnerizzate e assicurare un buon attecchimento del trapianto di cellule staminali e il successo terapeutico con guarigione clinica del paziente”.
“Lo studio – prosegue – si è avvalso di un modello murino, che ha permesso di proseguire nelle conoscenze dei meccanismi di danno degli organi che caratterizzano questa malattia cronica invalidante e con alta mortalità”.
“Questa ricerca ci ha inoltre permesso di delineare dei possibili biomarcatori potenzialmente utili nella selezione del soggetto candidato alla terapia genica – conclude De Franceschi – e nel disegnare i protocolli clinici per preparare il paziente alla terapia genica o trapianto di cellule staminali, massimizzandone il risultato e migliorandone la sopravvivenza”.