Carcere per i giornalisti, l’Ordine potrà dire la sua


Il Consiglio nazionale interverrà nel giudizio di costituzionalità della norma che prevede la detenzione per chi lede la reputazione altrui a mezzo stampa.
L’Ordine nazionale dei giornalisti non resterà a guardare mentre la Consulta deciderà sull’eventuale incostituzionalità del carcere per i suoi iscritti. La Corte costituzionale ha deciso che il principale organo di rappresentanza della categoria ha tutto il diritto di esprimersi in merito. Lo ha reso noto la Consulta stessa, con un comunicato stampa divulgato dal suo sito web, che informa dell’ordinanza numero 37, depositata oggi (relatore Francesco Viganò). Nella nota si legge che viene dichiarata “ammissibile la richiesta di intervento dell’Ordine nel giudizio di costituzionalità sulle norme che puniscono con il carcere il reato di diffamazione a mezzo stampa. La causa – informa la Corte – sarà discussa in udienza pubblica il prossimo 21 aprile 2020″.
Indice
Giornalisti e carcere: si rischia fino a 6 anni
Una decisione importante per il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti (Cnog), che aveva presentato un’istanza di intervento a seguito di un processo al tribunale di Salerno: imputati un ex collaboratore e il direttore di una testata. L’avvocato del Sindacato unitario giornalisti Campania, in udienza, aveva avanzato un’eccezione di incostituzionalità della norma che prevede il carcere per i giornalisti che si macchino di diffamazione a mezzo stampa [1], con attribuzione di un fatto determinato [2], cioè attribuendo alla persona offesa una circostanza specifica che aggrava la lesione alla reputazione. Si rischia da uno a sei anni e, per il legale, questo contrasta con il dettato della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sulla libertà di espressione [3]. Il tribunale di Salerno, quindi, ha sospeso il processo e mandato gli atti ai giudici costituzionali per la decisione.
L’ordinanza della Corte costituzionale
“L’ordinanza – scrive la Consulta nel comunicato – ribadisce che, in base alle norme integrative sui giudizi davanti alla Corte, l’intervento del terzo deve essere giustificato da ‘un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio’. Tale interesse non è insito nella posizione di rappresentanza istituzionale della professione giornalistica, rivestita dal Cnog. A legittimare l’intervento del Cnog è la sua competenza a decidere sui ricorsi in materia disciplinare. La legge stabilisce infatti che le condanne penali che comportano interdizione dai pubblici uffici determinano automaticamente la cancellazione o la sospensione del giornalista dall’albo, mentre in ogni altro caso di condanna penale è previsto che il Cnog inizi l’azione disciplinare qualora il fatto offenda il decoro e la dignità professionali, ovvero comprometta la reputazione del giornalista o la dignità dell’Ordine”.
“Pertanto – continua la Corte – da un’eventuale condanna penale del giornalista e del direttore responsabile imputati nel procedimento da cui è nata la questione di costituzionalità deriverebbero specifiche conseguenze in ordine all’avvio dell’azione disciplinare, riguardanti la sfera dei poteri del Cnog e aventi a oggetto, ‘in modo diretto e immediato’, lo specifico rapporto giuridico sostanziale dedotto in quel giudizio (la pretesa punitiva statale nei confronti degli imputati)”.
La Corte di Strasburgo: “Carcere extrema ratio”
Al processo ai due giornalisti, nella sua eccezione di incostituzionalità, l’avvocato del Sindacato unitario giornalisti Campania ha citato due recenti sentenze con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia proprio per violazione della libertà d’espressione. Una è il caso Sallusti: 14 mesi di reclusione per diffamazione e omesso controllo su un articolo pubblicato dal “Giornale” nel 2007.
Il direttore scontò parte della pena ai domiciliari per poi ricevere la commutazione della detenzione in pena pecuniaria dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano; la Corte Edu ha condannato l’Italia a risarcire Sallusti per 12mila euro. Poi il caso Belpietro: altra condanna da Strasburgo allo Stato per aver inflitto 4 anni di carcere all’attuale direttore della Verità. In materia di carcere per i giornalisti l’orientamento europeo è quello di tutelare la libertà di stampa anche in caso di errori del cronista, senza infliggergli la sanzione penale più grave. Questo perché sapere di poter andare incontro alla detenzione carceraria provocherebbe nel giornalista il cosiddetto “chilling effect”, cioè un’inibizione per paura, impedendogli così di svolgere il suo mestiere serenamente.
La Corte Edu, come dichiara la sentenza sul caso Sallusti, dispone quindi che il carcere per i giornalisti sia generalmente incompatibile con la libertà di espressione, salvo circostanze eccezionali in cui, diffamando, vengano lesi gravemente altri diritti fondamentali, come in caso di istigazione all’odio o alla violenza. Il carcere per chi fa informazione, in pratica, dev’essere l’extrema ratio. C’è poi un rapporto del Consiglio d’Europa, datato 2007, nel quale si legge che gli Stati hanno una libertà di azione limitata nel disporre misure restrittive per i giornalisti, specie nell’ambito di questioni di interesse pubblico.
L’Odg: “Intervenga il Parlamento”
Il tribunale di Salerno, mandando gli atti alla Consulta, ha evidenziato come non serva scomodare normative internazionali: lo stesso articolo 21 della Costituzione garantisce una tutela primaria alla libertà di informazione e almeno un paio di sentenze recenti della Cassazione [4] vanno nella stessa direzione dell’orientamento europeo.
L’Ordine dei giornalisti, nel suo atto di intervento di 44 pagine, ha ricordato come “l’abnorme numero di iniziative giudiziarie temerarie” ha lo “scopo di colpire la libertà di stampa”, quindi “si è impegnato a mettere in campo strumenti idonei per sostenere i giornalisti”. “Occorre un segnale dal Parlamento al più presto – ha detto il presidente dell’Ordine Carlo Verna, in un suo recente intervento al Senato – sulle iniziative giudiziarie temerarie che costituiscono una vera emergenza che affievolisce la libertà di stampa e il diritto del cittadino a essere correttamente informato”.
note
[1] art. 595 codice penale.
[2] art. 13 legge n. 47/1948.
[3] art. 10 Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
[4] Cass. Sez. V sentenza n. 38721 del 19 settembre 2019; Cass. Sez. VI, sentenza n. 47204 del 7 ottobre 2015