La sola residenza non basta per ottenere le agevolazioni fiscali: è necessario anche il requisito della dimora abituale.
Lo Stato non può obbligarti a essere residente in un luogo piuttosto che in un altro, a meno che non intendi usufruire delle agevolazioni fiscali sulla prima casa. In tale ipotesi, infatti, la normativa stabilisce dei vincoli ben precisi. Vincoli che, se violati, implicano sanzioni tributarie piuttosto elevate.
Corre allora la necessità di informarsi bene in merito all’obbligo di residenza prima casa in modo da evitare possibili contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Di tanto hanno parlato spesso le aule di tribunale e, in particolare, le Commissioni Tributarie a cui è stato chiesto se il semplice fatto di vivere in un appartamento possa bastare per usufruire del bonus. Di recente, la stessa Cassazione [1] ha fornito un importante chiarimento. Ne parleremo nella presente guida.
In particolare, affronteremo tutte le questioni legate all’obbligo di residenza prima casa in relazione a due diversi aspetti: le agevolazioni fiscali sull’acquisto dell’immobile e quelle previste, invece, sull’Imu. Ma procediamo con ordine.
Posso essere residente dove voglio?
Per anni, gli italiani hanno fissato la propria residenza a proprio piacimento, indipendentemente dal luogo ove abitavano. Il tutto per non pagare le imposte sulla casa o per “staccare” gli Isee, in modo da godere di benefici socio-assistenziali altrimenti non dovuti.
La giurisprudenza però, traendo spunto da una serie di accertamenti fiscali, ha ricordato alcuni saldi principi della materia:
- nessun italiano può essere irreperibile, ma deve sempre fornire una propria residenza;
- la residenza non è libera, ma deve per forza coincidere con il luogo ove il soggetto vive in gran parte dell’anno (salvi ovviamente gli spostamenti occasionali dovuti al lavoro, alle vacanze, ad esigenze temporanee, ecc.). Tale luogo è detto «dimora abituale». Dunque la residenza deve, per forza, coincidere con la dimora abituale;
- la dichiarazione all’Anagrafe di una falsa residenza, ossia di un luogo ove non si abita, costituisce un reato, quello di «falso in atto pubblico»;
- il soggetto che non dovesse risultare effettivamente residente nel luogo indicato (a seguito di segnalazione di postini, polizia o altri pubblici ufficiali), viene dichiarato irreperibile. L’irreperibilità, che non è automatica ma scatta solo dopo accurate e lunghe verifiche (che a volte si protraggono un anno) comporta una serie di decadenze come la perdita del diritto di voto, o ad ottenere un medico di base, un certificato anagrafico, ecc.;
- in ogni caso, le notifiche nei confronti del soggetto irreperibile vengono fatte con deposito alla Casa Comunale e, pertanto, sono ugualmente valide;
- se il Comune dovesse rilevare che il soggetto non residente ha usufruito di agevolazioni fiscali sull’Imu, può chiedere il pagamento delle imposte maturate negli ultimi cinque anni. L’accertamento dell’assenza di dimora viene fatto anche tramite il controllo sulle utenze (se i consumi sono bassi è verosimile che l’immobile sia disabitato);
- il contribuente che dichiara falsamente di non essere più residente con i genitori solo per avere un Isee più basso e godere di agevolazioni può essere incriminato per truffa.
Prima casa: quando la residenza è obbligatoria?
Attorno alla casa gravitano due agevolazioni fiscali:
- la prima è quella sull’Iva o sull’imposta di registro che si versa al momento dell’acquisto ed è chiamata bonus prima casa;
- la seconda è quella sull’Imu che si versa annualmente oggi solo sulle “seconde case”.
Parleremo di queste due ipotesi qui di seguito in modo che si possa comprendere quando la residenza nella prima casa è obbligatoria.
Bonus prima casa e residenza
Il cosiddetto bonus prima casa prevede un forte sconto sulle tasse da pagare al notaio all’atto dell’acquisto, della donazione o della successione ereditaria di un immobile.
In particolare:
- per acquisti da ditta di costruzione: si versa l’Iva al 4% anziché al 10%. L’imposta di registro, ipotecaria e catastale sono di 200 euro l’una anziché essere calcolate in via proporzionale;
- per acquisti da privati, successioni e donazioni: si versa l’imposta di registro al 2% anziché al 9%. In più, l’imposta ipotecaria e catastale sono di 50 euro l’una anziché essere calcolate in via proporzionale.
Per ottenere questo enorme risparmio è necessario, tra le altre cose, avere la residenza nello stesso Comune ove si trova il nuovo immobile acquistato. Si può, quindi, fissare la residenza anche in una via diversa da quella ove è collocata la prima casa appena comprata (cosa che succede, ad esempio, se si acquista un appartamento per darlo poi in affitto).
Tale residenza va trasferita entro 18 mesi dalla firma del rogito. In caso contrario, bisogna versare allo Stato le imposte risparmiate al rogito con le sanzioni al 30%.
La Cassazione è stata molto precisa sul punto: non basta abitare nell’immobile in questione, ossia avere all’interno di esso la propria dimora abituale. È necessario anche il trasferimento della residenza.
La legge stabilisce, infatti, che «requisito necessario per poter usufruire dell’agevolazione ‘prima casa’ è che l’immobile sia ubicato nel Comune in cui l’acquirente abbia già la propria residenza, o, in alternativa, che ivi si stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto». Ne deriva che «condizione indispensabile per non decadere dal beneficio fiscale è che l’acquirente, a meno che non sia già residente nel territorio del Comune ove è ubicato l’immobile, provveda a trasferirsi in detto Comune entro il termine, di natura perentoria, di diciotto mesi dall’acquisto».
Tirando le somme, «la prova dell’elezione ad abitazione principale è solo il trasferimento anagrafico della residenza, unico elemento dotato di certezza poiché verificabile, da parte dell’amministrazione, presso il Comune ove è sito l’immobile». E il requisito fondamentale può essere dimostrato solo attraverso un certificato anagrafico; non rileva, invece, una residenza di fatto.
Quanto agli altri requisiti per ottenere il bonus prima casa è necessario che:
- la casa non sia di lusso (A/8 o A/9);
- il contribuente non abbia altre abitazioni nello stesso Comune;
- il contribuente non abbia altre abitazioni, acquistate con il bonus prima casa, in qualsiasi parte del territorio. In caso contrario, l’immobile va venduto entro 1 anno dal nuovo rogito.
Esenzione Imu e residenza
La legge prevede la totale esenzione dal versamento dell’Imu solo a condizione che sia il contribuente che la propria famiglia abbiano fissato, all’interno dell’immobile in questione:
- la residenza;
- la dimora abituale.
Quindi, il solo fatto di vivere in una casa o di esservi residente non basta. I requisiti devono, infatti, coincidere nello stesso momento.
Dopo quanto tempo cambiare la residenza prima casa?
Una volta usufruito del bonus prima casa è possibile mutare la residenza entro 18 mesi dal rogito senza perciò perdere il beneficio fiscale.
La legge, in realtà, non stabilisce un termine massimo di permanenza della residenza nel Comune ove si trova l’immobile in questione. Tuttavia, si è ritenuto che si debba applicare il termine che la norma concede per il trasferimento della residenza dall’atto di acquisto (termine che, come detto, è di 18 mesi).
Invece, per l’agevolazione Imu è sempre possibile modificare la residenza ma, non appena ciò avviene, si verifica la decadenza dall’esenzione.
note
[1] Cass. ord. n. 7352/20 del 17.03.2020.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 7 novembre 2019 – 17 marzo 2020, n. 7352
Presidente Chindemi – Relatore Criscuolo
Ritenuto che:
L’AGENZIA DELLE ENTRATE ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 408/08/14 depositata in data 27.10.2014 con la quale la CTR del Friuli Venezia Giulia, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ha confermato la decisione di primo grado con la quale la CTP di Pordenone aveva accolto il ricorso proposto da O’ BR. Ke. Ha. avverso gli avvisi di liquidazione con i quali l’Agenzia, in relazione ad un atto di acquisto di immobile e al relativo mutuo, aveva revocato le agevolazioni “prima casa” in quanto il contribuente non aveva trasferito la propria residenza nel Comune ove era sito l’immobile.
In particolare, la CTR aveva evidenziato che il contribuente aveva la propria residenza (e, cioè, la dimora abituale) nel detto Comune e che su detta “residenza civilistica” non poteva prevalere la “residenza anagrafica” che il contribuente non poteva ottenere, come da comunicazione dell’Ufficiale di Anagrafe del Comune in questione.
Il contribuente non resiste.
Considerato che
L’AGENZIA DELLE ENTRATE deduce, a sostegno del ricorso, violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte I, allegato A, al D.P.R. n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la CTR ritenuto irrilevante, ai fini della decadenza dall’agevolazione “prima casa”, il mancato trasferimento “formale” della residenza presso l’immobile acquistato.
Il motivo è fondato e va accolto.
L’att. 1 della tariffa, parte I, allegato A al D.P.R. n. 131 del 1986 stabilisce che requisito necessario per poter usufruire dell’agevolazione prima casa è che l’immobile sia ubicato nel Comune in cui l’acquirente abbia già la propria residenza o, in alternativa, che ivi si stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto. Ne deriva che condizione indispensabile per non decadere dal beneficio fiscale è che l’acquirente, a meno che non sia già residente nel territorio del comune ove è ubicato l’immobile, provveda a trasferirsi in detto comune entro il termine, di natura perentoria, di 18 mesi dall’acquisto.
Orbene, la prova dell’elezione ad abitazione principale è solo il trasferimento anagrafico della residenza, unico elemento dotato di certezza perché verificabile, da parte dell’Amministrazione, presso il Comune ove è sito l’immobile.
In tal senso è la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui, infatti, “la previa residenza anagrafica (ovvero il previo svolgimento di attività lavorativa) nel Comune dove si intende acquistare un immobile costituisce presupposto necessario ai fini del godimento dei benefici fiscali per l’acquisto della prima casa e ciò sia con riferimento agi atti soggetti ratione temporis alla disciplina di cui al D.L. 7 febbraio 1985, convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118, sia con riferimento a quelli soggetti ratione temporis alla legge 31 dicembre 1991, n. 415. Il requisito in questione può essere dimostrato solo attraverso le risultanze anagrafiche, a nulla rilevando una residenza di fatto (ex multis: sent. 4628/2008; 23579/2012; 8415/2013).
Va da ultimo precisato l’impossibilità di configurare una causa di forza maggiore difettando i requisiti dell’imprevedibilità e della inevitabilità (Cass. ordinanza 4800 del 10.3.2015) non ravvisabili nella fattispecie in esame.
Il ricorso va, pertanto accolto e di conseguenza, cassata la sentenza impugnata.
Non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, la causa può essere decisa nel merito con la reiezione dell’originario ricorso del contribuente.
La novità della questione trattata giustifica un compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito respinge l’originario ricorso del contribuente.
Spese compensate.
Salve,
io ho una situazione particolare, che si è venuta a creare durante il lockdown grazie alle possibilità offerte dallo smart working: attualmente sono residente a Pisa, in quanto lavoro lì vicino, ma avendo ereditato, insieme a mia madre e alle mie sorelle, una casa in campagna in sardegna, mi sono spostato ad abitare in questa casa. L’idea è quella di passare sicuramente i mesi estivi per intero e parte del resto dell’anno tra Pisa e la sardegna, in quanto a lavoro mi verrebbe data questa possibilità. Conserverei dunque un contratto di locazione a Pisa, ma sarebbe una buona idea spostare la residenza in sardegna, in quanto attualmente si tratta di seconda casa e sia IMU che bollette risultano più care. In questa situazione rischierei sanzioni se spostassi la mia residenza?