Compatibilità fra padre e figlio; indagini ematologiche ed immunogenetiche sul Dna; mezzo di prova diretto e non presuntivo della paternità; impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità.
Indice
La prova del Dna
In tema di esecutività della sentenza straniera, integra una violazione dell’ordine pubblico processuale la decisione del giudice straniero che, in tema di accertamento della paternità naturale, dopo avere dapprima disposto d’ufficio la cd. prova del DNA, abbia disposto immotivatamente la revoca del mezzo istruttorio pur in presenza della dichiarata disponibilità all’esame da parte del preteso padre e dopo aver disposto con rogatoria che l’incidente istruttorio venisse eseguito in Italia.
Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, n.5327
Accertamento paternità: immotivata revoca della prova del Dna
La sentenza straniera, pronunciata in un giudizio di accertamento della paternità naturale nel corso del quale il giudice abbia immotivatamente revocato la prova dell’esame del DNA, in corso di svolgimento tramite rogatoria ed in presenza della dichiarata disponibilità del presunto padre a sottoporvisi, è contraria all’ordine pubblico processuale e non può essere dichiarata esecutiva.
Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, n.5327
Rifiuto della prova del Dna
In riferimento agli articoli 13,15,24,30 e 32 della Costituzione è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 269 del Cc, 116 e 118 del Cpc, ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell’espletamento dell’esame del Dna. Invero, dall’articolo 269 del Cc non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della legge 31 dicembre 1996 n. 675.
Cassazione civile sez. I, 17/02/2021, n.4221
Verifica della paternità e consulenza stragiudiziale sul Dna
In tema di test del DNA per la verifica della paternità, colui che impugna il riconoscimento è tenuto a dimostrare solo la non rispondenza del riconoscimento al vero e non la assoluta impossibilità a procreare dell’autore del riconoscimento, come invece sostenuto da un precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, superato alla luce della riforma dell’istituto dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, sostanzialmente allineato a quello del disconoscimento, con conseguente valenza dirimente, anche in tal caso, della consulenza genetica.
Nel caso in cui sia stata acquisita una consulenza sul DNA, espletata da un esperto al di fuori del processo su concorde richiesta delle parti, il giudice, ove non siano allegate specifiche ragioni tecniche e scientifiche, non è obbligato a disporre una consulenza tecnica di ufficio per il solo fatto della natura stragiudiziale della perizia acquisita, potendo utilizzarla, stante il diritto di allegazione delle parti ed il principio del libero convincimento del Giudice.
Tribunale Roma sez. I, 10/06/2020, n.8359
Rifiuto dell’esame del Dna: equivale ad ammettere la paternità?
L’accertamento immuno-ematologico per l’accertamento della paternità non è subordinato alla prova dell’esistenza di una relazione, e il rifiuto ingiustificato a sottoporvisi, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., è suscettibile di essere valutato come ammissione.
Cassazione civile sez. I, 14/06/2019, n.16128
Test del Dna errato
Il danno da perdita del rapporto parentale spetta quando vi sia la rottura di tale rapporto anche con un soggetto non consanguineo, ma che rappresenti per il danneggiato la identica figura del padre; la lesione del rapporto parentale può essere determinata anche da un evento diverso dalla morte (nella specie, un minore, a seguito di un test del DNA errato, aveva considerato come padre un uomo con cui non aveva alcun legame di sangue; la Corte ha ritenuto che la rottura di questo legame fosse tale da generare un danno da perdita del rapporto parentale per il minore).
Cassazione civile sez. III, 21/08/2018, n.20835
L’analisi dei polimorfismi del Dna
L’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità postula, a norma dell’art. 263 cod. civ., la dimostrazione della assoluta impossibilità che il soggetto che abbia inizialmente compiuto il riconoscimento sia, in realtà, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio.
Ai fini probatori, la cosiddetta analisi dei polimorfismi del DNA costituisce l’unico mezzo di prova diretto e non presuntivo della paternità e viene effettuata procedendo al confronto tra il profilo genetico del figlio con quello di entrambi i genitori; una volta individuate nel figlio le caratteristiche genetiche di provenienza materna, viene valutato se vi sia o meno corrispondenza con quelle di provenienza paterna e, in caso negativo, l’indagine si conclude con l’esclusione certa della paternità.
Nel caso, invece, in cui venga accertata una compatibilità fra padre e figlio, viene determinata la percentuale di probabilità statistica che il soggetto in esame sia effettivamente il padre biologico.
Tribunale Spoleto, 07/08/2018, n.673
Certezza dell’adulterio e disconoscimento della paternità
La scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. (come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte costituzionale) – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo.
(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di appello che ha riconosciuto la tempestività della domanda di disconoscimento della paternità, ritenendo che, pur risultando una pregressa conoscenza dell’adulterio da parte dell’attore, solo all’esito dell’espletamento della prova del DNA, questi ne avesse acquisito la certezza).
Cassazione civile sez. I, 09/02/2018, n.3263
Sentenza dichiarativa di paternità: la prova del Dna
Nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità del figlio nato fuori dal matrimonio, nell’ipotesi in cui sia stata esperita e, anche su istanza congiunta, richiesta al Tribunale l’acquisizione di consulenza svolta sul DNA – appunto espletata da un esperto, al di fuori del processo, su concorde richiesta delle parti – il Giudice ove non siano allegate specifiche ragioni tecniche o scientifiche, non è obbligato a disporre una nuova CTU, per il solo fatto della natura stragiudiziale della perizia acquisita.
Tribunale Asti, 25/07/2017, n.638
Rifiuto del test del Dna
In tema di dichiarazione di paternità, il rifiuto del convenuto di sottoporsi al test del DNA, che costituisce argomento di prova ai sensi degli artt. 296 e 116 c.p.c., e l’ammissione delle parti circa la sussistenza di una relazione sentimentale fra le stesse comportano l’affermazione della paternità in capo al convenuto.
Tribunale Napoli sez. I, 27/03/2017, n.3583
Consulenza tecnica d’ufficio genetica
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità, il giudice può fondare la sua decisione su una consulenza tecnica d’ufficio genetica, che abbia fatto uso del materiale biologico del convenuto (il preteso padre, morto in corso di causa), prelevato prima della sepoltura in forza di provvedimento adottato dal giudice istruttore, per l’eccezionale urgenza (desunta dal rischio, valutato ex ante, della impossibilità o della estrema difficoltà di espletamento del prelievo in caso di sepoltura, atteso che il cmpo avrebbe potuto essere cremato, o non reperito con sicurezza, o degradato in misura tale da non consentire l’estrazione del DNA), ai sensi dell’art. 697 c.p.c., con implicita dispensa dalla notifica alla parte convenuta e senza aver acquisito, perché irrilevante, il consenso dei congiunti del defunto, i quali, costituitisi successivamente, neppure in grado di appello hanno dedotto e provato di aver subìto uno specifico pregiudizio.
Corte appello Napoli, 16/03/2017
Rifiuto di sottoporsi ad esami ematologici
Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa perché esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno questa natura anche se espresse in termini di “leggi”, e tutte le misurazioni, anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati, sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (cosiddetto errore statistico), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (cosiddetto errore sistematico), spettando al giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell’opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini.
Cassazione civile sez. I, 25/03/2015, n.6025
Rapporto biologico di paternità
In materia di dichiarazione giudiziale di paternità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi all’esame del DNA rientra tra gli argomenti idonei a fondare il convincimento del Giudicante sulla sussistenza del rapporto biologico di paternità.
Corte appello L’Aquila, 12/02/2015
Domanda di dichiarazione giudiziale di paternità
Una serie di elementi indiziari è sufficiente a fondare la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità anche senza prova del D.n.a.
Cassazione civile sez. I, 21/02/2014, n.4175
Rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici rientra tra gli argomenti di prova idonei a formare il convincimento del giudice, unitamente a tutte le altre risultanze istruttorie di cui costituisce rilevante elemento integrativo. Né può trarsi argomento contrario dalla giurisprudenza costituzionale pronunciatasi per l’illegittimità. delle norme processuali penali in tema di prelievo ematico coattivo.
Nella specie, infatti, si tratta di valutare non le legittimità o meno di un prelievo funzionale alle prove genetiche sul DNA, ma soltanto se, ferma la inviolabilità della persona e l’incoercibilità del prelievo medesimo, dalla scelta negativa di rifiutarne il consenso sia lecito trarre argomenti di prova al pari di tutti gli altri comportamenti tenuti dalle parti in corso di giudizio.
In altri termini, se la volontà di sottoporsi al prelievo ematico per eseguire gli accertamenti sul DNA non è coercibile, nulla tuttavia impedisce al giudice di valutare il comportamento della parte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., in caso di rifiuto sia pur in sé legittimo ma privo di adeguata giustificazione; oltretutto, la dimostrazione della paternità naturale può essere tratta esclusivamente dalla condotta processuale del preteso padre, globalmente considerata e posta in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre.
Tribunale Salerno sez. I, 11/02/2014, n.462
Indagini ematologiche e immunogenetiche sul Dna
Nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca, anche “per relationem”, le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, avente ad oggetto le indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA (che può assumere, nonostante la valenza esclusivamente probabilistica delle relative valutazioni, la funzione di mezzo obiettivo di prova, avente margini di sicurezza elevatissimi, alla luce degli approdi scientifici ormai condivisi), dovendosi ritenere che il giudice, salvo il caso in cui siano mosse precise censure, (anche contenute in consulenze tecniche di parte) a cui è tenuto a rispondere, possa limitarsi ad un mero richiamo adesivo al parere espresso dal consulente d’ufficio.
Cassazione civile sez. I, 24/12/2013, n.28647
Accertamento preventivo della consanguineità mediante un test predittivo
Il trattamento di dati genetici di carattere non sanitario, finalizzato ad estrarre informazioni relativa al DNA per orientare la scelta verso un’azione di disconoscimento di paternità, con l’accertamento preventivo della consanguineità mediante un test predittivo, non è legittimo sulla base della sola Autorizzazione generale del Garante n. 2 del 2002, ma richiede il previo consenso dell’interessato, dovendosi inoltre rilevare, al riguardo, una continuità di regime giuridico, nel trattamento dei dati genetici, tra la fase anteriore e quella successiva all’emanazione dell’apposita Autorizzazione del 22 febbraio 2007, prescritta dall’art. 90 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
(Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento ad una controversia riguardante il trattamento di dati genetici, ottenuti mediante prelievo di mozziconi di sigaretta da parte di una agenzia investigativa e sottoposti, senza il consenso del titolare, al prelievo di campioni biologici ed accertamento del DNA).
Cassazione civile sez. I, 13/09/2013, n.21014
Consulenza tecnica sul Dna di persona deceduta
Nel giudizio diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità (o maternità) naturale, deve escludersi la necessità di consenso dei congiunti per l’espletamento della consulenza tecnica sul DNA della persona deceduta, non essendo configurabile un loro diritto soggettivo sul corpo di quest’ultima, in quanto non è previsto da alcuna disposizione normativa il loro consenso per accertamenti da eseguire per finalità di giustizia.
Cassazione civile sez. I, 19/07/2012, n.12549
Nessuno può essere costretto a sottoporsi ad analisi e a trattamenti medici. Ma la legge può collegare, all’eventuale rifiuto, delle conseguenze e delle sanzioni. È quanto succede in tema di accertamento della paternità: l’uomo non può rifiutarsi di eseguire l’esame del dna; l’eventuale diniego immotivato è un’ammissione di responsabilità. In altri termini, se l’asserito papà non vuol prestare il consenso per il test, il giudice può desumere da tale comportamento un elemento di prova per accertare la paternità.
Quando si concepisce un figlio a seguito di un rapporto occasionale o da una relazione “di fatto” (ossia non confluita in un matrimonio) l’uomo è tenuto ad assumersi le sue responsabilità: è cioè obbligato a riconoscere il figlio. Con il riconoscimento, per lui scatta il dovere di assistenza morale e materiale: deve cioè partecipare alla vita del figlio nonché contribuire alle spese per il suo mantenimento fino a quando questi (anche se dopo i 18 anni) diventa completamente autonomo economicamente. Il padre non può scappare e disinteressarsi del minore. Se lo fa, può essere citato in causa dalla donna (anche se questa, in un primo momento, lo ha esonerato da ogni obbligo) e soprattutto dai figli a cui è stato negato il mantenimento economico e il calore affettivo del genitore.
una madre può abbandonare il figlio dalla nascita il padre NO! una ingiustizia da sanare !
La consulenza tecnica sul dna è decisiva secondo la Cassazione. Grazie al progresso scientifico, la Ctu genetica oggi è uno strumento dotato di elevato grado di attendibilità e pertanto la suprema Corte ne ribadisce il carattere decisivo tanto da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza l’ingiustificato rifiuto della parte a sottoporvisi.
La sottrazione al test del DNA da parte dell’uomo può fondare il convincimento del giudice e vale come comportamento concludente.
Dall’esame del DNA non deriva né una restrizione della libertà personale del presunto padre – che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi del sangue – né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali.
Tre cose sono certe nella vita: le tasse, la morte e la madre. Il padre no. O c’è una somiglianza con il figlio tale da escludere un eventuale tradimento oppure, per accertare la paternità, c’è un solo modo: effettuare il test del Dna. Un esame determinante anche quando un genitore non ha voluto riconoscere un figlio, forse perché frutto di una scappatella fatta non dalla moglie ma dal marito. Lo è pure in un caso di cronaca nera, quando il test del Dna può servire a decidere se una persona ha commesso un reato oppure deve essere assolto perché innocente.
Se un padre rifiuta il riconoscimento del proprio figlio, la madre o lo stesso ragazzo possono rivolgersi al Tribunale e chiedere una sentenza di accertamento, in quanto il riconoscimento è un atto dovuto. Se un genitore si rifiuta di ammettere che quel figlio è suo, il ragazzo può addirittura chiedere un risarcimento del danno anche dopo molti anni, quando ormai sarà diventato maggiorenne.
Si può obbligare al test del Dna il padre o uno dei suoi eredi?Quando si può obbligare al test del Dna per paternità?
Basta andare da un giudice. Se il magistrato avverte che ci sono i presupposti, può ordinare questo esame. È vero che l’uomo non può essere obbligato a farsi prelevare del sangue, un campione di saliva o un paio di capelli. Ma è altrettanto vero che, secondo la Cassazione il rifiuto non giustificato porta a dedurre il tacito riconoscimento della paternità. In altre parole: se sei sicuro di non avere nulla da temere dal risultato del test, perché opporti? Se lo rifiuti è perché, in fondo in fondo, sai che risulterà positivo.
Con il riconoscimento della paternità da parte del giudice scatta in automatico l’obbligo di mantenere, assistere e crescere i figli, partecipando alle spese a ciò necessarie, insieme alla madre e in relazione alle rispettive capacità economiche.
Quando si può obbligare al test del Dna per paternità
Vediamo in estrema sintesi i presupposti per obbligare al test del Dna un presunto padre.
Il figlio, nato da una coppia di fatto non sposata, che non è stato riconosciuto dal padre può ricorrere all’azione di accertamento giudiziale della paternità affinché il tribunale stabilisca con sentenza chi è il genitore e, di conseguenza, dichiari la paternità e la maternità e quindi il suo status di figlio.
L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio e può essere esercitata se ricorrono tutte le seguenti condizioni:
il figlio è nato fuori dal matrimonio;
il figlio non è stato riconosciuto da uno o da entrambi i genitori;
il riconoscimento è ammesso.
Nei casi di figlio incestuoso l’azione può essere promossa soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione del giudice.
L’azione può essere esercitata dal figlio nato fuori del matrimonio che non è stato riconosciuto. Se il figlio è:
minore, l’azione è proposta, nel suo interesse, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale; in mancanza del genitore o in caso di sua impossibilità, è esercitata dal tutore, previa autorizzazione del giudice;
interdetto: l’azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.
Che succede se il figlio muore? Dopo aver intrapreso l’azione, questa può essere proseguita dai discendenti; prima di aver iniziato l’azione, questa può essere promossa dai suoi discendenti entro 2 anni dalla sua morte. Se il Tribunale accerta la fondatezza della domanda, emette una sentenza che produce gli effetti del riconoscimento: in pratica, si verifica ciò che si sarebbe verificato se il padre spontaneamente avesse riconosciuto il figlio.
si può obbligare al test del Dna una persona indagata o arrestata? Ed il risultato di quella prova vale davvero una condanna?
La sentenza che si basa sulle tracce biologiche è legittima purché l’esame sia stato fatto «con adeguate garanzie, senza escamotage irrituali o atteggiamenti ingannevoli».La Cassazione ha anche stabilito che il risultato del test del Dna «è una prova e non un elemento indiziario».La legge prevede il prelievo obbligatorio del Dna di qualsiasi detenuto o persona arrestata per un delitto non colposo (un omicidio volontario, una rapina, ecc.) allo scopo di creare una banca dati nazionale. Il prelievo deve essere effettuato dalla Polizia penitenziaria o da un altro agente delle forze dell’ordine. L’obbligo del test del Dna riguarda chiunque stia scontando pene definitive, ma anche i semplici indagati ai quali è stata applicata una misura cautelare (arresti domiciliari, ad esempio), oppure il cui arresto sia stato convalidato, anche se poi viene scarcerato in attesa di processo.Non si può obbligare al test del Dna una persona colpevole di un delitto colposo (il tipico caso di chi provoca in modo non intenzionale un incidente in cui muore una persona), oppure nei reati tributari o fiscali.I profili genetici vengono cancellati dalla banca dati nazionale in caso di assoluzione, e comunque trascorsi 30 anni, o 40 anni nel caso in cui il condannato sia recidivo.
Rifiutare il test di paternità e portare un giudice a decidere per una filiazione naturale per sentenza equivale al riconoscimento volontario di un figlio. Quindi il presunto padre smette di essere «presunto» per diventare «padre» a tutti gli effetti e con tutte le conseguenze. Dovrà, infatti, farsi carico degli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione
Siamo tre figli non riconosciuti da nostro padre, che ormai ottantenne è venuto a trovarci l’ultima volta nel 2011 perché voleva riconciliarsi con noi. Eravamo felici ma dopo pochi mesi non è stato più possibile contattarlo.Non sappiamo se è ancora vivo o è stato internato dalla sua famiglia e dal suo unico figlio riconosciuto. Non volevamo niente da lui, ma questo stato di cose ci rattrista al punto che era pronta una denuncia, ma poi abbiamo desistito. Non sopportiamo più il fatto che questo unico figlio abbia avuto tutto mentre noi abbiamo fatto la fame perché nostra madre non ha saputo gestire la nostra crescita. Ora si dovrebbe fare il DNA. Cosa possiamo fare?
L’azione da intraprendere giudizialmente è quella del riconoscimento della paternità.Solo in questo modo, con le relative richieste, si potrà domandare al giudice l’effettuazione del test del DNA sul padre del lettore, così da poter avere la certezza del legame parentale suo e dei suoi fratelli.Infatti, l’articolo 269 del codice civile stabilisce che la paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.Tale giudizio viene introdotto con un atto in cui i presunti figli citano in giudizio il presunto padre al fine di ottenere l’invocato riconoscimento.Avendo, sul punto, il tribunale una sorta di potere d’investigazione, finalizzato a verificare la fondatezza della domanda, occorrerà per bene indicare tutte le prove atte a dimostrare quella paternità.Difatti, la sola richiesta del test DNA potrebbe apparire come indagine esplorativa e potrebbe portare il giudice, in assenza di altri indizi, ad escludere tale dimostrazione.Così sarà necessario sentire nel giudizio di riconoscimento la testimonianza di chi, anche per sentito dire, possa dichiarare che vi fu all’epoca una relazione amorosa tra la madre e il presunto padre del lettore, e che tra i concittadini giri la voce della nascita di questi figli.Anche la produzione fotografica volta a dimostrare la somiglianza potrà risultare elemento importante per ottenere l’autorizzazione al test del DNA.Così come stabilito dalla giurisprudenza, non è sufficiente la compatibilità biologica tra il presunto padre e il preteso figlio, per dichiarare la paternità dovendo detto dato essere integrato mediante ulteriori elementi, tra i quali un rilievo spesso essenziale riveste la frequentazione e l’accertamento di una relazione tra il presunto padre e la madre del bambino, nel periodo utile per il concepimento (Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, n. 15201).Pertanto, una volta provata quella relazione ed effettuato il test del Dna, con esito positivo della paternità, il giudice emetterà una sentenza che, ai sensi dell’articolo 277, dichiarerà la filiazione, producendo gli effetti di un vero e proprio riconoscimento.Con quella sentenza, il giudice potrà anche dare i provvedimenti che stima utili per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio riconosciuto e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.E così, riconoscimento alla mano, il lettore e i suoi fratelli potranno richiedere tutte le somme che il padre non ha versato per il loro mantenimento e, quando morirà, gli stessi rientreranno secondo la legge nell’eredità con la medesima quota di legittima posta a favore dell’unico figlio ad oggi riconosciuto.