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Impresa familiare: ultime sentenze

15 Marzo 2022
Impresa familiare: ultime sentenze

Apporto lavorativo all’impresa del congiunto; imputazione proporzionale ai familiari collaboratori; imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore; esclusione della gratuità della prestazione per solidarietà familiare; omessa predisposizione di misure di sicurezza.

Partecipazione all’impresa familiare

In materia di impresa familiare, poiché non esiste alcun contratto sociale né un vincolo societario tra il titolare dell’impresa e i suoi collaboratori, la liquidazione del diritto di partecipazione all’impresa, afferendo alla sfera personale dei soggetti di tale rapporto, non è riconducibile a nessuna delle categorie reddituali previste dal d.P.R. n. 917 del 1986, sicché l’importo attribuito non è soggetto ad Irpef in capo al soggetto percipiente, non rileva come componente negativo e non è deducibile dal reddito di impresa, per mancanza del requisito di inerenza previsto dall’art. 109, comma 5, del t.u.i.r.

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2021, n.40937

Per l’applicabilità del regime fiscale dell’impresa familiare il lavoro prestato dal collaboratore deve essere prevalente rispetto alle altre attività
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Cassa e decide nel merito, COMM.TRIB.REG. FIRENZE, 24/09/2014

Imposta reddito persone fisiche (Irpef) – Base imponibile – Redditi prodotti in forma associata – — Impresa familiare – Regime fiscale – art. 5, commi 4 e 5, del d.p.r. n. 917 del 1986 – Condizioni.
In tema di imposte sui redditi, ai fini dell’applicabilità del regime fiscale dell’impresa familiare, ai sensi dell’art. 5, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 917 del 1986, è richiesto, tra l’altro, che il lavoro prestato dal collaboratore all’interno dell’impresa familiare sia prevalente rispetto alle altre attività eventualmente svolte.

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2021, n.40934

Impresa familiare e partecipazione agli utili: la dichiarazione Irpef del collaboratore

La dichiarazione di verità fatta a meri fini fiscali ai sensi dell’art. 9 l. n. 576 del 1975, integrativo dell’art. 5 del d.p.r. n. 597 del 1973, recante istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche – IRPEF, costituisce un elemento indiziario rispetto alla esistenza di una impresa familiare nonché rispetto alla quota di ripartizione degli utili.

Corte appello Bari sez. lav., 19/07/2021, n.993

La qualità di coniuge in capo al dipendente

La mera circostanza che il lavoratore sia anche coniuge non può costituire elemento idoneo per negare il carattere subordinato della prestazione da questi resa, a prescindere da qualsivoglia considerazione sull’astratta compatibilità di detta vicenda con la figura della collaborazione nell’impresa familiare.

Corte appello Ancona sez. lav., 06/07/2021, n.173

Diritto di partecipazioni agli utili

In tema di impresa familiare, la somma mensilmente versata dalla titolare della farmacia ad entrambe le figlie quale retribuzione mensile ad importo fisso, può costituire mantenimento ma non può essere considerata come la dovuta attribuzione periodica della partecipazione agli utili, che sorge al momento della cessazione dell’impresa familiare o al momento della cessazione della partecipazione, con calcolo da effettuarsi secondo un criterio di proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato; il mantenimento spetta indipendentemente dall’andamento dell’impresa, costituisce una sorta di remunerazione corrisposta al compartecipe sulla base della condizione patrimoniale della famiglia dell’imprenditore ed è diretto a garantire le esigenze di vita essenziali del lavoratore.

Corte appello Bari sez. lav., 30/04/2021, n.627

Determinazione della quota spettante al familiare al momento della cessazione

In tema di impresa familiare, la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi del familiare va determinata, sulla base della quantità e qualità del lavoro svolto dal predetto, e non della sua effettiva incidenza causale sul loro conseguimento, in relazione al valore complessivo dell’impresa che si connota come entità dinamica soggetta a variazioni in funzione dell’andamento del mercato; ne deriva che, nella liquidazione della quota del familiare al momento della cessazione, va inclusa anche la rivalutazione di un fattore della produzione riferibile a cause estranee all’attività svolta dal partecipante, che si sia tradotto in un aumento di redditività dell’impresa medesima, ed analogamente i fattori di decremento dei beni che abbiano riflessi sulla produttività.

(In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva espunto dal calcolo della quota l’aumento di valore di mercato degli immobili imputabile all’introduzione della moneta unica).

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, n.1401

L’aumento del valore degli immobili utilizzati nell’impresa familiare

In tema di liquidazione della quota spettante al partecipante di un’impresa familiare, la determinazione della partecipazione agli utili ed agli incrementi del familiare deve essere effettuata in relazione al valore complessivo dell’impresa, per cui se l’incremento di valore di un fattore della produzione (quale può essere un immobile) si è tradotto in un aumento di redditività dell’impresa medesima non è dato scorporare dalla stessa la componente riferibile a fattori che si assumono del tutto estranei all’attività prestata dal partecipante; analogicamente, il verificarsi nel corso della vita dell’impresa di fattori di decremento dei beni con riflessi sulla produttività della stessa non può che riverberarsi sulla concreta liquidazione della quota del partecipante.

Ne deriva che l’aumento di valore degli immobili utilizzati nell’impresa familiare verificatosi per effetto dell’introduzione della moneta unica può assumere rilievo ai fini della concreta determinazione delle spettanze del familiare qualora si sia tradotto in un generale fattore di accrescimento del valore dell’impresa unitariamente considerata ed in una maggiore redditività della stessa.

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, n.1401

Impresa familiare: gli utili e gli incrementi 

Il diritto attribuito al familiare che presta in modo continuativo la sua attività lavorativa ai sensi dell’articolo 230 bis cod.civ. è unitario, nel senso che va ugualmente commisurato, sia per gli utili che per gli incrementi di valore dell’azienda, unicamente alla quantità e qualità del lavoro prestato, ossia all’ apporto di lavoro del familiare nella conduzione complessiva dell’impresa.

In altri termini, il criterio di determinazione della quota di partecipazione del familiare è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dal familiare-collaboratore nella gestione dell’impresa e non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili ed incrementi, che rappresentano soltanto l’effetto e non la misura dell’attività svolta.

Utili ed incrementi, infatti, non sono che due diversi aspetti del complessivo risultato economico realizzatosi per effetto della collaborazione del familiare, con la differenza che gli utili rappresentano il risultato positivo di un esercizio annuale dell’impresa, espresso in termini di posta attiva dell’esercizio stesso, mentre gli incrementi consistono in aumenti della consistenza del patrimonio aziendale, frutto del reinvestimento degli utili conseguiti e non distribuiti.

Corte appello Ancona sez. lav., 17/05/2019, n.124

Carattere residuale dell’impresa familiare 

L’istituto dell’impresa familiare, per il carattere residuale emergente dall'”incipit” dell’art. 230-bis cod. civ., concerne l’apporto lavorativo all’impresa del congiunto che non rientri nell’archetipo del lavoro subordinato o per il quale non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione, sicché l’ipotesi del lavoro familiare gratuito resta confinata in un’area limitata.

Pertanto, qualora un’attività lavorativa sia stata svolta nell’ambito dell’impresa, il giudice di merito deve valutare le risultanze di causa per distinguere tra lavoro subordinato e compartecipazione all’impresa familiare, escludendo, comunque, la gratuità della prestazione per solidarietà familiare.

Tribunale Roma sez. lav., 18/02/2019, n.1606

Reddito percepito dal titolare e dai collaboratori

In materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare, che è pari al reddito conseguito dall’impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori – che non sono contitolari dell’impresa familiare – costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all’imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore; ne consegue che, dal punto di vista fiscale, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell’impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito “pro quota” agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d’impresa.

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2019, n.34222

Acquisto di immobili e prova della provenienza del denaro

Nell’impresa familiare non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l’acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio provenga dai proventi dell’attività economica comune, sicché colui che afferma che detto acquisto è stato effettuato con denaro comune è tenuto a fornire la prova del proprio assunto.

Tribunale Taranto sez. lav., 26/11/2019, n.4011

Mantenimento dagli utili da ripartire nell’impresa familiare

La detrazione degli stipendi riconosciuti e corrisposti ai familiari dagli utili da ripartire fra gli stessi compartecipi dell’attività di impresa familiare non risulta coerente con quanto disposto dall’art. 230-bis c.c., che esclude la detraibilità dai predetti utili delle somme destinate al mantenimento dei familiari, considerando l’autonomia del diritto alla quota degli utili rispetto al diritto al mantenimento del partecipante all’impresa medesima.

Cassazione civile sez. lav., 13/06/2019, n.15962

Familiari collaboratori: sono contitolari dell’impresa familiare?

In tema d’imposta locale sui redditi (ILOR), i familiari collaboratori non sono contitolari dell’impresa familiare ed i redditi loro imputati sono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quelli d’impresa, con la conseguenza che – indipendentemente dalla natura del lavoro stesso, sia esso dipendente, autonomo o equiparato – devono essere esclusi dall’assoggettamento ad Ilor, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 599 del 1973, come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1980: ne consegue che l’art. 115 del T.U. approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, che espressamente prevede detta esclusione, ha valore meramente ricognitivo di una disposizione già emergente dal sistema, col corollario che la sua applicabilità prescinde dalle disposizioni di diritto intertemporale dettate dall’art. 36 del d.P.R. n. 42 del 1988, con riguardo alle sole previsioni innovative del citato testo unico.

Cassazione civile sez. trib., 06/02/2019, n.3454

Partecipazione agli utili per la collaborazione nell’impresa familiare

La partecipazione agli utili per la collaborazione nell’impresa familiare, ai sensi dell’art. 230 bis c.c., va determinata sulla base degli utili non ripartiti al momento della sua cessazione o di quella del singolo partecipante, in quanto, in assenza di un patto di distribuzione periodica, gli utili sono naturalmente destinati al reimpiego nell’azienda o in acquisti di beni e non, invece, ad essere ripartiti tra i partecipanti; inoltre, gli utili da attribuire ai partecipanti all’impresa familiare vanno calcolati al netto delle spese di mantenimento, pure gravanti sul familiare che esercita l’impresa, mentre spetta al partecipante che agisce per il conseguimento della propria quota l’onere di provare la consistenza del patrimonio familiare e l’ammontare degli utili da distribuire.

Tribunale Fermo sez. lav., 10/09/2019, n.149

Immobile acquistato da un familiare partecipante all’impresa familiare

In tema di impresa familiare non è configurabile alcuna presunzione che l’immobile acquistato da parte di un familiare partecipante, in nome proprio, durante il periodo di esistenza dell’impresa, configuri bene acquistato con gli utili dell’attività familiare, con la conseguenza che, in applicazione dei principi generali sull’onere probatorio, colui che affermi che detto acquisto sia stato effettuato con gli utili aziendali è tenuto a fornire la prova del proprio assunto.

Cassazione civile sez. lav., 18/12/2018, n.32698

Rapporto familiare tra le parti: esclude la natura subordinata del lavoro?

L’osservanza di un orario di lavoro, nella specie coincidente con quello di apertura del negozio al pubblico -, la presenza costante, la corresponsione di un compenso a cadenze fisse costituiscono indici sintomatici che la costante giurisprudenza riconduce alla sussistenza di un rapporto di tipo subordinato e che non possono essere qualificati quali mera partecipazione all’attività del familiare in virtù dei motivi di assistenza personale legati ad un’ipotetica impresa familiare.

Cassazione civile sez. lav., 27/02/2018, n.4535

La plusvalenza derivante dalla cessione dell’impresa familiare

In tema di IRPEF, la plusvalenza derivante dalla cessione di un’impresa familiare, ove il titolare si sia avvalso, nella propria dichiarazione dei redditi, dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 1, del d.lgs. n. 358 del 1997, deve essere interamente imputata allo stesso e non anche ai singoli familiari partecipanti in proporzione della quota.

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2018, n.5726

Impresa familiare: gli oneri probatori a carico del partecipante 

In tema di impresa familiare, il partecipante che agisce per ottenere la propria quota di utili ha l’onere di provare la consistenza del patrimonio aziendale e la quota astratta della propria partecipazione, potendo a tal fine ricorrere anche a presunzioni semplici, tra cui la predeterminazione delle quote operata a fini fiscali; sul familiare esercente l’impresa grava invece l’onere di fornire la prova contraria rispetto alle eventuali presunzioni semplici, nonché di dimostrare il pagamento degli utili spettanti “pro quota” a ciascun partecipante.

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2018, n.27966

Impresa familiare: quota

In tema di impresa familiare, la quota spettante al familiare partecipante al momento della cessazione che, ex art. 230-bis c.c., va determinata esclusivamente sulla base della quantità e qualità del lavoro svolto dal predetto nell’impresa, è relativa nella stessa misura tanto agli utili che agli incrementi, siano essi materiali o immateriali.

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2017, n.27108

Impresa familiare: omessa predisposizione di misure di sicurezza

In tema di rivalsa ex artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, a seguito della sentenza n. 476 del 1987 della Corte costituzionale – con cui la tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è stata estesa anche ai familiari collaboratori nell’impresa familiare che prestino attività lavorativa non riconducibile all’ipotesi del rapporto societario o di lavoro subordinato – il titolare dell’impresa familiare è responsabile ove abbia omesso di predisporre le necessarie misure di sicurezza, atteso che, ai fini dell’individuazione della figura del datore di lavoro, l’art. 2 del d.lgs. n. 626 del 1994, come modificato dal d.lgs. n. 262 del 1996, valorizza l’esercizio dei poteri decisionali sull’organizzazione e gestione dell’impresa, dovendosi escludere, stante la continuità normativa tra le fattispecie penali in materia di luoghi di lavoro (prima previste dall’art. 32, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 626 del 1994 ed ora dall’art. 68, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 81 del 2008), che il dovere di protezione a carico del titolare dell’impresa familiare sia stato costituito solo per effetto delle espresse previsioni del d.lgs. n. 81 del 2008.

Cassazione civile sez. lav., 25/08/2017, n.20406

Impresa familiare: operatività della prelazione 

In tema di impresa familiare, è sufficiente, ai fini dell’operatività della prelazione di cui all’art. 230-bis, comma 5, c.c., una volta accertata la partecipazione all’attività, che vi sia stato un trasferimento d’azienda affinché il familiare partecipe possa essere messo nelle condizioni di esercitare il proprio diritto, risultando del tutto ininfluente che la cessione avvenga mediante conferimento in una società di persone, di cui il titolare dell’azienda stessa conservi un ruolo dominante quale socio illimitatamente responsabile ed amministratore, poiché la norma tutela il familiare estromesso e non colui che sia stato incluso nella vicenda traslativa, senza che rilevi il requisito dell’estraneità di cui all’art. 732 c.c., norma richiamata dall’art. 230-bis solo “in quanto compatibile”.

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2017, n.10147



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