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Social network: ultime sentenze

31 Maggio 2022
Social network: ultime sentenze

Commenti e post sui social network; diffamazione aggravata; collaborazione di Facebook e LinkedIn con l’autorità giudiziaria italiana; tutela dell’immagine e della riservatezza dei minori.

Indice

Post pubblicati sui social network: hanno una valenza offensiva limitata?

Gli utenti dei social network sono consapevoli che i post propri e altrui sono caratterizzati da elevati soggettivismo, improvvisazione e relatività, oltre che da strutturale apertura ad immediati commenti contrastanti e smentite, che hanno l’effetto di limitare la loro potenzialità lesiva della reputazione: sono cioè consapevoli che i frequentissimi sconfinamenti dall’area propria dei diritti di cronaca e di critica che vi si verificano (messaggi con toni sguaiati, enfatici, deliberatamente faziosi, che offrono in termini generici rappresentazioni falsate e denigratorie di persone o eventi) si condannano da soli a una sostanziale irrilevanza e a una pratica inoffensività; ciò comporta una sorta di desensibilizzazione oggettiva in relazione ai confronti sui social network, che impone un vaglio particolarmente penetrante al fine di individuarne l’effettiva valenza diffamatoria.

Tribunale Lanciano sez. I, 20/01/2022, n.43

Diffamazione su Facebook: può essere considerata commessa a mezzo stampa?

In tema di diffamazione, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook non può dirsi posta in essere con il mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad una attività di informazione professionale diretta al pubblico ed avendo essi una cassa di risonanza tendenzialmente più circoscritta; non per questo, tuttavia, detta diffusione è dotata di minore potenzialità negativa, anche perché, a differenza di quella a mezzo stampa, non è oggetto di controlli specifici ed al contempo è considerata quasi come un luogo, virtuale, in cui poter dire tutto ciò che si pensa.

Tribunale Frosinone, 19/01/2022, n.14

Post contro associazioni animaliste non virtuose

Vanno sussunti nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica tutti gli articoli che invitano i contribuenti a non destinare il 5xmille alle associazioni non virtuose. In tema di diffamazione a mezzo stampa, la critica si esercita attraverso la manifestazione di giudizi ed opinioni di carattere soggettivo, che, come tali, non si prestano ad un sindacato in termini di verità oggettiva, ovvero l’espressione di opinioni e giudizi anche in termini graffianti e con un linguaggio colorito e pungente, purché vi sia pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica ma dell’interpretazione di quel fatto.

(Nel caso di specie, relativo ad alcuni post pubblicati su un social network, su un blog e sul sito online di una agenzia giornalistica nei quali il Partito animalista europeo criticava l’operato di alcune Onlus e associazioni a tutela degli animali, il Tribunale ha ritenuto sussistere il requisito della, verità, della continenza e della pertinenza, in quanto si trattava di opinioni espresse da un movimento politico, che ha come precipuo scopo la tutela degli animali, in relazione a fatti specifici e contestualizzati attribuiti alle singole associazioni ed enti e non esposti in modo indistinto, senza quindi il ricorso a mere insinuazioni o suggestioni, né all’uso di toni allusivi e decettivi).

Tribunale Milano sez. I, 11/01/2022, n.94

Diffamazione: il bene giudico oggetto di tutela

Nel caso del reato di diffamazione il bene giuridico tutelato è la reputazione personale intesta sia nell’ambito strettamente personale che professionale. La norma ha lo scopo di sanzionare colui che ha offeso la dignità morale di un soggetto, rendendo note a terze persone tali offese realizzando così una visione alterata e distorta della reputazione della persona offesa, senza che la stessa possa essere presente per potersi difendere subito dalle offese. Al fine della sua configurazione, così come prevista dal comma III, occorre l’offesa dell’altrui reputazione e la comunicazione a più persone, ossia la divulgazione del fatto offensivo. Affinché si possa configurare il reato di cui all’art. 595 comma III c.p. è necessario il postare commenti dal contenuto diffamatorio sulla bacheca di un social network.

Tribunale Ascoli Piceno, 11/01/2022, n.696

Comunità virtuale con vocazione ideologica neonazista e rilancio di post negazionisti sui social

Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma 2, c.p., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.

Cassazione penale sez. I, 06/12/2021, n.4534

Reato di diffamazione: sussiste quando l’espressione lesiva non contiene indicazioni nominative?

Non osta all’integrazione del reato di diffamazione l’assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero limitato di persone: nello specifico, l’individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell’identità del destinatario che abbia avuto chiunque sia entrato in contatto con la propalazione diffamatoria.

Al verificarsi di tali presupposti, pertanto, deve ritenersi configurabile il reato di diffamazione anche quando l’espressione lesiva dell’altrui reputazione risulti apparentemente riferita, in assenza di indicazioni nominative, ad un ampio novero di persone, identificato in ragione della appartenenza a un gruppo o una determinata categoria (confermata, nella specie, la condanna per l’imputato a cui era stato contestato di aver espresso frasi minacciose nei confronti dei Carabinieri che lo avevano sorpreso nell’atto di orinare nella pubblica via e che aveva in seguito pubblicato sul social network Facebook un post dal contenuto diffamatorio, sempre all’indirizzo del personale militare da cui era stato in precedenza condotto in caserma e identificato).

Cassazione penale sez. VI, 06/12/2021, n.2598

Like sui post antisemiti pubblicati nei social network

Il like sui post antisemiti pubblicati nei social network è un grave indizio del reato di istigazione all’odio razziale. Il gradimento, infatti, non solo dimostra, incrociato con altre evidenze, l’adesione al gruppo virtuale nazifascista, ma contribuisce alla maggiore diffusione di un messaggio, già di per sé idoneo a raggiungere un numero indeterminato di persone. A dirlo è la Cassazione respingendo il ricorso contro una misura cautelare disposta dal Gip, per il reato di istigazione all’odio razziale, crimine contestato soprattutto sulla base dell’attività social dell’indagato, che interagiva con una comunità virtuale neonazista, il cui scopo principale era la propaganda e l’incitamento all’odio razziale. I giudici sottolineano le modalità di funzionamento dei social e, in particolare di Facebook, incentrato su un algoritmo che considera rilevanti i like e che assegna un valore maggiore ai post che ricevono più commenti.

Cassazione penale sez. I, 06/12/2021, n.4534

Quando Facebook deve risarcire il danno all’utente?

L’utente ingiustamente bannato da un social network ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno subìto a causa della sospensione delle proprie relazioni sociali. Facebook dovrà risarcire i danni ad un utente italiano che ha avuto il proprio account bloccato per 4 mesi a seguito della pubblicazione di alcuni post su Mussolini e sulla Repubblica sociale.

Corte appello L’Aquila, 09/11/2021, n.1659

Commento dell’insegnante su Facebook: può ledere la privacy dello studente?

La mera circostanza della pubblicazione su un social network di un commento offensivo non è di per sé idonea a dimostrare l’avvenuta lesione del diritto della persona a mantenere integra la propria reputazione, in assenza della dimostrazione dell’esistenza di un danno effettivamente patito.

Tribunale Bari sez. I, 25/10/2021, n.3767

Si può attribuire una dichiarazione diffamatoria tramite social network anche su base indiziaria?

Il delitto di diffamazione può essere commesso anche a mezzo di internet, con uso dei social e tale ipotesi integra l’aggravata di cui al comma 3 dell’art. 595 c.p.. La riferibilità della diffamazione può basarsi anche su indizi, a fronte della convergenza, pluralità e precisione di dati quali il movente, l’argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica intestata all’imputato medesimo.

Cassazione penale sez. V, 21/10/2021, n.4239

La pubblicazione di foto sul profilo social

Il fatto che sui social network vengano pubblicate fotografie ritraenti il proprio volto non legittima (neanche in modo tacito) l’uso di detta immagine, a maggior ragione ove si consideri che le modalità di funzionamento dei social networks, che consentono di limitare e scegliere i destinatari dei contenuti caricati, non fanno presumere un consenso conseguente alla mera pubblicazione sul proprio profilo personale, posto che, così ragionando, si configurerebbe un’ingiustificata inversione dell’onere della prova: invece rimane in capo a chi utilizza l’immagine altrui l’onere di provare che l’uso è lecito, allegando i fatti costitutivi previsti dalla disciplina legale.

Tribunale Cremona sez. I, 04/10/2021, n.468

Rilievo ai fini disciplinari della condotta extralavorativa di un impiegato

Non assume rilievo disciplinare la condotta extralavorativa contestata a un impiegato che aveva pubblicato e condiviso sulla sua bacheca virtuale Facebook un post denigratorio riferibile, non già all’attuale datore di lavoro, ma a una precedente gestione dello stabilimento presso il quale lavorava. Il fatto contestato è «insussistente» in quanto l’espressione critica, pur essendo stata materialmente espressa, non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali.

Tribunale Taranto, 26/07/2021

Carattere diffamatorio del commento pubblicato su Facebook

Va affermato il carattere diffamatorio del commento pubblicato su Facebook (che, come social network, è di per sé idoneo a raggiungere una platea numerosa di destinatari) nel quale il nominativo del soggetto destinatario del commento, pur non essendo specificatamente indicato, è agevolmente ricavabile.

Tribunale Firenze sez. II, 13/07/2021, n.1916

Messaggi lesivi dell’altrui reputazione

La diffusione di messaggi asseritamente denigratori attraverso l’uso della bacheca Facebook, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, posta in essere mediante una condotta potenzialmente idonea a raggiungere una vasta platea di individui, così ampliando ed aggravando la capacità diffusiva dei messaggi lesivi della altrui reputazione. L’elemento psicologico del reato contestato consiste nella consapevolezza, da parte dell’agente, dell’idoneità delle espressioni adottate a menomare apprezzabilmente la reputazione del soggetto passivo.

Tribunale Cassino, 09/07/2021, n.506

Registrazione social network

Il fatto che a registrarsi su piattaforma di social network sia un utente che non è effettivamente il legale rappresentante della società cui la pagina del social è riferita, non impedisce di individuare nella medesima società la effettiva titolare del contratto di servizi telematici e, di conseguenza, di tutti i diritti e gli obblighi che dallo stesso sono scaturiti.

Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 05/05/2021, n.7820

Commentare un post offensivo su Facebook

Postare un commento offensivo sulla bacheca di Facebook integra il reato di diffamazione a mezzo stampa. Inserire, infatti, un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione. Nel caso di specie, il Tribunale ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato per il reato de quo per aver postando numerosi commenti nei quali accusava la persona offesa di essere un pezzente, un ladro e una persona disonesta.

Tribunale Vicenza, 03/05/2021, n.426

Diffusione di messaggio diffamatorio

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso della bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi dell’articolo 595, comma 3, del Cp, sotto il profilo dell’offesa arrecata «con qualsiasi altro mezzo di pubblicità» diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, e non può dirsi posta in essere «col mezzo della stampa», non essendo i social network destinati a un’attività di informazione professionale diretta al pubblico.

Corte appello Ancona, 20/04/2021, n.708

Sfruttamento di dati personali resi disponibili per poter fruire gratuitamente dei servizi

Costituisce pratica sleale, perché ingannevole, lo sfruttamento, ad opera del gestore di un social network (nella specie, Facebook), dei dati personali, che l’utente abbia reso disponibili al fine di poter fruire gratuitamente dei servizi offerti dalla piattaforma, mercé la trasmissione a terzi per l’utilizzazione a fini commerciali, senza che di tale impiego sia data all’interessato compiuta informazione, idonea a far comprendere che, a fronte dei vantaggi connessi al servizio, si realizza l’automatica profilazione del cliente e l’acquisizione delle informazioni così elaborate da parte di un numero indefinito di operatori per indefiniti scopi commerciali (in motivazione si precisa che la comunicazione verso corrispettivo a terze parti del dato personale ne attua la patrimonializzazione, che, in quanto investa situazioni disciplinate da fonti diverse dalla normativa speciale in materia di privacy, non deve essere rapportata in via esclusiva a quest’ultima, riducendo il novero di ‘tutele multilivello’ garantite alle persone fisiche).

Consiglio di Stato sez. VI, 29/03/2021, n.2631

Reati commessi via Facebook

In tema di reati commessi attraverso Facebook è necessario verificare che i profili Facebook siano effettivamente riconducibili all’imputato. (Nel caso di specie, le frasi pronunciate su social network integranti il reato erano state ricondotte  all’imputato senza alcuna indagine sul profilo).

Tribunale La Spezia sez. uff. indagini prel., 12/02/2020, n.39

Diffamazione via social network

In tema di diffamazione attraverso i social network Facebook e Linkedin è notorio che Facebook non fornisca indicazioni all’autorità giudiziaria italiana in relazione all’utente che si cela dietro un nickname mentre per LinkedIn è possibile acquisire elementi utili all’indagine.(Nel caso di specie il gip restituiva gli atti al PM per l’integrazione investigativa a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione).

Tribunale La Spezia sez. uff. indagini prel., 05/12/2019

Reato di stalking nell’era del social network

Le continue molestie operate nei confronti della vittima, anche mediante messaggi e post diffusi sui social network, nonché il numero infinito di espressioni aspramente offensive e minacciose integrano il reato di cui all’art. 612-bis c.p. Integra il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) il soggetto che per diversi anni tormenta con molestie, minacce e offese la vittima, anche tramite social network, attaccandola con post pubblici offensivi e minacciosi, ingenerando nella stessa un perdurante stato di ansia e di paura, portandola a temere per la propria incolumità e a modificare le proprie abitudini di vita.

Cassazione penale sez. V, 17/09/2019, n.45141

Pubblicazione di foto con contenuto pornografico

Integra il reato di diffamazione la condotta di pubblicazione in un sito internet (nella specie, nel social network facebook) di immagini fotografiche che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici, in un contesto e per destinatari diversi da quelli in relazione ai quali sia stato precedentemente prestato il consenso alla pubblicazione.

Cassazione penale sez. III, 19/03/2019, n.19659

Social network: commenti offensivi in risposta ad un fatto ingiusto altrui

Non è punibile ai sensi dell’art. 595 co. 3, c.p. chi pubblica sui social network commenti offensivi ad un video riguardante un comportamento che costituisce palesemente fatto ingiusto, in quanto tali condotte sono giustificate dal disposto dell’art. 599 c.p., applicandosi dunque l’esimente della provocazione.

(Nel caso di specie, la procura chiede l’archiviazione del procedimento relativo ad una nota influencer che presenta denuncia a seguito di diffamazioni ricevute su Instagram in risposta ad un video di un in cui la stessa invocava l’intervento nazista in occasione di un gay pride).

Procura della Repubblica Milano, 18/10/2019

Configurabilità di accesso abusivo al sistema informatico

In tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico ex art. 615-ter cod. pen., non rileva la circostanza che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state comunicate all’autore del reato, in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo, dallo stesso titolare delle credenziali, qualora la condotta incriminata abbia portato ad un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante l’eventuale ambito autorizzatorio.

(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna dell’imputato che, dopo aver acceduto al profilo “facebook” della ex moglie avvalendosi delle credenziali a lui note, aveva preso conoscenza delle conversazioni riservate della donna e aveva poi cambiato la “password” al fine di impedirle di accedere al “social network”).

Cassazione penale sez. V, 02/10/2018, n.2905

La pubblicazione della frase offensiva su Instagram

Ai fini della concreta quantificazione del danno deve considerarsi l’ipotesi in cui la frase offensiva sia stata pubblicata su Instagram, ossia su un social network di larga diffusione. Si tratta di un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone.

Tribunale Milano sez. I, 21/08/2018, n.8738

Diffamazione: un post su Facebook equivale ad un articolo di giornale?

A carico di un soggetto che pubblica un “post” su un social network (nella fattispecie Facebook) non si possono porre oneri informativi analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, tenuto conto della profonda differenza fra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.

Cassazione penale sez. V, 19/11/2018, n.3148

Post diffamatori sui social

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.

Cassazione penale sez. V, 19/10/2017, n.101

Pubblicazione sui social network di immagini manipolate

Integra una violazione dell’articolo 8 della Cedu, che tutela il diritto al rispetto della vita privata, incluso quello alla reputazione, la pubblicazione di un’immagine manipolata sul social network Istagram. Ad affermarlo è la Corte europea dei diritti dell’Uomo, per la quale la tutela della reputazione va assicurata anche a chi subisce accuse diffamatorie su Istagram, attraverso la manipolazione di un’immagine. A rivolgersi ai giudici internazionali era un blogger e scrittore islandese che era stato accusato di stupro.

L’uomo era stato prosciolto, ma su Istagram era stata poi diffusa una sua immagine, frutto di una manipolazione della copertina di un giornale, accompagnata da una frase offensiva che lo definiva “stupratore”. Per i giudici di Strasburgo, c’è stata violazione in quanto i giudici nazionali non hanno raggiunto un giusto equilibrio tra i diversi diritti in gioco: da un lato, la libertà di espressione e, dall’altro, la tutela della reputazione privata.

Corte europea diritti dell’uomo sez. II, 07/11/2017, n.24703

Diffamazione: l’ipotesi aggravata dal mezzo pubblicità

L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482

Obbligo a non diffondere immagini di figli minori sui social network

A tutela del minore, e al fine di evitare il diffondersi di informazioni che lo riguardano anche nel nuovo contesto sociale da questi frequentato, deve disporsi l’immediata cessazione della diffusione da parte della madre, nei social network di immagini, notizie e dettagli relativi ai dati personali e alla vicenda giudiziaria inerenti al figlio. Inoltre, per evitare che contenuti analoghi siano diffusi da terzi, il tutore deve essere autorizzato: a diffidare soggetti terzi dal diffondere tali informazioni; a richiedere la rimozione di tali contenuti; a richiedere, ai gestori dei motori di ricerca, la deindicizzazione di informazioni relative al minore.

Infine, per assicurare l’osservanza degli obblighi di fare a carico dei genitori, viene prevista l’astreinte di cui all’art. 614-bis c.p.c. disponendo che, in caso di mancata ottemperanza della madre all’obbligo di interrompere la diffusione di immagini, video, informazioni relative al figlio nei social network, ovvero di mancata ottemperanza all’obbligo di rimuovere tali dati, la stessa dovrà corrispondere l’importo indicato in dispositivo per la violazione posta in essere.

Tribunale Roma sez. I, 23/12/2017



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19 Commenti

  1. Quante fake news circolano sui social network e quanta gente ci abbocca e poi inoltra link farlocchi tramite whatsapp ad amici e parenti allarmandosi e allarmando gli altri.

  2. Molta gente trascorre ore ed ore sui social. Bisognerebbe sfruttare il tempo per fare qualcosa di più interessante piuttosto che perderlo nel farsi i fatti altrui. Che poi sui social la gente posta solo quel che vuole farti sapere e ostentare quello che ha oppure quello che effettivaemente non ha. Non sempre tutto ciò che si pubblica è reale… Aprite gli occhi

  3. Quante volte ho visto al ristorante coppie che invece di parlare fra loro stavano incollati al cellulare. Ma sono impazziti? A fare che? a stare su instagram e guardare le storie e i posti dell’altra gente e a non filare di striscio la persona con cui sono usciti… questa fissazione dei social deve finire

  4. Odio la gente che sta perennemente sui social e non socializza. Eppure i social dovrebbero servire per avvicinare le persone, invece finiscono per allontanare chi ci sta accanto.

  5. I social permettono a chiunque di poter esprimere la propria opinione e di poterla condividere col mondo intero, e questo è un bene; il rovescio della medaglia, però, sta nel fatto che questa eccessiva libertà ha dato coraggio ai leoni da tastiera che utilizzano il profilo virtuale per sparare cattiverie contro chiunque… Se mi hanno diffamato sui social cosa posso fare? Quando la diffamazione sui social è reato?

    1. Chi offende la reputazione, la dignità o l’onore di un’altra persona utilizzando i social network (come facebook, per intenderci) non solo si macchia del reato di diffamazione, ma addirittura di diffamazione aggravata; questo accade perché chiunque può leggere l’offesa scritta sul portale. Insultare una persona su un social network equivale a oltraggiarla pubblicamente, come se si utilizzasse la stampa oppure si trovasse in una piazza affollata.Proprio la dimensione di internet fa sì che il reato sul web sia considerato più grave di quello realizzato in una realtà materiale: più precisamente, l’utilizzo di internet integra l’ipotesi di diffamazione aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità, stante la particolare capacità divulgativa del mezzo telematico. Ciò ha riflessi anche sulla competenza del giudice: giudicare della diffamazione aggravata spetta al tribunale in composizione monocratica, mentre la diffamazione semplice è di competenza del giudice di pace.

    2. Appurato che la diffamazione sui social network è un’ipotesi di diffamazione aggravata, resta da capire davanti a quale giudice l’imputato si troverà a difendersi. In particolare, due sono le ipotesi che si fronteggiano:
      giudice territorialmente competente è quello del luogo ove è avvenuto il reato: in questa circostanza, il processo si celebrerebbe nel posto ove si trovava il reo al momento del fatto, cioè quando ha digitato l’offesa;
      giudice territorialmente competente è quello del luogo ove si trovava la vittima nel momento in cui ha avuto percezione dell’offesa, cioè quando ha letto gli insulti a lui pubblicamente diretti.
      La giurisprudenza oscilla tra i due orientamenti appena richiamati. A rigore, la tesi da accogliere sarebbe la seconda, in quanto il reato di diffamazione si intende consumato (cioè, perfezionato), solamente nel momento in cui la vittima ne ha percezione. In realtà, però, poiché è difficile capire quando concretamente si realizza la lesione all’onore, la Corte di Cassazione preferisce adottare il criterio più sicuro del luogo ove il contenuto offensivo è stato caricato: prevale quindi in giurisprudenza la tesi che individua il giudice competente del reato di diffamazione sui social network in quello del luogo in cui la condotta lesiva si è realizzata, che è il posto dove si trovava il colpevole al momento del fatto.

    3. A differenza della dell’ingiuria, la diffamazione è ancora reato e, anzi, se commessa su Facebook è aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità. In questo caso, la parte offesa non è presente alla discussione, per cui la frase viene proferita in sua assenza: è il caso di un post sul proprio profilo in cui si avvisano gli amici di stare in guardia da un determinato soggetto perché imbroglione o in cui si parla male del proprio datore di lavoro. Trattandosi di reato, la difesa in questo caso consiste nella querela presentata alle autorità (carabinieri, polizia postale o deposito di querela alla Procura della Repubblica). Dopo le indagini, qualora dovesse essere disposto il rinvio a giudizio del colpevole, la vittima potrà costituirsi parte civile nel processo penale e chiedere il risarcimento. In alternativa, potrebbe promuovere una causa civile per il solo risarcimento. Le due cose insieme non sono possibili.

  6. Si possono usare le immagini scaricate dai social network oppure queste sono coperte dal copyright? In altri termini, il fatto che l’autore di una foto l’abbia condivisa su Facebook, Twitter o Instagram significa che l’opera è diventata di pubblico dominio?

    1. Quando accetti di far parte di un social network ne accetti tutte le condizioni, condizioni che ovviamente approvi con la spunta del mouse quando completi l’iscrizione. Tra queste condizioni, vi è l’obbligo di accettare la possibilità che terzi utenti possano condividere i tuoi post o le tue immagini, anche quando queste sono il frutto della tua creatività e ingegno. Ma attenzione: il fatto di condividere un’immagine su un social network è una semplice operazione informatica, il risultato di un algoritmo matematico che consente solo una più ampia visualizzazione dell’opera; ciò nonostante, quest’ultima continua a restare di proprietà esclusiva del suo autore. In altri termini, le condizioni generali di contratto di Facebook, Instagram o di qualsiasi altro social non possono derogare alle norme sul diritto d’autore le quali accordano al titolare dell’opera ogni diritto di riproduzione e sfruttamento economico.Quindi va bene condividere, utilizzando l’apposita icona del social network, ma non va bene scaricare e utilizzare in proprio le immagini di altri. C’è tuttavia un aspetto molto importante da tenere in considerazione: non tutte le immagini possono essere protette dal diritto d’autore, ma solo quelle che hanno un valore creativo, che esprimono cioè una personalizzazione dell’autore preponderante rispetto al semplice scatto. Fotografare una strada o un palazzo non è certo un’attività creativa, a meno che non vengano applicati particolari filtri, utilizzata una tecnica di post produzione o scelta un’angolatura d’eccezione. Insomma, c’è scatto e scatto e solo quello che risulta essere il frutto di un’attività intellettuale – un’opera dell’ingegno – può essere protetto.Utilizzare la foto di un fotografo, realizzata per una galleria d’arte o per un proprio book, è certo illecito; utilizzare lo scatto di uno smartphone al panorama della città vista dall’alto o a una buca stradale difficilmente può essere vietato.

  7. Salve, vorrei sapere che valore ha una fotografia postata su un social network. l’immagine può sempre essere contestata in modo da rendere la prova inutilizzabile in un processo?

    1. Laddove la foto dovesse essere contestata, si potrebbe sempre chiamare a testimoniare il suo autore che, con i propri occhi, ha visto la scena poi immortalata nella camera digitale. La questione si è posta più volte per i detective privati, incaricati di riprendere eventuali tradimenti di coniugi. Il loro reportage non può certo avere valore di prova, ma loro stessi sono stati chiamati a rispondere alle domande del giudice, come testimoni, e pertanto gli stessi fatti sono rientrati nel processo dalla finestra.

  8. Ho letto di molto casi di furti d’identità su Facebook…Come avviene e come ci si può difendere?

    1. Il furto d’identità consiste nella costituzione di un account Facebook falso, corrispondente agli estremi di un altro soggetto, ma da quest’ultimo mai autorizzato. Il criminale, in questo modo, fa credere agli altri utenti che quanto da lui scritto o realizzato sul social network sia invece riconducibile al titolare del profilo clonato. A volte, il furto riguarda solo la fotografia del profilo, cui però viene associato un nome diverso da quello reale. Altre volte, invece, la clonazione è totale e si estende anche agli estremi anagrafici. Chi commette il furto d’identità lo fa spesso per molestare o danneggiare la vittima; in altri e più innocui casi, invece, si rubano le immagini di belle ragazze solo per chiedere l’amicizia a una cerchia sconosciuta di “amici virtuali” e poi postare, sulle loro timeline, contenuti di natura pubblicitaria.
      Difesa dal furto d’identità
      Il furto d’identità si può combattere in due modi:
      il più, più immediato, mediante segnalazione allo stesso Facebook: si entra sul profilo dell’utente, si clicca sul bottone con tre punti sospensivi (“…”) dopo quello “messaggio”, posto sulla foto di copertina e si clicca su “Segnala”;
      il secondo richiede una denuncia alla polizia postale, presso cui l’interessato dovrà recarsi, fornendo il nome del profilo clonato; la polizia invierà la denuncia alla Procura della Repubblica e quest’ultima, poi delegherà il magistrato per le indagini. Non sempre è possibile risalire all’autore del reato se questo ha utilizzato una connessione libera.

  9. Le molestie su Facebook sono purtroppo all’ordine del giorno. Molti hanno comportamenti assillanti (messaggini petulanti di un ammiratore non corrisposto)… Ho ripetuto più volte di lasciarmi stare e visto che insisteva poi l’ho bloccato su tutti i social. Ma certa gente si rende conto di cosa significa BASTA? Insomma, una ragazza non vuole essere scostumata o tirarsela, ma poi certa gente le risposte a tono se le chiama!!!

    1. Difesa da molestie e stalking: trattandosi di reati, l’unica difesa è quella della querela, sebbene Facebook abbia predisposto un sistema di segnalazione (a cui, però, non conviene affidarsi nei casi più gravi). Per lo stalking ci si può rivolgere al Questore perché disponga l’ammonimento nei confronti del reo.

  10. Molti genitori orgogliosi pubblicano la foto del proprio bambino mentre gioca con i coetanei all’asilo o al parco, senza ottenere l’autorizzazione scritta dei relativi genitori. Questo comportamento è estremamente grave. Come viene punito dalla legge?

    1. Il genitore che veda la foto del proprio figlio minore pubblicata da altri o anche dai gestori dell’asilo può:
      agire in via penale, con una querela che può essere presentata anche davanti alla polizia postale;
      segnalare l’abuso a Facebook;
      agire con una causa civile di risarcimento del danno.

  11. Ma quanta gente non ha contatti sociali e trascorre la sua vita nel mondo virtuale?! Ora, dobbiamo ringraziare i social se siamo “sopravvissuti” durante questa quarantena causata dal Covid-19, perché ci hanno permesso di restare in contatto e videochiamarci… però un conto è stare sui social in queste condizioni di emergenza, altra cosa è trascorrere ogni attimo incollati allo smartphone…

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