La lezione dal fondo di ultima istanza


L’avvocatura italiana e Cassa Forense: la scadenza dei versamenti contributivi è stata posticipata al 31 dicembre 2020.
Il rapporto tra i cittadini e il sistema previdenziale è cambiato in maniera radicale. Fino a pochi anni fa il «pilastro» pubblico del welfare italiano proteggeva efficacemente i cittadini dai principali rischi sociali: vecchiaia, infortuni, disoccupazione. Oggi, i processi di invecchiamento demografico e le trasformazioni del mercato del lavoro hanno mutato il volto della nostra società.
Il welfare pubblico fatica a rispondere all’emergenza di nuovi bisogni e sfide sociali, come la conciliazione vita-lavoro, la formazione continua e l’assistenza a lungo termine (long term-care). Lo stesso discorso può farsi nel microcosmo dell’avvocatura italiana.
Il Sole 24Ore, a pag. 12 di lunedì 6 aprile 2020, ha pubblicato la tabellina degli aventi diritto, che qui ripropongo.
Sono interessati 90.000 avvocati con reddito da zero a 35mila euro e 60.000 avvocati con reddito da 35mila a 50mila euro.
Totale 150.000 avvocati, pari a 62%.
Cassa Forense ha spostato la scadenza dei versamenti contributivi al 31 dicembre 2020 consentendo successivamente delle rateizzazioni con interessi.
Questo dato lascia prevedere che, a fine anno, moltissimi avvocati non saranno in grado di versare la contribuzione obbligatoria. Se questo dovesse accadere, Cassa Forense andrà evidentemente in sofferenza.
Ricordo che, a bilancio preventivo 2019, Cassa Forense ha ricavi per contributi pari a 1.639 milioni, costi per prestazioni pari a 950 milioni, con un saldo previdenziale pari a 680 milioni, con altri ricavi da rendimento del patrimonio per 288 milioni, altri costi per 116 milioni, con un saldo gestionale di 172 milioni e un avanzo, come somma del saldo previdenziale e del saldo gestionale, pari a 852 milioni.
Ci sono nove mesi di tempo per adottare tutte le riforme del caso prima di restare travolti dalla crisi reddituale dell’avvocatura italiana.
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Fonte: Diritto e Giustizia