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Coronavirus e il possibile legame con l’inquinamento

20 Aprile 2020 | Autore:
Coronavirus e il possibile legame con l’inquinamento

L’analisi dell’esposizione pregressa a inquinamento atmosferico su vulnerabilità e meccanismo di trasporto per diffusione in aria senza contatto.

L’inquinamento dell’aria potrebbe influenzare la diffusione e la mortalità del Covid-19? Su questa direzione sono focalizzate le ricerche dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) che ha appena pubblicato uno studio su ‘Atmosphere’ in cui analizza “la possibile correlazione tra l’inquinamento dell’aria e la diffusione e la mortalità del Covid-19“, evidenziando le conoscenze scientifiche attuali, possibili conclusioni e ambiti di approfondimento.

“È plausibile che la già avvenuta esposizione di lungo periodo all’inquinamento atmosferico possa aumentare la vulnerabilità degli esposti al Covid -19 a contrarre, se contagiati, forme più importanti con prognosi gravi. Tuttavia, deve ancora essere stimato il peso dell’inquinamento rispetto ad altri fattori concomitanti e confondenti” evidenziano Daniele Contini e Francesca Costabile dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce e Roma spiegando che lo studio “affronta il problema con due distinte domande, riguardanti una l’influenza dell’esposizione pregressa a inquinamento atmosferico sulla vulnerabilità al Covid -19 e l’altra il meccanismo di trasporto per diffusione in aria senza contatto”.

Contini e Costabile, come riporta una nota stampa dell’agenzia Adnkronos, evidenziano che “peraltro, gli effetti tossicologici del particolato atmosferico dipendono in maniera rilevante dalle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, per cui non è immediato tradurre valori elevati dei parametri convenzionalmente misurati (Pm2.5 e Pm10), senza ulteriori caratterizzazioni, in una spiegazione diretta dell’aumento della vulnerabilità al Covid -19 o delle differenze di mortalità osservate”.

Coronavirus e inquinamento: cosa rivelano i dati recenti?

“I dati recenti -aggiungono i ricercatori- mostrano focolai in aree caratterizzate da livelli di inquinamento molto diversi tra loro, ma i dati sui contagi sono viziati da rilevante incertezza, legata all’attendibilità, precisione e completezza conteggi e alla modalità di esecuzione dei tamponi”. La ricerca affronta inoltre la plausibilità della trasmissione del virus in aria (detta ‘airborne’).

“Un tema -prosegue Contini- attualmente molto dibattuto e ritenuto dagli autori dello studio plausibile, anche se non è ancora stato determinato quanto incida rispetto ad altre forme di trasmissione quali il contatto diretto e il contatto indiretto tramite superfici contaminate”.

Contini spiega che “la trasmissione airborne può avvenire su due diverse strade: attraverso le goccioline di diametro relativamente grande (> 5 µm), emesse da una persona contagiata con starnuti o colpidi tosse, che sono rimosse a breve distanza (1-2 metri) dal punto di emissione; oppure attraverso il bioaerosol emesso durante la respirazione e con il parlato, o il residuo secco che rimane dopo l’evaporazione, generalmente di dimensioni più piccole (< 5 µm), che può rimanere in sospensione per tempi maggiori”.

I margini di incertezza sono dunque ampi, avvertono i ricercatori. “Per valutare correttamente la probabilità di contagio attraverso quest’ultimo meccanismo -osservano i ricercatori Cnr-Isac- si deve inoltre distinguere tra ambienti interni (indoor) ed esterni (outdoor) ed è necessario tenere conto di molti parametri, tra cui le concentrazioni di virus in aria e il loro tempo di vita, due parametripoco noti: per il tempo di vita si parla di circa un’ora in condizioni controllate di laboratorio, mentre in esterno il tempo potrebbero essere ridotto dall’influenza dei parametri meteorologici come temperatura, umidità e radiazione solare, che possono degradare le capacità infettive del virus”.

Trasmissione outdoor e indoor 

In esterno, -riferiscono ancora i ricercatori del Cnr-Isac, “le concentrazioni di virus rilevate in aree pubbliche a Wuhan sono al limite della rilevabilità (< 3 particelle virali/m3), in confronto alle tipiche concentrazioni di particolato nelle aree urbane inquinate, che possono arrivare a 100 miliardi di particelle/m3. Pertanto, la probabilità di trasmissione con questo meccanismo in outdoor sembra essere molto bassa. Vi può ovviamente essere una maggiore probabilità in specifici ambienti indoor, come ospedali e aree in cui i pazienti sono messi in quarantena, o mezzi pubblici in cui viaggino molti contagiati”.

“In questi ambienti, -indica ancora Contini- la sorgente è più intensa e la dispersione del virus in aria più limitata in termini spaziali, per cui si possono osservare concentrazioni più elevate e condizioni microclimatiche più favorevoli alla sopravvivenza del virus“. Il ricercatore avverte quindi che “in questi ambienti, è consigliabile mitigare il rischio per le persone suscettibili mediante la ventilazione periodica, la decontaminazioni delle superfici e l’utilizzo di sistemi di condizionamento con tecnologie appropriate, per limitare la circolazione di bioaerosol nell’ambiente indoor“.



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