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Coronavirus, o l’app o restiamo a casa

21 Aprile 2020
Coronavirus, o l’app o restiamo a casa

Il commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri è netto: escluso l’obbligo di scaricare il software, ma se non siamo in grado di mappare i contatti ci aspettano altri sacrifici, in termini di libertà.

“Alleggerire le misure di contenimento significa essere in condizione di mappare tempestivamente i contatti. L’alternativa è semplice: le misure non possono essere alleggerite e dovremo continuare a sopportare i sacrifici di queste settimane, privandoci di quote importanti di libertà”. Lo ha detto il commissario straordinario all’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri.

Un’occasione utile per parlare un po’ più specificamente dell’applicazione e chiarire che sarà volontaria e non obbligatoria. L’obbligo di ricorrervi, però, secondo Arcuri, a livello puramente teorico, rimane comunque, perché l’app è concepita come una specie di “sostituto” delle misure di contenimento. Ha una funzione importante, in termini di prevenzione: mappare i contatti e individuare quelli a rischio, segnalando le possibilità di contagio da Coronavirus (leggi l’articolo: App “Immuni”: chi gestirà i dati dei nostri spostamenti?). Al tempo stesso, parole sempre di Arcuri, per avere efficacia dovrà essere scaricata dal 70 per cento (qualcuno sostiene 60 ma, insomma, siamo lì) della popolazione.

Qualcuno ha addirittura accusato Arcuri di “ricattare” gli italiani, con questa storia dell’app. In merito è intervenuto il presidente di Noi con l’Italia Maurizio Lupi. “Conoscendo Arcuri penso che si ratti di un infortunio, un maldestro tentativo di convincere dell’utilità di questa applicazione e della sua assoluta necessità, altrimenti direi che questo si chiama ricatto dei cittadini – ha detto Lupi -. A noi non piace la dittatura, nessun tipo di dittature, neanche quella che in nome della salute mette agli arresti domiciliari chi dissente sull’uso di una tecnologia. Le leggi sulla libertà delle persone sono norma primaria su cui decide il Parlamento, non c’è esperto o commissario che tenga. Più lavoro e meno conferenze stampa”. Un pensiero molto in linea, potremmo dire, con quello del governatore della Campania Vincenzo De Luca, che nei giorni scorsi se l’era presa con le conference call, tacciate di “distogliere” i politici dai loro impegni.

“Noi – ha detto Arcuri – cercheremo con forza e in ogni forma di spiegare agli italiani che la partecipazione e l’utilizzo della stessa è sinonimo di generosità verso se stessi e verso gli altri e fenomeno di comunità, perché significa aiutare a fronteggiare meglio l’emergenza. I lasciapassare li lasciamo ad altre stagioni della nostra esistenza che non meritano di essere ricordate”. Si riferiva all’ipotesi, inizialmente sul piatto e poi esclusa, di rendere l’applicazione obbligatoria, al prezzo di alcune libertà di movimento in meno per chi decidesse di non scaricarla.

L’app, secondo il commissario, dovrà rispondere a due requisiti fondamentali: sicurezza e privacy. “Immaginare che queste informazioni siano allocate in un server non in Italia e non pubblico non è compatibile con i requisiti di sicurezza. La riservatezza dei dati è un diritto inalienabile. Nulla accadrà se non nel totale rispetto delle leggi sulla privacy nazionale e sovranazionali: sicurezza e libertà, infrastruttura pubblica e tutela della privacy”.

Arcuri, inoltre, ha invitato ancora una volta alla cautela, perché “il virus è ancora tra noi. È un po’ più contenuto, un po’ meno forte, ma non è sconfitto né allontanato. Dobbiamo spendere una parola per sottolineare anche noi, come il presidente del Consiglio e i ministri, che non bisogna prendere nessuna decisione frettolosa, bisogna essere ancor più consapevoli e responsabili”.



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