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Coronavirus, l’allarme di un medico sul nuovo rischio di lockdown

28 Aprile 2020
Coronavirus, l’allarme di un medico sul nuovo rischio di lockdown

Cristina Nicosia, intervistata, teme un ritorno alle restrizioni a causa dei tamponi tardivi e dei casi mai diagnosticati di Covid, che potrebbero essere scambiati per ricaduta. 

Cristina Nicosia è un medico del lavoro che svolge la sua attività in Lombardia. In queste ore, ha rilasciato dichiarazioni che fanno riflettere, in ordine a un possibile nuovo rischio di lockdown. L’ha intervistata Lucia Scopelliti, per l’agenzia di stampa Adnkronos. La dottoressa vede come molto concreto il pericolo di ripiombare nelle restrizioni che, finora, ci hanno consentito di far diminuire i contagi da Coronavirus, a causa di un ritardo nella diagnosi per molti pazienti, mai sottoposti a tampone finora.

“Con l’ondata di tamponi che faremo – ha spiegato Nicosia all’agenzia di stampa – per i rientri al lavoro di dipendenti in isolamento fiduciario mai testati e quindi mai entrati nei conteggi, ho paura che troveremo diversi positivi, considerato che non è raro restarlo per settimane, anche più di un mese. Queste persone mai tamponate prima saranno a tutti gli effetti conteggiate come nuovi casi. Il mio timore è che ci richiudano di nuovo, che si rischi un nuovo lockdown per casi non recenti e in realtà non legati alla riapertura, solo mai censiti. Durante l’emergenza Coronavirus ho avuto situazioni in cui, con un lavoratore morto di Covid, non sono riuscita a ottenere che venissero sottoposti a tampone i colleghi che condividevano per otto ore l’ufficio con lui e hanno sviluppato sintomi nella settimana successiva al suo ricovero. Erano i primi tempi della crisi Covid-19 nel Bergamasco e mi è sembrato logico chiamare l’Ats e avvisare della presenza di cinque contatti di caso positivo con sintomi. Era chiaro che poteva essere Coronavirus. Mi hanno ringraziato per la segnalazione, ma non è successo niente. Nel senso che i lavoratori sono stati contattati, ma zero tamponi. Per loro è scattato l’isolamento, ai tempi in cui per la quarantena era indicata una durata di 14 giorni. Per fortuna nel frattempo l’azienda in questione ha chiuso per il lockdown”.

Dichiarazioni che fanno riflettere sull’oggettiva difficoltà del monitoraggio dei casi di Covid, ma anche sulle inefficienze che ci sono state in alcuni casi, dal momento che la dottoressa non fa riferimento ai cosiddetti tamponi a tappeto, ma a persone in contatto con positivi che non sono state sottoposte al test.

Siamo tornati più volte sulla polemica dello screening parziale: condizione ostativa alla tattica dei tamponi a tappeto, è stato sempre ribadito finora, è il sovraccarico dei laboratori e la mancanza di reagenti. Ma anche i dubbi sull’utilità di uno screening completo della popolazione: se anche un paziente è negativo in un primo momento, quando viene sottoposto a tampone, nulla vieta che diventi positivo in seguito, anche il giorno dopo. Il che rientra perfettamente nella pericolosità del nemico che stiamo fronteggiando. Non per niente definito “invisibile” da inizio emergenza.

“Ci sono tantissimi lavoratori potenzialmente a rischio di essere ancora positivi, ma mai tamponati finora – continua Nicosia -. La pressione dalle aziende è tanta, chiedono i test per tutti i lavoratori. Peccato che oggi non sono disponibili, non ne possiamo fare, non abbiamo accesso. Non c’è un percorso preciso e certezza su quali siano validati e quali no. Non si sa neanche come si dovrebbero interpretare i risultati”.

La Lombardia in un documento del 15 aprile dà indicazione alle Ats sul percorso per la riammissione sul posto di lavoro dopo un’assenza legata in qualche modo al Coronavirus. Si affronta il caso di chi ha una storia di malato Covid, e potrà vedersi chiudere la quarantena obbligatoria se, dopo 14 giorni di ‘clinica silente’ (niente febbre e un numero regolare di atti respiratori al minuto), ha due tamponi negativi a distanza di 24 ore. E poi si fa il punto sul capitolo pazienti in isolamento domiciliare fiduciario. Nel documento si legge che ci si troverà di fronte a “un numero elevato di soggetti che sono stati monitorati dal medico di famiglia per i quali non è possibile effettuare sistematicamente il tampone”.

Per loro viene riportata l’indicazione relativa alla “opportunità di valutare l’allungamento del tempo di osservazione” da “14 a 21 o meglio 28 giorni”. Ciò, ammette la Regione, “al fine di attuare un comportamento prudenziale laddove non vi sia possibilità di sottoporre tutti i soggetti al test per la ricerca di Sars-CoV-2 e stante l’attuale indicazione di non utilizzo dei test sierologici per indicare un soggetto guarito e non più infettivo”. Ci sono poi tutti i contatti sintomatici di un caso accertato o sospetto di Covid, mai testati “stante la numerosità in periodo epidemico”. Per le persone in isolamento fiduciario, indica la Regione, conclusa la sorveglianza con sintomi assenti da almeno 14 giorni, scatta il percorso del tampone.

“I numeri di dipendenti che rientrano in queste casistiche sono tantissimi e si pone il problema del rientro al lavoro – evidenzia Nicosia – Come medici competenti ora abbiamo la facoltà di richiedere il tampone. Come? Interpellando il medico curante che chiede all’Ats. È facile immaginare quanto sarà enorme la quantità di dati scambiati, le visite che si aggiungeranno a quelle normali. Non sappiamo proprio come si gestirà la parte burocratica. Ma se io per un tampone o un test sierologico devo passare dal medico di base e dall’Ats sono complicazioni in più. Non potremmo avere anche noi accesso alla gestione dei test diagnostici per Covid, o comunque accedere come il curante e l’Ats al portale di prenotazioni e refertazioni? Sarebbe già un passo avanti”.



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