Albo pretorio online e diritto alla privacy


Un obbligo di trasparenza impone alle pubbliche amministrazioni la pubblicazione; alcune informazioni riguardano la vita privata. La soluzione della Cassazione.
La funzione principale dell’albo pretorio è quella di garantire la trasparenza dei provvedimenti amministrativi attraverso una pubblicazione dei dati online, che ne offra le massime possibilità di diffusione.
Talvolta però queste esigenze di pubblicità, imposte dalla legge, confliggono con il diritto alla riservatezza degli interessati, che non vorrebbero divulgare pubblicamente i propri dati personali, specialmente quando gli atti pubblicati contengono informazioni riguardanti la sfera privata.
Il bilanciamento di queste opposte esigenze nei casi concreti può risultare difficile e bisogna capire come è possibile garantire il diritto alla privacy sugli albi pretori online.
La legge pone alcuni principi generali mentre la giurisprudenza di recente si è occupata di risolvere un caso emblematico e controverso, riguardante la tenuta protratta, sull’albo pretorio consultabile online, dei dati personali di un dipendente che contenevano informazioni riguardanti la sua vita privata e per un tempo eccedente a quello che era strettamente necessario.
Indice
L’albo pretorio
L’albo pretorio è un apposito spazio, un tempo fisico ed oggi virtuale [1], cioè online, dove le pubbliche amministrazioni affiggono notizie e pubblicano avvisi ed atti di interesse pubblico.
Il contenuto degli atti da pubblicare è molto ampio e comprende delibere, ordinanze e altri provvedimenti che per legge [2] devono essere portati a conoscenza del pubblico o di determinate categorie di soggetti interessati.
In alcuni casi, questa forma di pubblicità ha valore legale, come per gli avvisi rivolti ai contribuenti, le pubblicazioni di matrimonio o le informazioni sull’irreperibilità di alcuni cittadini destinatari di provvedimenti amministrativi e giudiziari.
Il tempo di permanenza online
Il tempo in cui gli atti devono rimanere inseriti e consultabili dipende dal tipo di documento; ove non specificato dalla legge, dai regolamenti locali o dal provvedimento specifico, il termine generale è di 15 giorni consecutivi, al termine dei quali il contenuto può essere rimosso dall’albo online.
Diritto alla privacy, pubblicità e trasparenza
Quando una norma di legge come quella che abbiamo indicato consente, ed anzi impone, la pubblicazione di determinati atti aventi uno specifico contenuto informativo, non c’è violazione del diritto alla privacy: si tratta di categorie predeterminate per le quali la diffusione pubblica dei dati è ammessa.
Anzi, esiste una norma [3] che impone la trasparenza, «intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità».
Tuttavia, le informazioni pubblicabili non devono mai eccedere queste caratteristiche e le loro finalità.
Nel caso pilota al quale abbiamo accennato in premessa, il Garante per la privacy prima e la Cassazione poi [4] hanno sanzionato un Ente locale per aver tenuto sull’albo online i dati personali di un dipendente per un periodo eccedente i 15 giorni stabiliti dalla legge.
La sentenza della Suprema Corte specifica che «il Comune è stato sanzionato non per aver pubblicato sul proprio sito le determinazioni dirigenziali, ma per aver mantenuto la pubblicazione oltre il termine di 15 giorni previsto dall’art. 124 del Tuel».
Le notizie riguardanti la vita privata
Perché questa distinzione tra il provvedimento – la cui pubblicazione è legittima – e il periodo di permanenza? La risposta – spiega il Collegio – sta nel fatto che «la pubblicazione non poteva ritenersi consentita per un tempo eccedente i 15 giorni in quanto riguardava notizie relative alla vita privata dell’impiegata (il suo stato di famiglia, il fatto di vivere da sola, la proposizione di domanda di rateizzazione, il mancato accoglimento della stessa)».
Questo tipo di informazioni esulava completamente dalle condizioni di trasparenza che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente; perciò, la loro pubblicazione non poteva ritenersi legittimata, come hanno rilevato dapprima il Garante per la privacy, che ha sanzionato il Comune al pagamento della somma di 4.000 euro, e successivamente la Corte di Cassazione che ha confermato il provvedimento, respingendo il ricorso dell’Ente avverso la sanzione irrogata.
note
[1] Art. 32 Legge 18 giugno 2009 n. 69.
[2] Art. 124 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico degli Enti Locali).
[3] Art. 11 D.Lgs. 27 ottobre 2009, n.150.
[4] Cass. Sez. 2° Civile, sent. n. 18292/20 del 3 settembre 2020.