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Come dimostrare l’incapacità di intendere e volere

5 Novembre 2020 | Autore:
Come dimostrare l’incapacità di intendere e volere

Annullamento degli atti compiuti da un incapace naturale e accertamento della situazione di incapacità.

Per l’ordinamento giuridico italiano una persona maggiorenne è capace di agire ovvero di compiere atti giuridici validi, essendo pienamente responsabile delle proprie azioni civili, penali e amministrative di fronte alla legge (capacità legale). Può, quindi, vendere e comprare beni, stipulare contratti, firmare cambiali, ecc. Oltre che capace di agire il maggiorenne è anche capace di intendere e di volere (capacità naturale). Può, cioè, comprendere se gli atti che compie siano o meno in contrasto con le prescrizioni della legge o se i suoi comportamenti costituiscono reato.

Inoltre, è in grado di autodeterminarsi, di scegliere se compiere o meno un’azione e di stabilire le conseguenze che ne possono derivare. Vi sono casi, però, in cui il soggetto, seppur capace di agire, al momento del compimento dell’atto, è concretamente incapace di intendere e di volere, per una qualsiasi causa, anche transitoria. Si pensi a colui che vende un immobile mentre si trova sotto l’effetto di alcool o ad una persona inferma di mente che redige testamento. In tali ipotesi come dimostrare l’incapacità di intendere e volere? E’ importante conoscere la risposta a questa domanda in quanto gli atti compiuti dall’incapace naturale possono essere annullati su istanza della stessa persona o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore [1].

L’incapacità naturale assume rilievo, altresì, in materia di matrimonio [2], testamento [3], donazione [4] e risarcimento danni [5].

Cos’è l’incapacità di intendere e di volere

L’incapacità di intendere consiste nell’impossibilità da parte dell’individuo di comprendere il significato delle proprie azioni e di rendersi conto delle conseguenze sociali che ne possono derivare.

L’incapacità di volere consiste nell’impossibilità di controllare i propri stimoli ed impulsi ad agire.

Perché si possa parlare di incapacità di intendere e di volere è sufficiente che le facoltà psichiche del soggetto siano ridotte al momento del compimento dell’atto. Non è, quindi, necessaria una totale ed assoluta mancanza di capacità, essendo sufficiente che la stessa risulti menomata perché sono subentrate gravi patologie, transitorie o permanenti, che hanno comportato una sua riduzione o che hanno determinano nel soggetto una mancanza di consapevolezza delle proprie azioni.

Sono cause di incapacità di intendere e di volere: l’infermità mentale, l’età avanzata, la malattia grave, lo stato di ubriachezza o di intossicazione da sostanze stupefacenti, un’insolazione, un trauma o un processo morboso che abbia temporaneamente alterato le facoltà mentali del soggetto, uno stato passionale acuto, un intenso bisogno di denaro, una suggestione ipnotica, ecc. Non vengono, invece, ritenuti rilevanti i disturbi caratteriali o la depressione cronica.

La legge prevede disgiuntamente l’incapacità di intendere dall’incapacità di volere. Pertanto, perché si possa chiedere l’annullamento dell’atto compiuto dall’incapace, è sufficiente che la menomazione sia riferita ad una sola delle due e, comunque, sia tale da impedire la formazione di una volontà cosciente.

Nella tossicodipendenza il soggetto che compie un atto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, può essere in grado di intendere ma incapace di determinarsi all’azione.

Cosa comporta l’incapacità di intendere e di volere

L’atto posto in essere in stato di incapacità di intendere e di volere è annullabile. L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stato compiuto [6].

Attraverso tale previsione il legislatore italiano ha voluto da un lato proteggere l’incapace e dall’altro le persone che, eventualmente ignare delle sue carenze psichiche, possono avere interagito con lui ad esempio stipulando un contratto di locazione o ricevendo un assegno.

In ogni caso, l’atto compiuto dall’incapace, fino a quando non viene annullato, resiste nel mondo dei rapporti giuridici, soprattutto se con tale atto sono connessi altri interessi meritevoli di tutela, riferibili ai terzi che hanno avuto rapporti con l’incapace. Tali soggetti, infatti, possono invocare il principio di buona fede e quello di conservazione degli effetti degli atti giuridici [7].

Se, poi, è mancata totalmente una manifestazione di volontà – si pensi al soggetto che sottoscrive un finanziamento per l’acquisto di un’auto di grossa cilindrata mentre si trova in uno stato totale di alterazione psichica dovuta all’abuso di sostanze psicotrope – si può chiedere la nullità dell’atto per inesistenza assoluta. Infatti, in questo caso manca un elemento essenziale del contratto rappresentato dall’accordo delle parti.

Da cosa dipende l’annullabilità degli atti dell’incapace

L’annullabilità dell’atto compiuto da un incapace naturale dipende dalla tipologia. A tal proposito occorre distinguere tra:

  1. atti unilaterali;
  2. contratti;
  3. atti personali.

Gli atti unilaterali, ossia quelli formati con la dichiarazione di una sola volontà (vedi una procura o un’offerta al pubblico) sono annullabili su istanza dell’incapace o dei suoi eredi o dei suoi aventi causa, solo se si prova che dall’atto deriva un grave pregiudizio all’incapace.

I contratti, invece, sono annullabili su istanza dell’incapace o dei suoi eredi o degli aventi causa, se si prova, oltre al pregiudizio per l’incapace, anche la mala fede dell’altro contraente, il quale conosceva lo stato di incapacità naturale e il pregiudizio per l’incapace o avrebbe potuto accertarli con l’ordinaria diligenza [8].

Il grave pregiudizio deve consistere in una grave sproporzione fra il bene oggetto dell’atto ed il corrispettivo ricevuto oppure in una eccessiva onerosità.

Gli atti personali quali la donazione, il testamento e il matrimonio sono sempre annullabili se si dimostra lo stato di incapacità naturale. Per tali importanti atti, pertanto, l’impugnabilità consegue automaticamente dall’incapacità naturale.

Sono, invece, considerati validi gli atti che non arrecano pregiudizio all’autore, ma piuttosto un vantaggio sia in caso di incapacità legale sia di incapacità naturale.

Chi può chiedere l’annullamento di un atto compiuto da un incapace

La legge dispone che l’azione di annullamento degli atti posti in essere da un incapace naturale può essere proposta da questi, dai suoi eredi o dai suoi aventi causa. Dagli aventi causa rimangono esclusi i creditori, i quali hanno a disposizione altri strumenti di tutela. Sono, invece, inclusi ad esempio gli acquirenti di un bene immobile i quali abbiano trascritto dopo altri acquirenti rispetto alla seconda alienazione dal dante causa incapace; chi è stato preceduto nel godimento di un bene e vuole far annullare il titolo del primo consegnatario; chi ha acquistato un diritto dipendente da quello che ha formato oggetto dell’atto di disposizione dell’incapace.

Gli eredi e gli aventi causa possono richiedere l’annullamento solo degli atti che hanno un contenuto patrimoniale, se ciò corrisponde al loro interesse.

Come dimostrare l’incapacità di intendere e di volere

Per dimostrare l’incapacità di intendere e di volere la prova grava su chi sostiene detta incapacità, in altre parole su chi chiede l’annullamento dell’atto, e può essere data con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, non necessariamente tramite una consulenza tecnica.

Nell’ipotesi di un contratto lo stato di incapacità naturale del soggetto che lo ha stipulato, è una condizione personale dell’individuo che, solo se eclatante, può essere provata in maniera diretta. Il più delle volte va, invece, dimostrata sulla base di indizi e presunzioni.

L’apprezzamento della prova costituisce comunque un giudizio riservato al giudice il quale ha il potere-dovere di valutare liberamente l’esattezza delle operazioni effettuate ed i relativi risultati.

Il giudice può anche ritenere sussistente l’incapacità naturale sulla base di prove raccolte in un altro giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre.

La prova dell’incapacità, inoltre, non deve necessariamente far emergere l’esistenza di una malattia che abbia annullato totalmente le facoltà intellettive del soggetto bensì di un fatto che abbia alterato o gravemente menomato queste facoltà.

Per quanto attiene il requisito della contemporaneità tra la causa dell’incapacità naturale e il compimento dell’atto, lo stesso non va inteso in maniera assoluta. Infatti, bisogna avere riguardo alle condizioni in cui il soggetto viene a trovarsi anche prima o dopo il compimento dell’atto. Se l’infermità è dovuta ad una malattia, bisogna valutare se la patologia è suscettibile di regresso, di stabilità o di miglioramento. Occorre, quindi, stabilire se la malattia, manifestatasi anteriormente o successivamente, sussisteva pure nel momento in cui è stato compiuto l’atto da annullare.

Pertanto, se l’incapacità viene accertata in due determinati periodi, prossimi nel tempo, si può presumere che fosse esistente anche nel periodo intermedio. In questo caso, vi è un’inversione dell’onere della prova in quanto spetta al soggetto che sostiene la validità dell’atto, dimostrare che è stato compiuto in un momento di lucido intervallo, nel quale il soggetto era in grado di rendersi conto dell’importanza delle sue azioni.

In conclusione, l’incapacità naturale se non dipende da una causa transitoria, può essere provata anche attraverso il dato induttivo costituito dalle condizioni del soggetto antecedenti o successive al compimento dell’atto.

Relativamente, poi, alla prova testimoniale, la stessa è ammissibile anche con riguardo ai così detti contratti formali, cioè quelli che richiedono una determinata forma per essere validi. Infatti, in tali ipotesi occorre dimostrare la mancanza di uno dei presupposti essenziali, quale, appunto, la capacità di intendere e di volere.

Quando si prescrive l’azione di annullamento

Il termine quinquennale di prescrizione, per esercitare l’azione di annullamento, decorre dal giorno di compimento dell’atto e non già dalla cessazione dell’incapacità stessa.

Il nostro legislatore ha inteso così ridurre l’incertezza sulla sorte degli atti posti in essere dall’incapace fissando il termine per la prescrizione con riferimento ad un momento oggettivamente valutabile.


note

[1] Art. 428 cod. civ.

[2] Art. 120 cod. civ.

[3] Art. 591 co. 3 cod. civ.

[4] Art. 775 cod. civ.

[5] L’art. 2046 cod. civ. dispone che “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.

[6] Art. 428 co. 3 cod. civ. e art. 1442 co. 1 cod. civ.

[7] Art. 428 co. 2 cod. civ.

[8] Art. 1367 cod. civ.


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